mercoledì 25 febbraio 2009

PARLANDO DI BIOETICA.
di Andrea Boni.

Le problematiche legate alla bioetica sono assai numerose e l'opinione pubblica è sempre più coinvolta nella discussione delle tematiche ad essa connesse, anche a causa del bombardamento mediatico cui è sottoposta dai mass-media. Si pensi solo - per fare alcuni esempi - a questi aspetti: clonazione, utilizzo delle cellule staminali, ingegneria genetica, procreazione assistita, sperimentazione clinica dei farmaci, trapianti d'organo nell'uomo, IVG, accanimento terapeutico, eutanasia, problematiche ambientali da compromissione dell'equilibrio biologico, screening generalizzato, etc. I recenti avvenimenti che hanno coinvolto l'opinione pubblica in termini di Bioetica hanno evidenziato la necessità di una profonda riflessione circa la modalità con cui il progresso tecnologico interviene nel modificare il corso naturale degli eventi del vivere umano. Aspetti che sembravano assolutamente naturali non lo sono più a seguito delle innovazioni portate da nuovi ritrovati della tecnica.

“… Una volta, la nascita e la morte erano fatti “naturali” per eccellenza, e dunque sottratti, nell’immodificabilità radicale del loro accadimento, a ogni regola elaborata dalla società. Semplicemente, si nasceva e si moriva. Oggi non è più così: la potenza della tecnica — che non è altro se non la forza dell’intelligenza umana in cammino per appropriarsi fino in fondo dei proprio destino — sta modificando la forma intrinseca di quegli eventi; sta cominciando a farli entrare, per dir così, nel raggio delle nostre scelte. La tecnica infatti ha sempre come effetto quello di accrescere, talvolta in modo smisurato, la nostra capacità di decidere. E quando noi possiamo scegliere, abbiamo bisogno di etica, di democrazia e di diritto. Per ora, non abbiamo inventato strumenti migliori, per aiutarci.” (Aldo Schiamone, 3 feb 2009 su La Repubblica).


Si pone quindi il problema di dover affrontare scelte etiche molto delicate che, non potendo essere state codificate in precedenza in termini costituzionali, devono essere rielaborate con sensibilità ed intelligenza. In questo processo la Scienza e la Politica da sole non possono fornire risposte a quesiti di elevato contenuto morale, bensì occorre necessariamente attingere ai principi derivanti da tradizioni in cui lo studio e l'applicazione dei valori etici e morali è stato posto come fondamento del vivere umano. In un recente articolo di Francesco Alberoni dal titolo “La scienza non può dire cosa è bene e cosa è male” apparso su Il Corriere della Sera del 16/02/2009, viene espressa bene questa difficoltà oggettiva della Scienza (ma soprattutto della Politica) nel prendere decisioni in termini di Bioetica.

“La vicenda di Eluana è un episodio dell'unico vero grande conflitto del nostro tempo: il conflitto sui valori. La scienza produce una vertiginosa trasformazione del mondo e dell'uomo e ogni progresso apre nuovi dilemmi. La scoperta dell'energia atomica ha reso possibile una guerra termonucleare. Gli uomini hanno scelto di non farla. Negli anni Sessanta i contraccettivi hanno consentito alle donne di evitare una gravidanza indesiderata.
Le donne li hanno usati anche quando le tradizionali leggi morali lo proibivano. Poi si sono diffuse numerose droghe ma, in questo campo è prevalsa la proibizione. Fra non molti anni i genitori potranno decidere il corredo genetico dei figli, la neuroscienza consentirà di modificare idee, sentimenti e passioni agendo sui processi fisico chimici del cervello. E ogni volta si porrà il quesito: farlo o non farlo? E' bene o è male? Ma la scienza non può dire cosa è bene e cosa è male. Può parlarti di fatti, di processi, dirti cosa puoi fare ma non può dirti assolutamente nulla su cosa è giusto fare, cosa devi fare, sui valori. L'universo scientifico non ha categorie morali. Certo il singolo scienziato può avere criteri etici ma li ha in quanto uomo non in quanto scienziato. Lo scienziato atomico ti dice quali effetti devastanti ha una guerra atomica. Ma se farla o non farla la scienza non te lo sa dire. Chi ci dice allora cosa è bene e cosa e male? In alcuni casi la religione, in altri l'ideologia politica, in altri la civiltà in cui sei stato allevato. Ma oggi tutti e tre questi fattori sono indeboliti e sotto accusa. Prevale la tesi che siano validi tutti i punti di vista. Ma una società in cui tutti i giudizi hanno lo stesso peso non può decidere, non può fare leggi, cade in preda al disordine. Però, oltre una certa soglia di disordine, si crea un disagio intollerabile e gli uomini alla fine scoprono in se stessi cosa è bene e cosa è male, e si raccolgono in movimenti collettivi che si scontrano finché non prevale una delle due alternative. E' gia successo: pensiamo ai movimenti a favore e contro la contraccezione, gli OGM, le droghe, l'aborto, il divorzio, la vivisezione, la clonazione umana, l'eutanasia. Col progredire della scienza e della tecnica questi scontri sono destinati a diventare sempre più violenti. Non solo in Italia dove c'è la Chiesa o nei paesi Paesi islamici, ma dappertutto. E ci saranno partiti politici in cui i valori diventeranno più importanti dei tradizionali temi economici”.

Mentre per l’Occidente la bioetica è una disciplina relativamente recente, nella Tradizione della Cultura antico-indiana da sempre sono state disponibili soluzioni naturali per gestire il rapporto tra creato e creature, per poter affrontare i quesiti posti dai misteri della nascita e della morte, il senso della vita, lo scopo del soffrire e del gioire umano. Tutto questo grazie alla possibilità di attingere ad una scienza completa essenzialmente basata sull’ordine etico universale (dharma), che gestisce sia il micro che il macrocosmo. Nel suo magistero il Divino interviene in tutte le manifestazioni e quindi anche nelle regole degli umani che si attengono ad esso per preservare la loro natura, anch’essa divina. Non è che l’insegnamento dei Veda fornisca risposte puntuali ed esatte a tutte le problematiche che caratterizzano la società moderna circa l’applicazione delle più avanzate scoperte scientifiche e la loro influenza sui trattamenti del corpo umano, sia esso nello stato di embrione o nella manifestazione di un corpo di adulto, anzi, la Cultura Indovedica si rivela pre-veggente, offrendo soprattutto un panorama vasto e completo di insegnamenti e principi che, opportunamente interpretati, consentono di poter affrontare quello che per la società di oggi è un continuo dilemma di opportunità e di problemi. Poiché la bioetica si occupa delle questioni morali che sorgono parallelamente al rapido progredire della ricerca biologica e medica, la sua natura è marcatamente multidisciplinare, potendo annoverare al proprio interno aspetti relativi a varie materie, quali: biologia, medicina, filosofia, diritto, ed altre ancora. Un approccio attento e scrupoloso alla bioetica non può quindi prescindere dal prendere in esame tutte le componenti che provengono da queste aree del sapere umano. E' anche per questo che la politica o la Scienza in sé non possono fornire risposte adeguate alla soluzione dei quesiti che sorgono con l'avanzare del progresso tecnologico. La Scienza Indovedica, al contrario, è per definizione olistica, ovvero più che multidisciplinare, è quindi esente dalle difficoltà che sorgono nel cercare di armonizzare le tante branche citate, e proprio per questo offre insegnamenti e principi che aiutano nello sviluppo di una coscienza globale del problema, sganciata da identificazioni, condizionamenti o speculazioni che hanno la loro radice nei piani materiali dell'esistenza. L'essere è definito nei suoi tre piani atropologici (bio-psico-spirituali) come una parte del Tutto, e come tale ontologicamente eterno nella parte più profonda della personalità. E' in questo senso una scintilla Divina.

Mamaivamsho jiva-loke
jiva-bhutah sanatanah
manah-shashthanindriyani
prakriti-sthani karshati

“Gli esseri viventi, in questo mondo materiale, sono miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente.” (Bhagavad Gita XV.7)
Nascita e morte vengono interpretati come momenti di cambiamento e come motivo di nuove possibilità di crescita in quel cammino affascinante che è la vita nel suo insieme. Non esiste un inizio, non esiste una fine, ma un ciclo (samsara) che si sussegue eternamente finché l'essere ottiene l'emancipazione (moksha) dalla natura materiale, anch'essa di natura Divina, ottenendo la piena consapevolezza della sua relazione con il Divino.

Na jayate mriyate va kadacin
nayam bhutva bhavita va na bhuya
ajo nityah shashvato 'yam purano
na hanyate hanyamane sharire

“Per l'anima non vi è nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Essa non nata, eterna, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il corpo muore.” (Bhagavad Gita II.20)
La natura materiale viene allora vista come strumento di liberazione, non demonizzata, ma anzi prezioso aiuto per superare i condizionamenti indotti da una falsa identificazione con corpo e psiche.
Daivi hy esha guna-mayi
mama maya duratyaya
mam eva ye prapadyante
mayam etam taranti te

“Questa mia energia divina [la materia], costituita dalle tre influenze della natura materiale, è difficile da superare, ma coloro che si abbandonano a Me ne superano facilmente i confini”. (Bhagavad Gita VII.14)
Questi sono i principi base che occorre avere ben chiari quando si affrontano i temi delicati che sorgono nella società di oggi in chiave bioetica. Senza di essi qualsiasi discussione sarà affrontata solo superficialmente, e non si potranno avere contribuiti oggettivi, ma solo vaghe speculazioni che saranno interpretate soggettivamente.

Ringraziamenti:
Si ringrazia Giovanni Canepa per il prezioso lavoro di ricerca e per gli utili suggerimenti forniti.

lunedì 23 febbraio 2009

giovedì 19 febbraio 2009

SOGNARE DA SVEGLI.
di Priscilla Bianchi.

