lunedì 29 giugno 2009

SCIENZA E VEDANTA - LA FORMA UMANA
E L'EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE SECONDA).
A cura di Andrea Boni.

(La Prima Parte è consultabile QUI)

Le cinque verità descritte nel Vedantasutra.
Il Vedantasutra descrive cinque verità (tattva), o realtà- Esse sono(1):

1.Ishvara (il Sé cosmico)
2.Jiva (il sé individuale)
3.Prakriti (materia)
4.Kala (tempo)
5.Karma (azione)

Di queste le potenze di Ishvara sono infinite, mentre quelle del Jiva sono parziali. Tuttavia entrambe le realtà ontologiche sono eterne, e hanno come loro attributi conoscenza (Sat), coscienza (Cit), e beatitudine (Ananda). La coscienza non può essere separata dal Sé cosmico, come la luminosità non può rivelare la propria forma, è altresì un attributo del Sé Supremo stesso; così non c’è conflitto nell’affermazione che Dio (il Sé) è pura coscienza e allo stesso tempo la coscienza è un attributo del Sé.

Ishvara è considerato come l'origine di qualsiasi cosa animata ed inanimata, ed è la causa di tutte le cause (sarvakaranakaranam). E' il Controllore Supremo, e Colui da cui si diparte qualsiasi movimento di tutta la manifestazione cosmica. E' la Coscienza Universale ed è oltre la percezione sensoriale. Tuttavia la Sua presenza è visibile nell'effetto (il prodotto) della Sua creazione. Il ben noto fisico Max Born dichiarò: “Nell'atomo ho visto la chiave dei segreti più profondi della natura, e mi ha rivelato la grandezza della creazione e del creatore”. E' l'Eterno tra tutti gli eterni, e la Coscienza suprema tra tutte le coscienze (nityo nityanam cetanascetanam – Katha Upanishad, 2.2.13) e può essere compreso solo con la Scienza del Bhakti Yoga, la via devozionale, come espresso anche in Bhagavad Gita XVIII.55:

Bhaktya mam abhijanati
yavan yash casmi tattvataha
tato mam tattvato jnatva
vishate tad-anantaram

“Soltanto col servizio devozionale è possibile conoscere Me, il Signore Supremo, così come sono. E quando si diventa pienamente coscienti di Me grazie a questa devozione si può entrare nel regno di Dio”.

Ciò è peraltro confermato dal fatto che l'obiettivo del Vedanta è proprio il servizio devozionale, come specificato da Bhaktivedanta Saraswati nel suo testo “The Vedanta, its Morphology and Ontology”.

L'essere individuale, il jiva, è anche chiamato atman. Qualsiasi essere vivente è un jiva, l'atman è infatti l'elemento centrale della personalità. In altre parole tutti i microorganismi, gli insetti, gli esseri viventi acquatici, le piante, i rettili, gli uccelli, e così via fino ad arrivare agli esseri umani, hanno come fondamento della personalità l'atman. Il Vedanta afferma con rigore scientifico e filosofico che non solo gli esseri umani sono dotati di questa scintilla divina che sta alla base di tutta la struttura psico-fisica, ma qualsiasi forma vivente. In questo senso il Vedanta fornisce una prospettiva unica rispetto ad altre visioni scientifiche o teologiche. Nella Bhagavad Gita XV.7 è detto:

Mamaivamsho jiva-loke
jiva-bhutah sanatanaha
manah-shashthanindriyani
prakriti-sthani karshati

“Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente”

Ciò significa che tutti gli esseri sono particelle eterne e coscienti di Ishvara. Tuttavia la differenza tra Ishvara e i jiva, risiede nel fatto che la Coscienza di Ishvara, il Sé Supremo, è onnipervadente e illimitata, mentre quella del jiva, sebbene della stessa qualità, è localizzata e limitata in potenza. E' un po' come la differenza che sussiste tra il fuoco e la scintilla di brace che scaturisce da esso: sebbene dalla scintilla venga emanata luce e calore, tali attributi non posso dirsi della stessa ampiezza del fuoco da cui la scintilla di brace ha origine. Nelle parole di Shrila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, grande Maestro della tradizione Gaudiya-Vaishnava, Ishvara è assolutamente infinito, mentre il jiva è assolutamente infinitesimale. Il sé individuale ha la stessa qualità spirituale del Sé Supremo, ma la sua capacità è limitata.

Oggi, talvolta, come conseguenza dei notevoli progressi scientifici, leggiamo che gli scienziati della bioingegneria o della biotecnologia giocano a prendere il posto di Dio. Inoltre, anche studiando la storia, vediamo come si siano manifestate grandi personalità ritenute nel loro campo dei veri e propri geni, come ad esempio Mozart, Michelangelo, Tagore, Gandhi, Einstein, e tanti altri. Essi sono visti come piccole entità divine, ma nessuno di loro, sebbene molto intelligente, può essere considerato Dio. Oltre a ciò, ciascun essere vivente, malgrado la sua ontologica unione con il Sé superiore, mantiene la sua individualità ed identità rimanendo al tempo stesso unito e separato dal Sé. Questo è il vero significato di biodiversità. Inoltre il Vedanta spiega che la materia (prakriti), per quanto complessa possa essere, non genererà mai la coscienza, il principio attivo della vita stessa. Quindi, nella prospettiva Vedantica il significato di “vita” è piuttosto differente da quello formulato dalla visione scientifica occidentale, anche perché la scienza moderna, di fatto, non ha ancora fornito una teoria soddisfacente circa l'origine della coscienza.