Le persone si intrattengono spesso parlando dei loro sogni: sogni da realizzare, sogni ancora tutti da sognare, sogni finiti in quel celebre cassetto senza fondo che aspetta ancora di essere aperto. E' chiaro che quando parliamo di realizzare i nostri sogni, con la parola sogno non ci stiamo riferendo all'attività psichica che si attiva mentre dormiamo, bensì ad un sinonimo di desiderio o fantasia. Per quanto riguarda il termine desiderio, l'etimologia ce ne svela la natura più profonda. Le due parole latine che compongono il desiderio sono la particella de- che in questo caso indica allontanamento, 'via da' e sidus-sideris, dal significato di 'stella, astro'. Letteralmente, dunque, desiderio significa 'lontano dalle stelle', indica la mancanza di sidera, delle costellazioni necessarie per trarre gli auspici. Se ci riflettiamo, effettivamente il desiderare implica una lacuna, una mancanza: si desidera quel che ci manca e quello che, secondo noi, completerebbe la nostra vita o ci procurerebbe una gioia al momento assente. E' proprio a questo punto, all'inizio cioè del processo, che dobbiamo porre particolare attenzione alla motivazione e alla natura del nostro desiderio: cosa stiamo desiderando? E soprattutto: perché? Siamo proprio sicuri che quella cosa, quella persona, quella situazione andrà a colmare qualche nostra lacuna e ci farà stare meglio? Attraverso questo processo logico saremo probabilmente in grado di evitare i danni maggiori, sempre che il desiderare egoico, dribblando tutti i filtri razionali, non sia già divenuto sentire, ovvero non si sia già prepotentemente insediato nei nostri sensi. Quando così accade, la manovra di inversione a U riesce raramente, e in ogni caso con grande difficoltà. Questo perché l'energia del desiderio non è più semplicemente psichica, ma è entrata nella centralina dei sensi mandandola in fibrillazione. Ecco come la Bhagavad-gita, testo di millenaria sapienza, conferma e mette in guardia:

“Come un vento impetuoso spazza via una barca sull'acqua,
così uno solo dei sensi su cui la mente si fissa
porta via l'intelligenza dell'uomo”(1)

Quando il pensare/desiderare/fantasticare è ormai nella fase del sentire, quella del volere è dietro l'angolo ed è piuttosto arduo schivarla. E' per questo che, come affermano le Upanishad e la Gita e come ben sintetizza Marco Ferrini nel suo “Pensiero, Azione, Destino”, è davvero importante monitorare i nostri pensieri e i nostri desideri, perché da quelli scaturiscono inesorabilmente le azioni che orientano il nostro presente e anche il nostro futuro. Il desiderio vola sulle ali della fantasia, che il dizionario descrive come quella “facoltà dello spirito capace di riprodurre o inventare immagini mentali in rappresentazioni complesse, in parte o in tutto diverse dalla realtà”. Tale concetto ci rimanda inevitabilmente a quello di visualizzazione e a quello veicolato dal sanscrito vikalpa. Vikalpa, nel linguaggio proprio dello Yoga darshana(2), indica un fantasticare che può avere natura costruttiva, oppure condizionante. Nel primo caso la visualizzazione che il soggetto proietta sul proprio schermo mentale è basata su sat, sulla realtà, intendendo per realtà qualcosa che risponde ad una natura vera e buona e che affonda le proprie radici nel principio cosmico del dharma, l'Ordine universale. Questa è la dinamica che segue un desiderio sano, ben orientato, che darà buoni frutti. In caso contrario il fantasticare avrà ali corte, perché non avendo una base reale nel senso appena spiegato, obbligherà il soggetto a naufragare, generalmente dopo qualche esperienza deludente e dolorosa. Ciò che è fondamentale comprendere è che il desiderio mette in moto un processo creativo sul piano sottile. Desiderando, soprattutto se il desiderio è accompagnato da una carica emotiva forte, emaniamo una frequenza energetica che richiama invariabilmente cose, persone e situazioni sintonizzate su quella stessa frequenza. Pensieri e desideri sui quali ci concentriamo di più, consapevolmente o meno, diventano “cose” e si concretizzano nei vari episodi della nostra vita. Questo è, in sintesi, il principio alla base della ormai nota “Law of attraction”, la legge di attrazione, una delle leggi che governano l'universo. La fisica quantistica conferma che l'universo nel quale viviamo è un insieme di vibrazioni energetiche; anche i nostri pensieri e desideri lo sono e ciascun individuo è come una potente stazione radio. Certe vibrazioni entrano in risonanza con vibrazioni simili e determinano specifici campi di frequenza. In sintesi potremmo affermare che ciò che emaniamo sarà ciò che attraiamo e in tal senso è proprio vero che il mondo è come un grande specchio che riflette la nostra realtà interiore. Il lavoro più impegnativo consiste nel sondare le nostre pulsioni inconsce, visto che i desideri inconsci non sono meno forti di quelli consci, ma sono molto meno determinabili. Risulta quindi prioritario diventare quanto prima e quanto più profondamente consapevoli dei semi che giacciono sul fondale del nostro inconscio prima che si dischiudano manifestando situazioni a noi sgradevoli o addirittura ostacolanti per il nostro percorso evolutivo. Questa analisi è fondamentale anche per riuscire a trovare una coerenza nella nostra modalità di “emissione energetica”; ad esempio, se sul piano cosciente desideriamo stringere amicizie sul piano di sattvaguna(3), ma il nostro inconscio ci sospinge ancora verso situazioni tamasiche o rajasiche, probabilmente queste ultime spinte avranno la meglio, oppure sfioreremo per breve tempo compagnie più elevate per essere poi risucchiati in vecchie e ripetitive dinamiche. Se desideriamo cambiare vita o se intendiamo modificarne almeno alcuni aspetti, dovremmo modificare la nostra frequenza, che in termini pratici significa modificare i nostri pensieri, ovvero i nostri contenuti mentali. Secondo la sapienza dell'India classica nell'universo operano tre macrofrequenze, cui ho già precedentemente accennato: si tratta di sattva, rajas e tamas. Le persone che vibrano secondo la frequenza di sattvaguna generalmente si circondano di bontà e benessere; quelle che vibrano secondo la frequenza di rajas, secondo la Gita vanno inesorabilmente incontro alla sofferenza, perché sono impulsive, frenetiche e sconsiderate nell'azione e nella reazione; chi, infine, è sintonizzato sulla frequenza di tamas, perpetuando un atteggiamento apatico e negativo, non farà che attrarre nella propria vita situazioni che somiglieranno a vicoli ciechi e depressione. Chi impara a sognare “da sveglio” nel senso vero dell'espressione, coltiva la propria consapevolezza, seleziona i propri contenuti mentali, comprende a fondo che cosa veramente desidera, mette a fuoco il proprio sogno e ci si “prova dentro”, incanala la propria energia e la propria affettività nella direzione della realizzazione del sogno senza lasciare spazio ad interferenze ostacolanti, predisponendosi con lietezza d'animo e fiducia. Per poter giungere a tale lucidità di pensiero ed efficacia nell'azione è condizione imprescindibile intraprendere un percorso di autodisciplina attraverso il quale riportare armonia nella nostra vita, sviluppando modalità psicofisiche che ci orientino verso un trend evolutivo. La sadhana bhakti, millenario sentiero di realizzazione del sé percorso con successo da grandi Maestri e da loro trasmesso ai propri discepoli di era in era, offre anche all'uomo di oggi strumenti quantomai preziosi per uscire da condizioni frammentate ed alienanti e ritrovare un appagamento profondo e duraturo. Scopo del Centro Studi Bhaktivedanta, con i suoi numerosi programmi ed attività, è proprio quello di mettere a disposizione antiche tecniche ed imperitura saggezza con un linguaggio ed una metodologia adatti ai nostri tempi. Buona continuazione e buona realizzazione dei vostri sogni.

(1) Bg. II.67
(2) Uno dei sei darshana o sistema di pensiero classico dell'India. L'autore, il saggio Patanjali, negli Yogasutra che costituiscono tale darshana ha raccolto tutti i principali insegnamenti sullo Yoga. Il CSB ha svolto numerosi lavori e studi comparati con la odierna psicologia su questo tema, richiedibili via internet o direttamente alla nostra Segreteria.
(3) I guna sono i costituenti della materia, potenti energie archetipe che strutturano l'universo. Sattva indica in generale la virtù con tutte le sue caratteristiche, tra cui bontà, luminosità e visione; rajas e tamas indicano rispettivamente la passione e l'inerzia/ignoranza.

mercoledì 18 febbraio 2009

VEGETARIANO UN ITALIANO SU DIECI.
IN AUMENTO IN TUTTO IL MONDO QUELLI CHE RIFIUTANO LA CARNE.
SONO SOPRATTUTTO GIOVANI E DONNE.
PER ALCUNI SCELTA PART-TIME.
di Bazzi Adriana (Corriere della Sera - 12 Febbraio 2009).

I teenager americani lo fanno per gli animali, spinti, qualche volta, dalle crude immagini dei video di YouTube sulle stragi di polli etacchini, vitelli e agnelli (e anche di altre specie non commestibili). Così, secondo alcune stime del governo, almeno un adolescente su duecento evita di mangiare carne. C' è chi lo fa per spirito animalista (non solo i più giovani, ma anche gli adulti, in Usa e in Europa), chi per rispetto dell' ambiente (i più informati sui temi dell' ecologia sulla scia dell' ex Beatle Paul McCartney), chi per motivi salutistici (i meno giovani che magari hanno qualche problema di colesterolo o di pressione) e intanto l' esercito dei vegetariani si ingrossa in tutto il mondo. In Italia, secondo l'Eurispes, sono oltre quota sei milioni (circa il 10 per cento della popolazione e l' Italia, secondo le stime dell' Unione vegetariana europea, è al primo posto, seguita dalla Germania con il 9 per cento), ma nel 2050 gli italiani potrebbero arrivare addirittura a 30 milioni, se anche da noi arriverà la nuova veggie generation. «La sensazione - commenta Luciana Baroni, medico all' ospedale Villa Salus di Mestre-Venezia e presidente della Società scientifica di nutrizione vegetariana - è che, proprio perché fanno una scelta ideologica, i più giovani sono più spesso vegani, escludono cioè dalla loro dieta anche uova e latte. Pensano al benessere globale degli animali e ritengono che il solo non mangiar carne non elimini completamente le loro sofferenze». Perché i vegetariani non sono tutti uguali: i «classici» non mangiano né carne né pesce, ma accettano latte e uova, i vegani invece escludono anche questi ultimi (e spesso evitano anche tutti gli altri prodotti di origine animale, come pelli o cuoio), mentre i più oltranzisti (come i crudisti o i fruttisti) ammettono soltanto particolari categorie di cibi (rispettivamente solo vegetali crudi o solo frutta e semi). Ecco il loro identikit: più spesso donne, con un livello di istruzione medio-alto che vivono (in Italia) prevalentemente al Nord o al Centro. «Il crescente interesse per il vegetarianesimo - aggiunge Luciana Baroni - è favorito anche dal fatto che quell' aura di paura nei confronti di queste abitudini alimentari si è piano piano dissolta alla luce delle evidenze scientifiche e in realtà non esiste nessun pericolo concreto nell' abbracciare questo tipo di alimentazione». Non tutti la pensano così, soprattutto quando si parla di adolescenti. «Certo, i giovani vegetariani sono in aumento - conferma Andrea Ghiselli, ricercatore all' Inran, l' Istituto italiano per la ricerca e la nutrizione, ed esperto di un forum sulla nutrizione del Corriere Online - e sono soprattutto ragazze che spesso lo fanno per moda. Ma devono fare attenzione: i maschi in particolare rischiano carenze soprattutto di calcio, le femmine di ferro. Se la dieta è vegetariana ma include prodotti animali ed è variata non ci sono particolari pericoli. Ma un vegano non può fare di testa sua: se decide di esserlo è bene che pianifichi la sua dieta con un nutrizionista». Le linee guida dell' American Dietetic Association dicono che le diete vegetariane e vegane sono appropriate per tutti i periodi della vita, comprese l' infanzia e l' adolescenza, a patto che siano well balanced e che eventuali deficit di vitamina B12, cui vanno incontro soprattutto i vegani, siano prevenuti con supplementi vitaminici. E il numero di febbraio della rivista Women' s Health Source della Mayo Clinic, uno dei più famosi ospedali americani che ha sede a Rochester, è rivolto alle donne ed è dedicato ai consigli per pianificare una corretta dieta vegetariana Anche Michele Carruba, direttore del Centro studi e ricerche sull' obesità all' Università di Milano, avverte che quanto più il vegetarianesimo è spinto tanto più richiede conoscenza degli alimenti e aggiunge: «L' importante è mescolare e combinare i cibi il più possibile». Gli esperti francesi dell' Istituto della nutrizione, per voce del vicepresidente Bernard Guy Grand, ricordano che una serie di studi epidemiologici dimostrano come i vegetariani siano meno soggetti a ipertensioni arteriosa e a problemi cardiaci e abbiano minori rischi di obesità e di diabete di tipo 2. Ecco giustificata la scelta salutista, ma in Francia, come in Italia, sta prendendo sempre più piede la motivazione di tipo ecologista quando si decide di seguire la strada verde a tavola, mentre è decisamente in calo, rispetto agli anni passati, quella di tipo filosofico-religioso. «La scelta vegetariana di tipo religioso oggi è legata soprattutto alla presenza di immigrati - commenta Carruba, che è anche presidente della società del Comune di Milano responsabile della ristorazione scolastica - e nelle scuole di Milano teniamo conto delle richieste in questo senso. Per contro si sta facendo strada il concetto di un' alimentazione ecosostenibile, che si svilupperà anche con l' Expo: un' alimentazione troppo sbilanciata sul consumo di carne animale provoca danni ambientali sia per quanto riguarda la deforestazione, sia per quanto riguarda l' inquinamento. Questo però non significa diventare tutti vegetariani». Qualcuno, soprattutto in America, ha già scelto la strada del vegetarianesimo part-time: si chiamano flexitarian, la loro Bibbia è il libro Flexitarian Diet della dietista Dawn Jackson Blatner, il precetto: mangiare carne o pesce non più di due volte alla settimana. Il sito di riferimento: www.almostvegetarian.blogspot.com. I puristi vegetariani dialogano invece su altri siti: dall' italiano www.vegetariani.it all' inglesewww.veggievision.tv, una vera e propria televisione via Internet dedicata ai vegetariani. «Internet rimane il mezzo migliore per far circolare le nostre idee - commenta Luciana Baroni -. C' è infatti ancora un po' di diffidenza nei confronti dei vegetariani. Per esempio: quando un esperto di alimentazione vegetariana viene invitato a un talk show si invoca la par condicio: ci vuole anche chi parla bene della carne». Così i seguaci della dieta verde si sono persino inventati il Veggie pride, il giorno dell' orgoglio vegetariano: l' anno scorso è stato a Roma, quest' anno per la seconda edizione del 16 maggio si mobiliterà Milano, in contemporanea con il nono Veggie pride francese a Lione.

martedì 17 febbraio 2009

SCONVOLGIMENTI CLIMATICI E DHARMA.
di Andrea Boni.

Negli ultimi mesi siamo invasi da articoli o servizi che ci spiegano gli effetti sul clima dell’azione sconsiderata dell’uomo sulla natura. Per analizzare queste condizioni che coinvolgono tutti i paesi del mondo e per suggerire delle modalità di intervento operative vengono inoltre organizzate molte conferenze mondiali. La situazione è davvero preoccupante, e coinvolge direttamente la salute di pressoché tutta la popolazione mondiale. Per avere un’idea, Elena Dusi, in un articolo apparso su Repubblica il 27 Aprile 2007, evidenzia come “le estati torride che si stanno succedendo mettono a dura prova il sistema cardiocircolatorio. Gli inverni miti favoriscono invece il proliferare di agenti infettivi che credevamo relegati a latitudini tropicali. Il riscaldamento del clima fa sballare molti ingranaggi di quel delicato meccanismo che è il pianeta Terra. E le conseguenze iniziano a farsi sentire anche sulla salute umana. A soffrirne di più sono i paesi in via di sviluppo, con un'Africa minacciata da carestie e aumento delle infezioni. E un sud-est asiatico più esposto a eventi meteorologici estremi accompagnati da inondazioni e smottamenti. In Europa sono soprattutto le ondate di calore a spaventare. Nell'estate del 2003 i decessi legati alle alte temperature sono stati 35mila, soprattutto fra anziani e cardiopatici. Ma anche chi soffre di allergia ha poco da essere allegro. A causa delle temperature miti i pollini impregnano l'aria per un arco di tempo più lungo. L'inquinamento atmosferico e la presenza di ozono a bassa quota aggravano i casi di asma allergica e di broncopneumopatia cronica ostruttiva, la malattia tipica dei fumatori che riduce a un rivolo l'afflusso d'aria nei polmoni.” Un altro fattore di estremo interesse risiede nel fatto che fenomeni tipici delle zone tropicali si stanno affermando anche alle nostre latitudini: “La zanzara della malaria - forse la minaccia più grave per quanto riguarda le infezioni - ha raggiunto l'Europa nello scorso agosto. Come riferisce il Financial Times, in Corsica si è registrato il primo caso autoctono (con infezione avvenuta in loco) degli ultimi 35 anni. In un articolo pubblicato su The Lancet, Anthony McMichael dell'università di Canberra prevede un aumento del 16-28 per cento dei casi di malaria entro il 2100. "Anche gli agenti patogeni di salmonella e colera - prosegue lo studio - crescono più rapidamente a temperature maggiori". Al Gore, autore del recente documentario “Una verità scomoda”, in un articolo apparso su Repubblica il 1 Giugno 2007, evidenzia che il riscaldamento globale, causato in buona parte da attività umane, è effettivo e sta peggiorando assai rapidamente.

Al Gore afferma:
“ ... noi abbiamo radicalmente alterato il rapporto fondamentale tra esseri umani e Terra. Ciò è imputabile a una combinazione di fattori diversi. Primo: in un solo secolo la popolazione umana sul pianeta è quadruplicata. Erano occorse diecimila generazioni prima che la popolazione mondiale raggiungesse i due miliardi, soglia raggiunta quando è nata la mia generazione - quella dei baby-boomers. Adesso, nell'arco di una sola vita - la nostra - la popolazione mondiale sta passando da due a nove miliardi di individui (proiezione dei prossimi 45 anni). Abbiamo già superato la soglia dei 6,5 miliardi di persone […].
Secondo: la potenza delle nuove tecnologie oggi disponibili ha moltiplicato di migliaia di volte l'impatto che ciascun individuo può avere sul mondo naturale. Le nostre vecchie abitudini, un tempo in massima parte positive, adesso sono perseguite con tale accentuata intensità che siamo diventati un po' come il proverbiale “elefante in una cristalleria”. Terzo: l'insolita attenzione che riponiamo pensando a breve termine e perseguendo una gratificazione immediata - non solo come individui, ma, cosa più importante, nelle modalità di intervento dei mercati, delle economie nazionali e delle agende politiche - ha portato a un'esclusione sistematica delle conseguenze sul lungo periodo dalle nostre decisioni e dalle politiche che adottiamo.” Le conseguenze di questo rapporto radicalmente nuovo tra esseri umani e Terra sono devastanti: oggi non si parla neanche più tanto di rapporto, quanto di scontro. La comunità scientifica ci ha ormai sommersi di documentazioni di vario tipo a riprova dei terribili cambiamenti che stiamo arrecando al pianeta. È un po' la loro versione di chi grida le proprie verità dalla sommità dei tetti. E’ interessante leggere il breve resoconto dei diversi studi sugli sconvolgimenti climatici che si sono succeduti nei soli ultimi 15 anni. Nel 1992 è stato pubblicato uno studio che riporta “le informazioni desunte da una carota di ghiaccio risalente a 160.000 anni fa che dimostrava che i livelli di anidride carbonica nell'atmosfera terrestre non erano mai stati più alti di quelli che avevamo al momento.” In un’altra edizione dello stesso studio pubblicata nel 2000, sono state pubblicati i risultati di uno studio condotto su una carota glaciale, risalente a 420.000 anni fa, dalla quale si perveniva alle medesime conclusioni. Adesso, dalle pagine di un nuovo studio pubblicato questo anno, è possibile constatare che gli attuali livelli di CO2 sono i più alti mai registrati in ben 650.000 anni! Al pari delle altre prove e documentazioni fornite, questo dato conduce esattamente alla stessa conclusione presentata nel libro di quindici anni fa. Solo che oggi le prove sono molto più schiaccianti.