I concetti di tempo (kala) e spazio sono estremamente importanti sia nella tradizione del Vedanta che in quella scientifica. Secondo una prospettiva accademico-occidentale il tempo ha avuto inizio al momento del big-bang, momento in cui ha avuto inizio la manifestazione dell'Universo.

Secondo il Vedanta, invece, kala non ha inizio. E' eterno ed è l'aspetto impersonale del Sé Supremo. Krishna dice nella Bhagavad Gita: “Io sono il tempo (kalo 'smi)” (XI.32). Quindi secondo questa prospettiva il tempo non ha inizio e non ha fine, è una realtà ontologica, e tutto l'Universo materiale si è manifestato come conseguenza di una “big-vision” piuttosto che di un “big-bang”. La manifestazione del mondo fenomenico ha un inizio ed una fine, e questa è proprio una caratteristica della natura materiale. Proprio come i corpi degli esseri viventi hanno un inizio ed una fine, così sussiste un ciclo di creazione e annientamento senza fine, che si protrae da sempre proprio come il cambio delle stagioni. La cosmogonia Vedantica propone una visione particolare relativamente alla creazione della manifestazione materiale. E' una visione fortemente simbolica che ha le sue radici nel mito, e racchiude per questo una Verità oltre il piano razionale e quindi difficilmente comprensibile secondo la logica cui siamo abituati. D'altra parte quello simbolico è il linguaggio più consono per rapportarsi con Verità che vanno oltre l'esperienza sensoriale. Secondo tale visione l'universo ha origine come atto creativo di Brahma, il primo essere (jiva) creato. Brahma in effetti è considerato il demiurgo universale, colui che, investito da Vishnu stesso, crea sulla base degli elementi primordiali da Lui messi a disposizione. Tali elementi sono proprio quelli enunciati dalla Filosofia Samkhya. Brahma non è eterno. Anche lui “muore”, solo che i tempi sono decisamente più dilatati rispetto all'esperienza umana. Un giorno di Brahma è chiamato kalpa, e un kalpa consiste di mille cicli di quattro yuga (ere) chiamate rispettivamente: Satya, Treta, Dvapara, e Kali. Lo stesso numero caratterizza la notte di Brahma. Brahma vive cento di anni così formati, dopo di che muore. Con la sua morte si annienta la manifestazione materiale, che torna al suo stato non manifesto (avyakta). La nuova manifestazione darà vita ad un nuovo ciclo universale. Ogni creazione, quindi, non è ex nihilo, bensì trasformazione di una energia ontologica, la prakriti appunto, che nel suo stato non manifesto prende il nome di pradhana. L'era nota come Satyayuga dura 1.728.000 anni; Tretayuga termina dopo 1.296.000 anni; dvaparayuga dopo 864.000 anni, mentre Kaliyuga dopo 432.000 anni. Pertanto cento anni di Brahma corrispondenti alla durata dell'intera manifestazione cosmica, equivalgono a 311 trilioni e 40 bilioni di anni così come concepiti dall'essere umano. Secondo la cosmologia Vedantica, quindi, l'Universo nasce con l'apparizione di Brahma, che al tempo presente ha un'età di circa 50 anni (secondo quanto riportato in Shrimad Bhagavatam III.11.34).

In sostanza, la scala temporale della cosmogonia Vedica è un ordine di 104 volte più alto rispetto alla cosmogonia occidentale. Come specificato, la creazione e l'annientamento degli universi materiali procede ciclicamente da sempre, ed è opera di un'espansione dell'Essere Supremo, come specificato in Shrimad Bhagavatam I.2.1.

La materia (prakriti) è l'energia esterna della Coscienza Suprema (bahiranga shakti) ed è priva di coscienza; per questo è anche detta “energia inferiore”. Gli esseri individuali (i jiva) sono invece parte dell'energia superiore (e per questo tale energia viene detta energia marginale o tatashtha shakti), e quindi sono dotati di coscienza. La materia ha come componenti principali i guna, le tre caratteristiche della materia (tamas, rajas, sattva), che “ricoprono” la coscienza pura del jiva, e rendono così la coscienza “condizionata” a vari livelli secondo il suo grado di evoluzione. Nei microorganismi, ad esempio, pur essendo dotati di coscienza, a causa del condizionamento forte indotto dalle influenze della natura materiale, il grado di “copertura” è tale che la coscienza non si manifesta nel pieno delle sue potenzialità come potrebbe invece avvenire in una forma più evoluta. Poiché la Scienza Occidentale è quasi esclusivamente immersa nello studio della materia secondo un approccio positivista che limita l'accesso ad una visione più ampia del fenomeno coscienza, tale elemento non è di fatto ancora noto nei suoi aspetti più profondi, ma solo in quelli più superficiali, come l'apprendimento, la percezione, ecc., che costituiscono gli effetti manifesti della coscienza, ma non la coscienza in sé. Ne tanto meno sono note le cause dei processi cognitivi di un essere vivente. Secondo il Vedanta, la coscienza non è un prodotto cerebrale, ossia non è una funzione del cervello. Anzi il cervello è considerato come uno strumento in cui la coscienza può operare ed in cui si manifestano gli effetti. La coscienza intesa come energia, arriva direttamente dal sé, e si manifesta poi secondo i diversi gradi di sviluppo evolutivo dell'essere.