Al Gore scrive:
“Dal 1992 a oggi quattro prestigiosi organismi scientifici hanno redatto nuovi compendi di studi che riportano un numero sbalorditivo di dati e hanno creato il più forte consenso immaginabile su queste questioni per ammonire i politici che devono prendere le decisioni: Il Panel Intergovernativo sul cambiamento del clima, formato da oltre duemila tra i più illustri esperti del mondo, ha redatto due voluminosi rapporti che giungono alla conclusione che gli esseri umani stanno avendo un forte impatto sul clima terrestre e che le terribili conseguenze di ciò sono percepibili già oggi. Gli scienziati inoltre illustrano nei dettagli le conseguenze infinitamente peggiori che avranno luogo in futuro se non si farà nulla per porre rimedio alla crisi del clima. L'Accademia Nazionale delle Scienze, il sistema aureo della ricerca statunitense, ha pubblicato numerosi studi, tra i quali uno del 2006 che sostiene che "probabilmente" stiamo vivendo il periodo più caldo sulla Terra degli ultimi due millenni. L'Accademia ha fornito consigli all'Amministrazione Bush su questioni chiave relative ai principi fondamentali del sistema climatico. L'U.S. Global Change Research Program ha pubblicato nel 2000 il suo National Assessment, nel quale illustra, per la prima volta, gli impatti regionali che avrà il cambiamento climatico in termini di geografia e di settori cruciali (quali l'agricoltura, la salute degli esseri umani, e le foreste) qui negli Stati Uniti. Nel 2004, è stato pubblicato l'Arctic Climate Impacts Assessment, nel quale si illustra in che modo le temperature artiche siano aumentante a un ritmo quasi doppio rispetto a quelle del resto del mondo, in gran parte perché la neve artica e il ghiaccio che riflettono la luce del Sole si stanno sciogliendo, lasciando dietro di sé terra scura e superfici di oceano, che a loro volta assorbono maggiormente il calore del Sole e riscaldano sempre più la regione. L'Assessment è altresì giunto alla conclusione che la riduzione dei ghiacciai marini diminuirà drasticamente l'habitat marino degli orsi polari, delle foche dei ghiacci e di qualche uccello marino, innescando l'estinzione di alcune specie. Oltre a questi studi principali, sono stati pubblicati altri documenti che come tessere di un mosaico hanno contribuito a formare un quadro più preciso della situazione. Tra questi ricordiamo: Uno studio del 2005 pubblicato su Nature ha stabilito che i livelli crescenti di anidride carbonica riducono i livelli di pH negli oceani, con la conseguenza che l'acqua diventa sempre più acida. Se questo ciclo dovesse continuare, alcuni organismi marini fondamentali quali i coralli e alcuni plankton (che costituiscono il primo anello della catena alimentare oceanica), andranno incontro a problemi nel mantenere e costruire i loro scheletri di carbonato di calcio. I risultati di questo studio indicano che queste condizioni potrebbero svilupparsi entro qualche decennio, e non tra qualche secolo come si è creduto in precedenza. Numerosi studi pubblicati su Science e un articolo pubblicato di recente sia su Nature sia su Geophysical Research Letters conferma l'emergente consenso della comunità climatica sul fatto che il cambiamento del clima sta riscaldando le acque degli oceani, esacerbando di conseguenza l'energia distruttiva degli uragani. Uno studio del luglio 2006 pubblicato su Geophysical Research Letters riferisce che i ghiacciai alpini in Europa potrebbero sparire quasi del tutto entro questo stesso secolo. Infine, dato forse più allarmante di tutti, la Nasa ha registrato alcune immagini dai satelliti dalle quali si può notare che la coltre di ghiaccio della Groenlandia è molto più instabile di quanto si supponesse finora. I ricercatori di Harvard hanno raccolto le prove di terremoti verificatisi nel ghiaccio che hanno fatto registrate scosse tra i 4,0 e i 5,0 gradi della scala Richter. Ciò si somma al collasso di parti di ghiaccio vaste quanto Rhode Island che si sono staccate dalle penisola antartica, dando vita a ulteriori preoccupazioni per la stabilità dello strato di ghiaccio dell'Antartico Occidentale. Se dovessimo destabilizzare e lasciar sciogliere la coltre di ghiaccio alta tremila metri che ricopre la Groenlandia o una parte dell'altrettanto enorme massa di ghiaccio dell'Antartico Occidentale, in entrambi i casi il livello delle acque oceaniche salirebbe in tutto il mondo di oltre sei metri” Queste descrizioni apocalittiche, davvero paurose, sebbene precise dal punto di vista dell’analisi, come spesso accade, mancano però di sintesi. Il problema vero infatti è uno solo: il mancato rispetto del Dharma. Nella cultura Indovedica è ben nota la relazione tra natura e Dharma, tra sconvolgimenti climatici e Dharma. In particolare è noto che gli sconvolgimenti climatici avvengono a seguito di una deliberata infrazione dell’ordine cosmico da parte degli esseri umani. Nello Shrimad Bhagavatam, Primo Canto, Capitolo 14, viene descritto lo stato d’animo del re Yudhisthira in attesa di suo fratello Arjuna, che si era recato a far visita a Krishna, nella città di Dvaraka. A quel tempo Krishna aveva ormai compiuto la Sua Missione sulla terra e, attraverso un lila Divino, aveva lasciato il pianeta. Finché Krishna era rimasto sul pianeta il Dharma veniva seguito in modo rigoroso, e tutto era in armonia. Ma a seguito della Sua “scomparsa” ha inizio ufficialmente l’era di Kali, che porta sventura e una progressiva infrazione del Dharma. L’uomo perde la propria relazione con il Supremo e, agendo in modo egoico, diventa avido di potere materiale, illuso di poter dominare la Natura, e così facendo perde tutte le sue qualità più profonde che lo legano all’ordine universale e come coseguenza a Dio. Ciò è ben rappresentato dalle sensazioni che prova Yudhisthira quando non vede arrivare Arjuna. Maharaja Yudhishthira cominciò ad osservare cattivi e paurosi presagi osservando la Natura (SB I.14.2):
“Egli vide che la direzione del tempo eterno era cambiata, e questo procurava molta paura. Vide irregolarità nello svolgimento naturale delle stagioni. Le persone in generale erano diventate molto avide, sempre in collera e disoneste. Vide che vivevano in maniera incivile.” (SB I.14.3).
In generale, quando l’essere umano è sconnesso dalla relazione d’amore che lo lega al Signore, se ne avvertono i sintomi nello sconvolgimento del flusso regolare delle stagioni, nel dilagare dei mezzi disonesti di vita, nell’avidità e nella collera che diventano predominanti. Il Dharma è l’ordine cosmico che sostiene l’intero universo, ma se viene “calpestato” si manifestano inevitabilmente le coseguenze devastanti. Le corrette ed utili analisi che ci vengono riportate oggi mancano di questo fondamentale dato: l’Uomo non può prescindere da un’aderenza a valori etici elevati, e un atteggiamento egoico nei confronti della vita è la vera causa dei suoi problemi. Prima di cercare cure esteriori materiali, quindi, occorre cercare cure interiori, come spiegato stupendamente da Krishna Stesso nella Bhagavad-Gita. In quel modo anche l’ordine cosmico sarà naturalmente ripristinato.

lunedì 16 febbraio 2009

LA SCIENZA E I VEDA.
di Andrea Boni.

Il presente contributo video introduce le relazioni tra i contenuti dei testi sacri del pensiero classico Indiano e i risultati della fisica moderna.

venerdì 13 febbraio 2009

IL PENSIERO
di Marco Ferrini.

Che cos’è un pensiero? E’ esclusivamente chimica cerebrale, il risultato di un “movimento neurale” o un fenomeno che sottintende ad energie più sottili, che utilizzano la struttura bio-neurologica come strumento?
Cerchiamo anzitutto di dare una definizione di pensiero, di capire di cosa si tratti. Un pensiero è un oggetto psichico, così come un’idea, un desiderio o un’emozione. Tramite complesse elaborazioni, che avvengono nell’encefalo, sul piano corporeo i loro effetti si possono manifestare con sudorazione, tremito, pallore, arrossamento, brividi e via dicendo, ma la loro genesi è sempre psichica. Se i pensieri sono oggetti, dove risiedono? Esiste un deposito nel quale sono collocati? Chi li produce e da dove vengono? Come la luce e il suono si trasmettono nell’etere, come gli odori vengono trasportati dall’aria, così i pensieri si manifestano e si propagano nella mente. Secondo la scienza psicologica dell’India classica anche la mente è un elemento costitutivo del cosmo, conosciuto nei Veda con il termine Mahat o buddhi, la Mente cosmica. La mente individuale è parte minutissima della mente cosmica ed è un importante strumento a disposizione del sé, una sorta di ricetrasmittente che riceve dati dai sensi e a sua volta li trasmette alle aree più profonde della psiche, individuale e collettiva. Il pensiero è una realtà pre-esistente rispetto agli strumenti fisici, neurologici; è come il suono, sempre presente nell’etere; così come per captare il suono abbiamo necessità di una radio o comunque di uno strumento adatto a recepire e a tradurre quel tipo di segnale acustico, allo stesso modo per recepire, per cogliere un pensiero, già presente nell’etere della mente, abbiamo necessità di una strumentazione adeguata, che in questo caso è costituita dal lobo temporale.
Abbiamo detto che un pensiero è un oggetto psichico, ha la sua realtà psichica e una fondamentale rilevanza nella formazione del carattere e della personalità, che saranno molto differenti a seconda che noi siamo portatori di pensieri di un certo tipo o di un altro. Pensare non è assolutamente qualcosa di astratto e ininfluente, poiché da ciò dipende la buona o la cattiva direzione della nostra vita. Ognuno è ciò che pensa; a tal proposito le Upanishad affermano: “così come pensi, diventi”. Un pensiero è un poliedro dalle molte sfaccettature, eccone due principali: le motivazioni e i contenuti. Va da sé che le motivazioni possono essere positive o negative, esattamente come i contenuti, che possiamo più incisivamente definire reali o illusori. Prendiamo come esempio un tipico slogan: “X crea il vostro stile”. Si tratta di un pensiero falso perché nessuno può creare il vostro stile, solo voi potete creare il vostro, altrimenti quello stile è di chi lo ha creato. Se facessimo pulizia dei tanti pensieri tossici che circolano ovunque e di cui molti di noi si nutrono ogni giorno, ci eviteremmo molti problemi e innalzeremmo considerevolmente la qualità della nostra vita; purtroppo ne siamo sommersi, ciononostante non siamo tenuti ad accoglierli, a fondare la nostra vita su di essi. Che cosa sono i pensieri tossici? Come si riconoscono? Sono quelli che non hanno nessuna attinenza con la realtà, concetti fasulli, strutture di pensiero di mera apparenza, prive di connessione con il reale; pensieri propagati, diffusi, assunti, metabolizzati, senza tener conto delle conseguenze. Come esiste un inquinamento dell’aria, dell’acqua e del cibo, esiste anche un inquinamento psichico, assai più grave e ben più difficile da riconoscere rispetto ai rifiuti tossici fisici, dai quali, volendo, si possono agevolmente prendere le distanze. Ma il pensiero, come abbiamo detto, è costituito anche di motivazioni; la motivazione è il secondo aspetto fondamentale del pensare infatti, se un pensiero che esprime un contenuto reale è fondato su motivazioni negative, quali invidia, rancore, vendetta, a causa della carica emotiva tossica anche quel contenuto reale si corrompe, si distorce, e alla fine rende tossico anche il pensiero.Esistono diversi aspetti del pensare; il darshan Nyaya (logica), ad esempio, ne individua due principali: il primo consiste nell’analisi dei propri pensieri, analisi che avviene interiormente; il secondo consiste invece nella riflessione o nell’esame, che a questo punto si può esternare attraverso l’argomentazione, delle deduzioni derivate dall’analisi. Il pensiero si suddivide inoltre in due fasi: la fase in corso, mentre viene pensato, che produce effetti generalmente sotto il controllo del pensatore, che è quindi in grado di modellarlo, e una seconda fase in cui il pensiero, una volta che è stato “ospite” o creatura del soggetto pensante, scivola nell’inconscio, dove lascia una traccia latente, una registrazione mentale inconscia detta samskara. Ma che succede quando un oggetto psichico scivola nell’inconscio? Si aggrega a contenuti psichici di analoga caratteristica emotiva: paura con paura, gioia con gioia, invidia con invidia e così via. Da quel momento in poi, il “pensiero pensato” diventa autonomo rispetto al soggetto pensante e può agire inaspettatamente anche contro la sua volontà. Nella fase in cui il pensiero viene pensato, il soggetto può ancora intervenire, plasmarlo, ma una volta scivolato nell’inconscio ciò non è più possibile, se non con tecniche speciali che diano accesso a quella parte blindata della psiche profonda. Queste categorie inconsce esistono già, a priori, e assorbono le emozioni a seconda della loro specifica natura; sono come serrature in attesa di chiavi. Questi composti inconsci costituiscono componenti emotive importanti, generano le tendenze caratteriali (vasana) e formano così la base sommersa della personalità. Prendiamo una persona che nutre sentimenti di invidia, gelosia o rancore: anche quando si concentra su altro, i pensieri negativi che hanno originato in lei i suddetti sentimenti non si sono annullati, sono stati solo temporaneamente “eclissati” e, poiché niente si crea e niente si distrugge, tali sentimenti, dall’inconscio, ancor più pericolosamente in quanto subdoli, continuano a generare misteriosi effetti negativi sul piano cosciente. Un numero sempre maggiore di moderni ricercatori nel campo scientifico della fisica quantistica, ritiene che l’universo fisico abbia le proprie coordinate di riferimento in una dimensione più sottile, di natura psichica, definita da alcuni ordine implicito. Secondo la tradizione vedica l’universo è esso stesso costituito di psiche, è energia psichica in espansione, un pensiero complesso la cui condensazione è il mondo fisico, da cui scaturisce l’esperienza empirica. Il tema offre stimoli infiniti, soprattutto perché non riguarda semplicemente dei tecnicismi, ma si rifà a figure, a strutture che si trovano già nella nostra mente, sebbene non siano di facile accesso o non si rivelino nell’immediato. Un termine tecnico in senso psicologico per indicare queste strutture è archetipi, frequentemente utilizzato anche da Jung. Nella scienza dello Yoga, rupa è il piano(1) delle forme, che comprende le forme mentali ma anche quelle psichiche(2), dalle quali il corpo fisico dipende. Il piano rupa dipende a sua volta dal piano di realtà ad esso superiore, la bhumi detta vibhuti(3). Qualsiasi oggetto, come una penna o un orologio, prima di diventare tale è stato un pensiero, un’idea, ha avuto dunque un imprinting psichico. Il mondo fisico, come quello psichico, è carico di energia; ogni oggetto è carico psichicamente e questo flusso di energia psichica prende il nome di pratyaya.Microcosmo e macrocosmo, come spiegano le Upanishad, sono indissolubilmente collegati; gli elementi psicofisici, pensieri e atomi, che costituiscono il microcosmo, corpi umani inclusi, sono gli stessi che costituiscono il macrocosmo; il pensiero individuale tossico va ad aumentare la tossicità della mente collettiva. Mentre sono in molti ad essere coscienti della propria salute fisica, è molto più raro trovare qualcuno che sia consapevole di quanto sta accadendo alla sua salute psichica, perché la cultura nella quale viviamo non dà parametri sufficienti per poterla conoscere e monitorare. La conoscenza della struttura fisica pare destinata a tutti, quella psichica solo a pochi specialisti. Ogni specie, nel mondo animale e vegetale, ha la sua peculiare struttura psichica ed è in forza di quella che prendono forma un uomo, una donna, un rettile, un pesce. Nella Gita (XV.9) si spiega che la struttura fisica di qualsiasi essere vivente ruota attorno a quella psichica. Lo stesso vale per il macrocosmo: tutto ciò che si cristallizza, che prende forma nel mondo, si “appoggia” per così dire, su di un ordine celato, implicito, che poi altro non è se non pensiero. Persone di grande valore hanno dimostrato che esiste molto più di ciò che si vede e si percepisce con i sensi. Vi sono percezioni che vanno ben oltre la portata dell’apparato sensoriale e ci sono persone in grado di accedere a questo tipo di esperienze e di percezioni, ad esempio i mistici autentici. Essi riescono a sfondare il velo dell’apparenza e a penetrare la realtà, entrando nell’essenza delle cose. L’essere umano è potenzialmente in grado di generare pensieri con intenzioni valide, ecologiche e contenuti reali. Questo è il livello di consapevolezza che dovremmo raggiungere, fonte di benessere prima di tutto per il soggetto ma anche per l’ambiente in cui vive. Come la tradizione vedica afferma e come possiamo sperimentare nella pratica, l’essere, la persona, non è la struttura psichica né quella fisica, ma dispone di questi strumenti psicofisici per raggiungere il fine della vita, lo scopo ultimo: il più alto bene-essere, la realizzazione del sé. Più ci avviciniamo al sé, più ciò diventa chiaro e reale; il sé è quel “motore immobile” che gestisce tutto il dinamismo, anche all’interno del paradigma spazio-temporale. Questo motore immobile è l’atman, le cui tre caratteristiche inalienabili sono esistenza, consapevolezza e beatitudine (saccidananda). A causa della rifrazione della luce dell’atman in ahamkara, l’ego distorto, l’individuo si trova a vagare nel mondo cangiante, trasportato dalle onde dell’oceano dell’impermanenza, onde generate principalmente dal pensiero. Perfezionando il proprio pensiero l’uomo può tuttavia modificare la propria azione e conseguentemente raggiungere la propria suprema destinazione: illuminazione, felicità e Amore.

(1) Il termine sanscrito è bhumi.
(2) Con mentale ci si riferisce al piano superficiale della mente, con psichico alla struttura mentale nel suo insieme.
(3) Il terzo dei sette piani o livelli, detti bhumi, descritti nella scienza dello Yoga. Nel caso delle vibhuti l’ambito è di natura energetica.

ORIGINE DELLA VITA
di Marco Ferrini.

Com’è strutturato l’universo? Che cosa sono la vita e la coscienza? Solo una combinazione di atomi e molecole? Le creature sono animate da un’essenza spirituale? Se sì, essa è presente solo nell’uomo o in tutte le manifestazioni della vita? Questi sono eterni interrogativi sia per la scienza che per la religione. Le menti più elevate della scienza occidentale hanno compreso il grande valore ma anche i limiti della conoscenza sperimentale, e hanno indicato nel metodo scientifico-deduttivo quello che consegue al piano contemplativo dell’intuizione. I rishi(1) indiani hanno impostato la loro ricerca partendo dal medesimo meccanismo di comprensione: è l’indagine nel profondo del sé che può condurre ad un livello di coscienza in cui si ha una visione unificata dei vari livelli di realtà, e si giunge alla comprensione delle leggi fondamentali dell’universo. Il racconto cosmogonico delineato nella letteratura classica indiana descrive in tre momenti l’esplosione di un seme: la germinazione, l’espansione e infine la disgregazione. Come dire: creazione, mantenimento e dissolvimento; dunque un percorso in cui un seme non percepibile(2) si espande differenziandosi in spazio cosmico, fino alla sua dissoluzione. Secondo la filosofia Samkhya(3) e Yoga(4), così come la persona umana è in verità una combinazione di fisico, psichico e spirituale, il mondo oggettivo è la manifestazione di un pensiero creato dalla volontà della Mente cosmica, energia cristallizzata in materia allo scopo di consentire all’essere di un percorso di realizzazione. La conversione dell'energia in materia e della materia in energia, secondo le formule rivelate all’Occidente da Einstein più di un secolo fa, fino alle recenti scoperte della fisica quantistica, descrivono con linguaggio scientifico occidentale le medesime grandi realizzazioni dei saggi vedici. Secondo questi ultimi l’universo risulta infatti essere coscienza in espansione; un progetto realizzato dal pensiero della Mente Cosmica. Nel paradigma Vedantico(5) sono due le categorie conoscitive: conoscenza della materia e delle sue particelle, come atomi e quark (i corpi) e conoscenza dello spirito (il conoscitore del corpo o campo). La prima categoria ha a che vedere con ciò che è mutevole, temporaneo ed esterno al sé; la seconda con ciò che è immutabile, eterno, trascendente: il sé. Tuttavia, in ultima analisi, secondo la psicologia indovedica non c’è reale dicotomia tra materia e spirito, in quanto entrambi sono energie originate dalla stessa suprema Coscienza, che pervade tutto l'universo fisico (virat, il corpo cosmico) e anima tutta la materia (prakriti), proprio come la coscienza individuale pervade l’intero corpo. Nel mondo, quindi, tutto è indissolubilmente collegato: il soggetto all’oggetto, lo spirito alla materia, gli esseri tra loro e ciascuno di loro all’Essere supremo, i corpi individuali al corpo cosmico, la mente individuale alla mente universale. La comprensione approfondita di queste fitte corrispondenze ed interrelazioni tra micro e macrocosmo, costituisce un presupposto indispensabile per penetrare la realtà e conseguire una piena realizzazione del sé attraverso lo sviluppo di una visione del mondo organica ed integrata. Le opere vediche insegnano infatti che il benessere di ciascun individuo dipende imprescindibilmente dal proprio livello di armonia con la dimensione del macrocosmo, con la sorgente divina di tutte le energie. Il Samkhya descrive le fondamentali energie costituenti il cosmo e il processo che porta alla manifestazione del mondo fenomenico, a partire dall’interazione di prakriti (materia) e purusha (essenza spirituale). Il dinamismo dell’universo si deve infatti all’interazione tra queste due differenti energie. Il loro venire a contatto è necessario poiché lo spirito è inattivo senza la materia e la materia è cieca senza lo spirito. Essi si presentano come coscienza e non-coscienza, soggetto e oggetto, conoscitore e conosciuto. L’intero processo della creazione è un atto di graduale evoluzione e sviluppo da un elemento al successivo, fino a raggiungere la varietà della natura come la conosciamo. In particolar modo nelle Upanishad(6), vengono descritte le fasi che delineano un processo che può essere definito di involuzione psichica o sviluppo nella materia, a seconda del punto d'osservazione. Per utilità didattica la chiameremo evoluzione, concetto da non assimilare a quello darwiniano di evoluzione delle specie. Si tratta di uno spessimento, di una concretizzazione sempre maggiore, fino a che gli elementi diventano percepibili dai sensi. Questo sviluppo delinea il tracciato di tutto ciò che è manifesto, e che passa da una fase implicita, sensorialmente impercettibile, intuibile solo attraverso le cosiddette percezioni paranormali, quelle che si sviluppano a livelli di coscienza superiore o supercoscienza, per giungere alla piena attuazione della propria realtà esplicita, percepibile dal complesso sensoriale. La filosofia Samkhya descrive gli elementi potenziali, le essenze della cosiddetta manifestazione sottile che vengono definiti tanmatra, generalmente non percepibili ma desumibili per inferenza. Questi elementi archetipi di energia vibrante corrispondono alle essenze del suono, del tatto, della vista, dell'olfatto e del gusto. Attraverso un processo di condensazione materica, essi generano prima le facoltà sensoriali (jnana indriya) dell'udito, del tatto, della vista, del gusto e dell'olfatto, poi i corrispettivi organi di percezione (karma indriya): l'orecchio, la pelle, gli occhi, la lingua e il naso, e infine i cinque bhuta, ovvero l'etere(7) (l'aria e gli elementi gassosi), il fuoco (gli elementi caldi e luminosi), l'acqua (gli elementi liquidi) e la terra (gli elementi solidi). La composizione dell’energia materiale (prakriti) è costituita dai cinque bhuta o elementi grossolani appena descritti (etere, aria, fuoco, acqua e terra) e dai tre elementi sottili che formano la struttura psichica degli esseri individuali e dell’universo: manas (mente), buddhi (intelletto) e ahamkara (io storico o falsa concezione di sé). Gli elementi fisici grossolani derivano dai tanmatra come segue: dal tanmatra del suono (shabdatanmatra) si produce akasha, l’elemento etereo-spaziale che procede dall’interazione tra il suono e il suo oggetto e rivela le caratteristiche dei suoni percepibili dall’orecchio, proprio perché la percezione dello spazio è legata all’apparato uditivo(8). Dal tanmatra del tatto (sparshatanmatra), combinato con quello del suono, si produce l’elemento aereo-ventoso (vayu, aria), con gli attributi del suono e del tatto: avvertito anche dall’udito ma specificamente rilevato dal tatto. Dal tanmatra del colore (rupatanmatra) misto a quelli del suono e del tatto, nasce l’elemento luminoso-igneo (agni, luce o fuoco), con proprietà di suono, tatto e colore, avvertito sia dall’udito che dal tatto ma specificamente rilevato dalla vista. Dal tanmatra del gusto (rasatanmatra) combinato con i precedenti tre, si produce l’elemento liquido-acquoreo (apa, acqua), con qualità di suono, tatto, colore e gusto, avvertito da udito, tatto e vista ma specificamente rilevato dal gusto. Infine il tanmatra dell’odore (gandhatanmatra) che, combinato con i quattro precedenti, origina l’elemento solido-ctonio (gandha, terra) che ha perciò le qualità di suono, tatto, colore, gusto e odore ed è avvertito da udito, tatto, vista e gusto ma specificamente rilevato dall’olfatto. Le combinazioni di atomi che troviamo in natura sono trasformazioni ulteriori degli archetipi tanmatra, l'esito di processi con più fasi di elaborazione, reazione e sintesi. Come possiamo comprendere è dunque dall'impercettibile, dal sottile, dagli elementi archetipi che si creano gli organi e gli elementi fisici; è la funzione o facoltà sensoriale che forma l'organo e che lo perfeziona a proprio uso e misura. Gli organi sensoriali sono trasduttori di energia: stimolati da una fonte energetica esterna, essi la traducono per trasmetterla ai centri nervosi. Sono come canali attraverso i quali passano informazioni in codice che raggiungono poi la mente e l’intelligenza, come spiegheremo in seguito. Sul piano fisiologico, quando le stimolazioni sensoriali raggiungono i centri nervosi della corteccia cerebrale, si attiva il collegamento con il resto del corpo fisico. Come insegna il Samkhya, ogni struttura fisica tangibile, percepibile con i sensi, deriva da una realtà più sottile, da un’impercettibile energia psichica, substrato di tutte le cose. Il corpo sottile costituisce una sorta di intelaiatura invisibile costituita di sostanza mentale sulla quale si configura e si costituisce il corpo fisico. Questo concetto richiama in maniera evidente e sorprendente una delle ipotesi più avanzate della fisica moderna, quella che riguarda il cosiddetto ordine implicito. Nella letteratura vedica, infatti, l’introspezione e l’intuizione mistica vengono esaltate quale strumento principe per cogliere la realtà trascendente, la quale si trova oltre la portata dei sensi e della logica umana, in grado di rilevare solo gli strati più epidermici del reale (percezione definita pratyaksha, relativa al piano psicofisico). Il livello superficiale di esistenza, l’unico percepito dalla stragrande maggioranza delle persone, viene definito da Bohm ordine esplicito o svelato. Sotto di esso vi è l’ordine implicito o celato, che dà origine a tutti gli oggetti e a tutte le apparenze del mondo fisico(9). Il pensiero indiano, in particolare la scuola del Vedanta vaishnava, spiega che la coscienza domina sovrana sulla materia, nel micro e nel macrocosmo. Il corpo individuale è assoggettato alla coscienza individuale(10), così come il corpo cosmico, l’universo, è pervaso e sostenuto dalla Coscienza universale. La coscienza individuale è parte della Coscienza cosmica. Per questo nelle opere upanishadiche troviamo affermazioni come: “Esso [il Brahman](11) è lontano ed è anche vicino; è all’interno e all’esterno di tutto(12)”, oppure “Tu sei Quello [il Brahman](13)”, da cui si evince che l’essenza spirituale sostiene e pervade ogni cosa e che il sé individuale è originato dal Sé cosmico(14) (come Sua espansione), ed è indissolubilmente collegato ad Esso da una relazione eterna(15). I mistici di tutte le tradizioni e di tutti i tempi hanno sempre visto e descritto una sorta di unitarietà, una relazione interattiva e interdipendente tra tutte le componenti del cosmo. Tale concezione, sorprendentemente si incontra e si armonizza con le più recenti scoperte scientifiche, specialmente quelle nel campo della fisica quantistica, che implicano una sostanziale interconnessione degli elementi della natura e il superamento della presunta assoluta separazione tra sistema osservato (oggetto) e sistema osservatore (soggetto). Già Einstein con la sua teoria generale della relatività aveva dimostrato che spazio e tempo non sono entità separate ma armoniosamente congiunte e parte di un insieme più vasto, un continuo quadridimensionale costituito appunto da massa, energia, spazio e tempo. Esponenti di spicco della moderna fisica subatomica hanno fatto ulteriori passi in avanti. Bohm, ad esempio, ha affermato che tutto ciò che esiste nell’universo è un continuum: le cose appartengono ad un insieme indiviso, anche se possiedono proprie qualità peculiari. I testi vedici offrono la grande opportunità di intraprendere un affascinante viaggio di conoscenza all’interno e all’esterno di sé stessi, poiché indagano le varie dimensioni della realtà individuando interazioni, collegamenti e corrispondenze. Essi non solo esplorano l’universo sensibile, definendo i princìpi fondamentali della cosmogonia e dell’escatologia vediche, ma descrivono anche l’universo dell’esperienza interiore, fornendo spiegazioni approfondite sui differenti stati di coscienza dell’essere e sulla personalità umana nelle sue molteplici componenti: percettiva, istintuale, pensante, immaginativa, volitiva, emozionale, intellettiva, intuitiva, spirituale. Nelle Upanishad si osserva l’universo e lo si comprende in costante relazione con l’individuo; l’analisi del rapporto tra macrocosmo e microcosmo assume così una preponderante connotazione psicologica, aprendo ad una visione della realtà fondata su di una stretta interrelazione tra sé e Super-sé, Brahman infinitesimale e Brahman supremo, nell’ambito peraltro di una peculiare caratterizzazione e concezione del tempo e dello spazio. Scopo principale del rishi upanishadico è quello di svelare la fitta rete di correlazioni che collega il mondo delle cose a quello della coscienza(16), l’oggetto al soggetto, il macrocosmo al microcosmo, riconducendo la molteplicità del reale alla sua sorgente unitaria ed individuando nel Brahman, il supremo Spirito, l’essenza ultima che tutto sostiene, che sta alla base ed unifica la moltitudine di cose e di eventi che osserviamo. Le scienze sperimentali forniscono un contributo importante nel campo della percezione, mettendo a disposizione sofisticati strumenti di osservazione e di ricerca. La moderna ricerca scientifica (in particolare la fisica quantistica) ha però già dimostrato quanto l’osservazione della realtà e la realtà stessa dipendano anche dalla coscienza dell’osservatore, dal punto di vista che questi ha sviluppato. Ai fini di un’indagine più attendibile risulta dunque indispensabile studiare non soltanto l’oggetto ma anche e soprattutto il soggetto, analizzare il funzionamento sottile del suo apparato psicofisico e comprendere la natura del suo sé profondo. L’occidentale tende ad essere rivolto essenzialmente all’esterno di sé. Di conseguenza, pur essendo divenuto esperto nell’analizzare con precisione e compiutezza i fenomeni della realtà oggettiva, rimane alquanto impreparato nello studio della propria realtà interiore. In tale ambito i testi indovedici offrono un inestimabile patrimonio di conoscenza, in grado di integrare le acquisizioni delle moderne discipline oggettive con una scienza antichissima ma di sorprendente attualità. Essi spiegano in maniera approfondita le dinamiche del mondo interiore, di cui la realtà esterna rappresenta generalmente una proiezione, proponendo un metodo efficace, per millenni sperimentato con successo, per lo sviluppo degli strumenti percettivi e per l’elevazione della coscienza. E’ infatti all’interno del contesto antico-indiano, e precisamente nella millenaria tradizione dello Yoga, che troviamo la più antica scuola di psicologia, capace di descrivere la natura e il funzionamento della psiche con una tale accuratezza, scientificità e proprietà di linguaggio, da risultare di grande utilità anche per la psicologia moderna. Secondo la psicologia indovedica la mente è oggetto, non soggetto; essa è il “filtro” attraverso il quale l’essere vede il mondo oggettivo. Definita “senso interno(17)”, esercita un ruolo chiave nel determinare la qualità dell’esistenza di ogni individuo, perché è il centro operativo che dirige ogni azione. La qualità della salute mentale determina la qualità della percezione, dunque la qualità del comportamento e quindi della vita. La letteratura vedica spiega infatti che né il tempo né lo spazio sono realtà assolute, in quanto individualmente vissute secondo modalità peculiari. Fenomeni come l’invecchiamento, la morte, le relazioni tra persone e quelle tra persone e cose sono dunque collegati a stati soggettivi della coscienza. La scienza psicologica indovedica non riduce la psicologia a neurofisiologia, come tendono a fare alcune scuole psicologiche moderne(18), le quali negano la peculiare realtà della psiche rispetto a quella del corpo e assimilano il prodotto cognitivo ad una struttura riducibile all’attività del sistema nervoso, dunque rispondente a leggi fisico-biologiche, e ricostruibile secondo parametri oggettivi e sperimentali. Per la psicologia indovedica gli oggetti psichici (idee, pensieri, immagini, emozioni, sentimenti, ecc.) non sono meno reali e consistenti di quelli fisici, caratterizzati da una loro propria conformazione e funzione, rilevabili però con una metodologia differente rispetto a quella utilizzata per i corpi sensibili, quest’ultima consistente principalmente nel metodo epistemologico definito pratyaksha e fondato sulla percezione sensoriale. Le scuole psicologiche moderne che non interpretano il processo psichico individuale in un orizzonte teorico di tipo materialistico-positivistico, si differenziano pur sempre dalla scienza psicologica indovedica in quanto quest’ultima riconosce l’esistenza di una realtà ulteriore rispetto al corpo e alla mente, che viene identificata con la forza vitale e rappresenta il soggetto cosciente, colui che fa l’esperienza di vedere, di pensare, di sentire, ecc., servendosi degli strumenti psicofisici. Questo me profondo e immutabile, situato oltre lo spazio e il tempo, che gli antichi saggi vedici chiamavano semplicemente sé, è il reale punto di riferimento dell’esperienza cognitiva. Questo sé viene definito, a seconda dei contesti, con i termini atman, purusha o jiva; tutti ad indicare l’essere vivente, il sé di natura spirituale, il vero protagonista della percezione, in grado di conferire luce all’intelletto, vitalità e sensibilità al corpo. Per la psicologia indiana la psiche, come il corpo, è costituita di energia materiale (prakriti), seppure abbia natura peculiare e più sottile rispetto a quella che struttura gli elementi fisici. Per la psicologia occidentale la mente, laddove ne venga riconosciuta la struttura specifica, è invece considerata il soggetto dell’esperienza cognitiva e generalmente si nega l’esistenza del sé immutabile (essenza spirituale) quale centro coscienziale e baricentro della personalità. L’atman, quale puro principio spirituale, è oltre lo spazio-tempo, perciò nella sua essenza ontologica non può subire nessuna forma di limitazione o di condizionamento. E’ come una sorta di “monade spirituale” che possiede qualità identiche al Brahman, anche se in misura infinitamente minore. Ciò che permette la percezione e l’elaborazione dei dati è dunque l’atman, di cui uno dei principali attributi è appunto la coscienza (cit). Quest’ultima, a differenza del sé spirituale o atman, la cui natura intrinseca rimane sempre immutabile, può essere alterata da sostanze o forze psicofisiche, ma non può essere spiegata in termini materialistici, come se fosse un prodotto biochimico. E’ la coscienza che produce la biochimica e non viceversa. La coscienza si serve della mente come organo di azione. Le opere classiche dello Yoga, e in generale della tradizione indovedica, evidenziano la necessità da parte dell’essere umano di imparare a gestire e ad utilizzare lo strumento psichico, per entrarne in pieno possesso ed orientarlo in modo da favorire l’acquisizione di una conoscenza quanto più possibile profonda di sé stessi e del mondo. Per utilizzare correttamente la psiche e anche per curarla, è indispensabile innanzitutto conoscerla a fondo, comprendendone struttura, funzionamento, facoltà straordinarie e limiti. Per fare ciò è indispensabile non identificarsi con essa. Il rischio maggiore si corre infatti quando il soggetto si identifica con i propri strumenti psicofisici di pensiero e d’azione, smarrendo la consapevolezza della propria individualità originaria, che è di natura spirituale. Come conseguenza di ciò si verifica una progressiva estraniazione dell’essere da sé stesso e uno stato di confusione e prostrazione profonda. La letteratura indovedica descrive il meccanismo psicologico che provoca l’identificazione della coscienza con la somma dei propri contenuti psichici e con il corpo, determinando la costituzione di ahamkara, il senso dell’io, ovvero la coscienza riflessa o condizionata. Ahamkara costituisce la prima forma di scissione della personalità, a seguito della quale il campo della coscienza si isola e si restringe ai soli corpo e mente, perdendo l’integrità originaria. Essendo questi ultimi in continuo mutamento - il corpo caratterizzato da un flusso e ricambio continuo di atomi e la psiche da un “fiume” di pensieri(19), un susseguirsi incessante di vritti o modificazioni mentali - l’individuo che è vittima di ahamkara si identifica con una personalità in transito, effimera, soggetta a continue oscillazioni e fonte di inevitabile sofferenza. Il Vedanta vaishnava insegna tuttavia che l’ego prodotto da ahamkara non va negato o rimosso bensì decondizionato e posto sotto il controllo del sé, affinché non costituisca più una barriera ma diventi un ponte tra l’individuo e la sua identità originaria, caratterizzata da pura coscienza. Senza la riarmonizzazione dell’essere individuale con l’Essere supremo, della mente individuale con la Mente cosmica, dell’intelligenza finita con l’Intelligenza infinita, non può sussistere una percezione di sé e del mondo corretta ed estesa a tutte le componenti antropologiche ed esistenziali: quella fisica, quella psichica e quella metafisica. L’integrazione dinamica e armonica di queste tre dimensioni dell’essere è presupposto indispensabile per il ripristino di uno stato di salute globale, a tutti i livelli. Nella visione tradizionale lo studio della mente non può prescindere dallo studio del sé(20); la componente psichica, e anche quella fisica, possono essere infatti effettivamente e definitivamente sanate solo se si verifica contestualmente lo sviluppo di una consapevolezza profonda, quella spirituale. Nell’ambito di tale processo di ricerca e di evoluzione risulta importante la corretta comprensione relativa alle dinamiche della percezione, alla natura e funzione degli strumenti psicofisici attraverso i quali abbiamo esperienza del mondo. La percezione è un fenomeno complesso, fondamentale da considerarsi perché determina la qualità della nostra vita. Dall’antica scienza vedica sappiamo che ogni aggregato di materia possiede una certa carica psichica (pratyaya). La materia infatti, pur essendo per certi versi inerte in quanto non dotata di volontà propria, è pervasa da potenti energie (guna), le quali costituiscono le forze strutturanti dell’universo fisico. Queste energie insite nella natura sono dette in sanscrito tamas, rajas e sattva(21) e ciascuna di esse determina la differente natura delle cose. La carica psichica contenuta negli oggetti stimola gli organi di senso dell’osservatore e, attraverso di essi, entra nel campo mentale del soggetto generando onde o sottili fasci di energia psichica definiti vritti. Gli organi di senso risultano essere i trasduttori energetici primari, attraverso i quali le cariche psichiche degli oggetti giungono dapprima alle facoltà sensoriali (jnana indriya) e da qui penetrano nel campo mentale definito manas, sede delle funzioni estrovertite e centro di raccolta dei dati che giungono dall’esterno attraverso i sensi. Le vritti non si fermano però a livello di manas, ma proseguono oltrepassando altri piani psichici: quello di ahamkara, la piattaforma dell’ego storico e, successivamente, la piattaforma dell'intelletto o buddhi, preposto all’elaborazione e all’analisi dei dati pervenuti attraverso manas. Lo stimolo tuttavia non si arresta neanche alla buddhi ma prosegue fino al piano psichico inconscio detto karmashaya. Di che cosa è popolato l'inconscio? Di molteplici impressioni o tracce di memoria dette samskara, le quali rappresentano i residui di percezioni o esperienze vissute. I samskara formano come tanti solchi nella psiche, vasana, che sono all’origine di tendenze e automatismi mentali, estremamente difficili da estirpare proprio perché radicati a livello inconscio. Per universali leggi psichiche, le impressioni nella memoria inconscia si agglomerano e si compattano ad altre di natura simile, formando anche i cosiddetti complessi ed influenzando stati d’animo, pensieri e concezioni di vita, fino a determinare la formazione del carattere e della personalità individuale. Questi contenuti psichici inconsci riaffiorano potenti alla coscienza, attraverso le cosiddette vritti di ritorno, soprattutto nei momenti in cui l'ego è indebolito, colto da sorpresa, spavento o altre emozioni intense. L'inconscio gioca dunque nella nostra vita un ruolo straordinariamente importante. L'io, che si muove principalmente su basi razionali, ha pochissima forza nei confronti dell’inconscio e della sua potenza titanica. La letteratura vedica spiega che l’essere spirituale o atman, al momento della morte, trasmigra da una matrice fisica all’altra (yoni) a bordo del corpo psichico sottile (sukshma sarira). In esso sono conservate le innumerevoli impressioni inconsce, samskara, che il soggetto ha accumulato durante la propria esistenza, le quali dunque determinano non solo la qualità della vita presente ma anche il destino dell’essere, la natura del corpo fisico successivo e le altrimenti inspiegabili predisposizioni naturali, talenti innati o psicopatologie congenite. Al momento della nascita infatti, la mente profonda non assomiglia affatto ad una tabula rasa, ma ad un nastro già inciso con innumerevoli engrammi. Secondo il Vedanta vaishnava le varie forme di condizionamento psichico e le sofferenze che ne conseguono, malattie, angosce, fallimenti, non sono inevitabili. Né il corpo fisico, né il corpo mentale costituiscono infatti la reale identità dell’essere; sono strumenti a disposizione del sé e non obbligatoriamente le sue gabbie. Attraverso la scienza dello Yoga, l’individuo può imparare a fare esperienze positive nel mondo, riuscendo a meglio filtrare e selezionare le impressioni prima che penetrino nella memoria inconscia; inoltre è possibile gradualmente recuperare tutto il materiale psichico che giace nel karmashaya e trasformarlo in maniera che diventi propedeutico ad un cammino di evoluzione, per favorire la riscoperta della nostra identità profonda, la comprensione delle leggi fondamentali dell’universo psicofisico e giungere allo sviluppo di una relazione armonica con noi stessi, con gli altri, con il macrocosmo e con la realtà attorno a noi.

(1) Grandi saggi, poeti-autori della letteratura vedica.
(2) E’ infatti avyakta (non manifesto).
(3) Lett. ‘enumerazione’. Il Samkhya, uno dei sei Darshana o sistemi del pensiero classico indiano, fornisce le basi filosofiche per lo studio dell’essere e del cosmo, di cui indica e spiega i costituenti essenziali. Viene tradizionalmente studiato in coppia con lo Yoga classico.
(4) Lett. 'unione', dalla radice sanscrita yuj ‘unire, collegare’. Lo Yoga, uno dei sei Darshana o sistemi di pensiero classico indiano, è la scienza per la reintegrazione del sé con la Realtà cosmica, della coscienza infinitesimale con la Coscienza cosmica.
(5) Vedanta significa letteralmente ‘fine del Veda’. Rappresenta uno dei sei Darshana o sistemi classici del pensiero indiano, denominato anche Uttara-mimamsa.
(6) Nel panorama letterario vedico, le Upanishad costituiscono la parte conclusiva della letteratura rivelata o Shruti, nonché il culmine del pensiero speculativo vedico.
(7) Elemento che riempie lo spazio. Spazio ed etere vengono talvolta tradotti, in sanscrito, con lo stesso termine: akasha. L’ elemento etereo-spaziale di fatto non è percepibile attraverso i sensi o gli strumenti prodotti in base alla percezione sensoriale; è ciò che noi possiamo solo concepire intellettualmente e chiamiamo ‘vuoto’, anche se in realtà si tratta di un elemento colmo di energie poderose che, senza soluzione di continuità, si cristallizzano in materia, divenendo in tal modo percepibili dai nostri sensi. Esso infatti riceve e contiene tutti gli altri elementi, senza mai assumere una qualche fattezza specifica in quanto non esiste come entità a sé stante ma come contenitore o, per dirla insieme ai fisici, come principio mediatore.
(8) La percezione delle direzioni dello spazio è infatti funzione dell’orecchio interno e inoltre il suono viene percepito tramite una vibrazione dello spazio in esso contenuto (cfr. M. Piantelli, Lo hinduismo. Testi e dottrine, in Storia delle Religioni a cura di G. Filoramo, Editori Laterza, 1996).
(9) Cfr. Michael Talbot, Tutto è uno, ed. URRA, 1997, p. 62-3.
(10) Cfr. Bhagavadgita XIII.34: “O discendente di Bharata, come il sole illumina da solo tutto l’universo, così il padrone del campo [l’atman] rischiara [con la coscienza] l’intero campo [il corpo]”. Questa e le traduzioni a seguire sono dell’autore.
(11) Lo Spirito, l’Assoluto, la Realtà suprema (Paramartha), la Verità trascendente (Paramtattva). Il termine Brahman, morfologicamente costruito sulla radice sanscrita brih, che significa ‘crescere’ o ‘espandere’, indica l’essenza spirituale onnipervadente, infinitamente vasta, senza limiti.
(12) Isha Upanishad mantra V.
(13) Cfr. Chandogya Upanishad VI.11.3.

(14) Cfr. Brihadaranyaka Upanishad V.1.1: “[Ci sono] quel completo [il Brahman] e questo completo [il jiva]; questo completo [il jiva] scaturisce da quel completo [il Brahman].Traendo questo completo [il jiva] da quel completo [il Brahman], il completo [tale] rimane.”
(15) Bhagavadgita XV.7.
(16) Cfr. M. Talbot, Tutto è Uno, Ed. Urra, 1997, p. 171: Credo che abbiamo superato da tempo, nella fisica delle particelle, il concetto di struttura passiva dell'universo, penso che siamo nel dominio nel quale l'interazione della coscienza con l'ambiente si verifica su scala talmente primaria che stiamo davvero creando la realtà in tutte le definizioni ragionevoli del termine.
(17) Cfr. Bhagavata Purana III.26.14.
(18) Si veda ad esempio il Comportamentismo di Watson.
(19) Secondo Bohm, la coscienza costituisce un perfetto esempio di movimento indiviso e fluido, un flusso e riflusso che non è precisamente definibile ma dal quale scaturiscono, emergendo in superficie, pensieri e idee. Questi prodotti della psiche sono per certi versi simili alle increspature o ai vortici che si formano in un ruscello che scorre e, proprio come i vortici in un ruscello, alcuni di essi possono ripetersi e persistere in modo più o meno stabile, mentre altri sono evanescenti e scompaiono con la stessa velocità con la quale sono apparsi. Questa propensione a cristallizzarsi in schemi fissi e rigidi si riscontra anche nei vortici di pensiero (idee ed opinioni) che talvolta tendono a sclerotizzarsi nella coscienza.
(20) Interessante notare che nella tradizione occidentale il termine psicologia significava originariamente ‘scienza dell’anima’ (dal greco psykhé ‘anima’, connesso con psykho ‘respirare, soffiare’).
(21) Sattva-guna è la forza che conduce verso l’alto; implica ‘equilibrio, armonia, leggerezza, luminosità’. Rajo-guna è la forza che lavora in espansione; genera 'dinamismo, attività frenetica, creatività’. Tamo-guna è la forza che spinge verso il basso, producendo ’inerzia, letargia, disordine’.

giovedì 12 febbraio 2009

ETERE, AKASHA, E VUOTO QUANTO-MECCANICO
di Andrea Boni.

Molti non sanno che il pensiero scientifico moderno è stato (ed è tuttora) arricchito da diversi pensatori (fisici, matematici, filosofi), che hanno proposto molte teorie che si avvicinano in modo sorprendente alle conclusioni a cui sono arrivati i saggi indovedici con millenni di anticipo. I loro risultati sono il frutto di un'intelligenza lucida, priva di pregiudizi scientifici e religiosi, e di un'intuizione acuta, che trae molto spesso ispirazione da una vita basata su principi virtuosi, fondati su un desiderio profondo di conoscere e divulgare la verità. Tra i tanti desidero qui menzionare i nomi di Marco Todeschini (1899-1988), fisico, Luigi Fantappiè (1901-1956), matematico, e Massimo Corbucci, fisico. Alcuni aspetti del pensiero del primo e del terzo sono trattati in questo articolo, mentre le straordinarie scoperte del secondo saranno descritte in un altro articolo.

Parte di quanto segue è stato liberamente tratto e parzialmente modificato dal libro di Marco Teodorani "Marco Todeschini: Spaziodinamica e Biopsicofisica", Macroedizioni.
Nato a Valsecca di Bergamo il 25 Aprile 1899, Marco Todeschini lasciò il corpo a Bergamo il 13 Ottobre 1988. Si laureò in Ingegneria a Torino nel 1921 e in seguito si specializzò in svariati rami della Fisica e della Neurofisiologia. Insegnò sia alle scuole Superiori che al biennio di Ingegneria Superiore STGM di Roma. I suoi studi ebbero ampia diffusione in Italia e nel mondo e riconosciuti da importanti esponenti del mondo Accademico (tra cui Fermi, Majorana, Marconi, ecc.). Ebbe anche diversi scambi di idee con Bohr, Chain, Heisenberg, Pauli, Dirac, ed altri. Tuttavia, malgrado ciò, Todeschini fu sostanzialmente emarginato dal resto della comunità Accademica, e la sua opera, di fatto, è tuttora ignota ai più, malgrado le sue forti implicazioni: è un fatto davvero grave che i libri di Todeschini non siano presenti nella maggior parte delle Biblioteche Universitarie Italiane. Ciò è principalmente dovuto al fatto che il lavoro di Todeschini pone dei forti dubbi su molti dei risultati scientifici che si pensano ormai acquisiti, un terreno scientifico che si è sempre creduto solido, monolitico, assodato e indiscutibile. Cercare realmente la verità ha tuttavia un prezzo: comporta spesso ed inevitabilmente uno scontro con i paradigmi e i dogmi correnti. Todeschini fu un uomo saldamente fermo nei suoi principi elevati, e dedicò la sua vita alla scienza. Principalmente, egli fondò una nuova disciplina chiamata “Psicobiofisica”, per la quale, nonostante numerosi contrasti con l'Accademia, fu proposto per il Nobel nel 1974. Tale teoria fu definita dal suo stesso autore la “scienza unitaria del terzo millennio”, poiché inglobava in sé la fisica, la biologia e la psicologia. Il suo scopo era una riunificazione di tutte le leggi del creato e partiva dall'assunzione che i moti dell'universo, dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, nascessero da un “etere” universale in perenne moto vorticoso in grado di influenzare sia la materia che gli esseri viventi. La psicobiofisica comprende tre settori: 1) una parte fisica, con la quale è dimostrato come tutti i fenomeni naturali si identifichino in particolari movimenti di spazio fluido (l'etere); 2) una parte biologica, con la quale si evidenzia che i movimenti di spazio fluido, urtando contro i nostri organi di senso, producono delle correnti elettriche che vengono trasmesse dalle linee nervose del cervello, suscitando così nella psiche le sensazioni di luce, elettricità, calore, suono, tatto, odore, dimostrando così che tutti gli organi del sistema nervoso di un essere vivente funzionano in base ad una vera e propria tecnologia elettronica; 3) una parte psichica, dove la psiche viene intesa come un atto di volontà che si serve del sistema nervoso come di un semplice strumento. Con questa teoria Todeschini riuscì a superare tantissime contraddizioni, dimostrando che la frammentazione della scienza nelle sue tantissime branche è alla radice della nostra ignoranza sulla reale natura dell'Universo e sulla nostra stessa vita. Solo una teoria unificata può davvero cercare di comprendere le radici profonde dell'Universo ed il suo scopo (incluso il ruolo di ciascun essere vivente).

La teoria di Todeschini contraddice la teoria della gravitazione universale così come enunciata da Isaac Newton la quale, negando l'esistenza dell'etere, contempla l'esistenza di misteriose “forze” che si manifesterebbero in corpi dotati di massa, e che sarebbero in grado di muoversi di moto uniforme all'interno di uno spazio assolutamente vuoto e quindi privo di attrito.

Il pensiero di Todeschini raccoglie in parte quello di Cartesio, il quale era fermamente convinto che lo spazio non fosse “vuoto”, come riteneva invece Einstein, ma riempito di una sostanza denominata “etere”, nella quale possono prodursi vortici e onde (che generano la materia e tutte le sue interazioni). Cartesio riteneva che lo stesso sistema solare fosse un gigantesco vortice di etere in cui i pianeti sarebbero immersi e costretti a continue evoluzioni intorno al sole. E ancora prima di Cartesio la stessa idea era nata dal caposcuola Anassagora, seguita e rielaborata da Leucippo, e poi adottata dai Filosofi Platone e Aristotele, che condividevano l'idea che non esistesse spazio vuoto, ma che la materia fosse immersa in una sostanza che indicavano come spazio “pieno” (Platone) o “etere” (Aristotele), intendendo, in definitiva, la stessa cosa, simile a quello che i fisici moderni chiamano “vuoto-quanto-meccanico”. Tale termine è stato recentemente utilizzato anche dal Fisico Massimo Corbucci nel suo libro “Alla scoperta della particella di Dio”.

Il vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci nella sua teoria delle particelle subatomiche riteniamo possa, in buona parte, corrispondere alle caratteristiche dell’elemento “etere” di Todeschini e all'elemento akasha introdotto millenni or sono dalla filosofia Samkhya. Questo, peraltro, è affermato anche da uno dei più famosi scienziati contemporanei, Ervin Laszlo.

L’elemento akasha descritto dall’antica filosofia Samkhya, probabilmente la più antica del genere umano, è tradotto variabilmente nelle lingue europee moderne con i termini di ‘spazio’ e di ‘vuoto’. Per le caratteristiche peculiari del vuoto quanto-meccanico potremmo utilizzare questa stessa definizione anche per il termine akasha della filosofia Samkhya, che indica un contenitore (composto di prakriti, materia, seppur sottile, essendo uno dei pancabhuta), per l’appunto “vuoto” avente la potenzialità-disponibilità massima di manifestare tutto ciò che diventa fenomeno (dall'etere infatti, secondo il Samkhya, derivano tutti gli altri bhuta, ovvero l'aria, il fuoco, l'acqua e la terra). L'elemento akasha, insieme a tutti gli altri elementi, sono di fatto energie del parampurusha, l'Essere che si situa ontologicamente al di là di materia, spazio e tempo. Si veda a tal riguardo Bhagavad Gita VII.4:

“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente,
intelligenza e falso ego – questi otto elementi distinti da Me,
costituiscono la Mia energia materiale”.


Quando si manifestano i fenomeni secondo il Samkhya? Quando nel vuoto o nello spazio si situa l’osservatore, il purusha. Qui varrebbe la pena di citare la famosa teoria, poi dimostrata ed accettata dalla scienza, del Principio di Indeterminazione di Heisenberg del 1928, secondo il quale un fenomeno non si può precisamente determinare in quanto l’osservatore - osservandolo - lo modifica; da qui appunto l'enunciazione del ‘Principio di Indeterminazione’. Similmente, nella filosofia e psicologia Samkhya si evidenza che quando il purusha - con la sua coscienza e capacità di osservazione - penetra nella prakriti o dimensione empirica, il primo impatto che questi ha è con lo spazio ed è nello spazio - nell'interazione con la coscienza - che si manifesta la materia con la sua specifica forma empirica, definita in termini moderni come massa, proprio come nel concetto del vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci o dall'”etere” di Todeschini. Il purusha si carica di massa, quindi manifesta il corpo materiale, a seguito dell’impatto con akasha (lo spazio, il vuoto).

Che la massa si origini da questo spazio-vuoto nell'interazione con la coscienza dell'osservatore è ciò che postula anche la Fisica moderna; infatti, affinché le onde energetiche si trasformino in particelle subatomiche è necessario l’impatto con l’osservatore. Rimangono onde se non vengono osservate e diventano particelle, dunque si caricano di massa, quando invece sono osservate. Con il linguaggio della Fisica moderna il dottor Corbucci spiega che esse attingono massa dal vuoto quanto-meccanico; nella filosofia Samkhya si afferma che il purusha si riveste di materia (massa) nel suo impatto con la prakriti nella forma di akasha, ed è da questo impatto che si genera il Tempo. Quest'ultimo ha infatti influenza solo sulla massa, ma non sul purusha. Il purusha non è eterno perché dura tanto nel Tempo, bensì perché non ha niente a che fare con esso. Né con lo Spazio: il purusha è definito pura coscienza (cit), a-temporale e a-spaziale. Si veda a tal fine Bhagavad Gita II.12:

“Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo,
Io, tu e tutti questi re, e in futuro mai nessuno di noi cesserà di esistere”.

Secondo la filosofia Samkhya, quando la prakriti è allo stato non manifesto (a-vyakta) i guna, ovvero le sue energie strutturanti, sono come forze contrapposte che si annullano reciprocamente producendo una stasi. Quando invece la coscienza (purusha) osserva la prakriti, queste forze si attivano generando i fenomeni materiali e rimangono in moto fino a che non si produce lo stato di kaivalya, ovvero la liberazione del purusha dalla prakriti così come descritta negli Yoga-sutra di Patanjali. Kaivalya consiste nel processo attraverso il quale il purusha si libera dalla massa che ha sviluppato per tornare ad essere puro purusha, puro brahman o puro atman.

Per saperne di più:
Marco Ferrini, “Coscienza e origine dell'Universo”, Edizioni CSB
Marco Ferrini, “Psicologia del Samkhya”, Edizioni CSB
Ervin Laszlo. "L'esperienza akashica", Scienza e conoscenza, Gen.-Feb.-Mar.2009
Massimo Teodorani, “Marco Todeschini: Spaziodinamica e psicobiofisica”, Macroedizioni.
Massimo Corbucci, “Alla Scoperta della Particella di Dio”, Macroedizioni.