La natura materiale, essendo non cosciente, non è indipendente, ma opera secondo la direzione della Coscienza Suprema, come affermato anche in Bhagavad Gita IX.10:

Mayadhyakshena prakritih
suyate sacaracaram
hetunanena kaunteya
jagad viparivartate


“La natura materiale, che è una delle Mie energie, agisce sotto la Mia direzione, o figlio di Kunti, generando tutti gli esseri, mobili e immobili. Secondo le sue leggi questa manifestazione è creata e annientata in un ciclo senza fine”

Anche la natura materiale è una realtà ontologica, sebbene possa trovarsi in uno stato non-manifesto (avyakta) tra un ciclo in cui è reso manifesto l'universo fenomenico ed il successivo. Nel Vedanta è quindi chiamata aparaprakriti, o energia inferiore.

Qualsiasi attività del singolo essere vivente è chiamata karma, azione. Ogni essere vivente è soggetto all'azione, è impossibile esserne esenti, come specificato da Krishna in Bhagavad Gita III.5:

Na hi kashcit kshanam api
jatu tishthaty akarma-krit
karyate hy avashah karma
sarvah prakriti-jair gunaih

“Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite sulla base delle influenze della natura materiale; perciò nessuno può astenersi dall'agire, nemmeno per un istante”.

Tutti gli esseri sono quindi soggetti all'azione, godendo o soffrendo dei relativi frutti e questo perdura da tempo immemorabile. Il karma ha una stretta connessione con il libero arbitrio dell'individuo. Fin tanto che l'essere è incapsulato nella forma vegetale o animale, è soggetto a profonde e radicate forze cosmiche che lo spingono in modo naturale a salire nella scala evolutiva coscienziale, ma una volta raggiunta la forma umana il libero arbitrio è pienamente operante ed influenza il progredire o regredire. In questa forma la catena del karma può finalmente essere spezzata definitivamente attraverso una scelta attenta della modalità con la quale si persegue l'azione. Nel Vedanta, inoltre, sono fornite tutte le risposte alle apparenti contraddizioni ed ingiustizie che si evidenziano nel mondo materiale perché l'informazione del karma resta accuratamente memorizzata ed è pronta a dare i suoi effetti quando giunta ad una opportuna maturazione (karma vipaka).

In definitiva il karma non è eterno. Possiamo modificare gli effetti indirizzando opportunamente il libero arbitrio, e ciò è funzione del livello di conoscenza del soggetto. Una conoscenza non teorica (jnana) ma realizzata (vijnana) del concetto di azione e delle sue conseguenze.

(1) Quanto segue è liberamente tratto, riadattato ed integrato dall'articolo: “Human Life and Evolution of Consciousness”, T.D. Singh, pubblicato nel 2002 sul Vol. 1 della rivista Savijnanam, a cura del Bhaktivedanta Institute.

giovedì 25 giugno 2009

SCIENZA E VEDANTA - LA FORMA UMANA
E L'EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE PRIMA).

A cura di Andrea Boni.
Sommario
L'articolo si propone di investigare le strette connessioni che sussistono tra la Filosofia del Vedanta e le teorie scientifiche che sono state formulate fino ad ora. Cercheremo quindi di spiegare il Vedantasutra secondo una prospettiva scientifica. Il lavoro trae ispirazione da una serie di lezioni tenute da Marco Ferrini, da suoi saggi e libri scritti sul tema e riportati in bibliografia,  da una serie di articoli pubblicati sulla rivista Savijnanam del Bhaktivedanta Institute, a cura di T.D. Singh (Bhaktisvarupa Damodara Swami), e da studi personali a carattere scientifico e teologico approfonditi a seguito di Studi universitari, anni di ricerca Accademica, e studi a carattere indologico svolti sotto la supervisione di Marco Ferrini. I commentari al Vedantasutra presi in considerazione sono quelli di Ramanujacaraya, Nimbarcacarya, Madhavacarya, Shankaracarya e soprattutto il commentario della sampradaya Gaudya-Vaishnava di Baladeva Vidyabushana.

Fin dal primo sutra, il trattato di Badarayana indica l'importanza della forma umana per lo sviluppo della coscienza. Per fare il salto decisivo, occorre infatti interrogarsi sulla natura ultima della Realtà, ciò che viene definito Brahman, la Verità Assoluta, oltre nomi e forme del mondo fenomenico (e illusorio). Tutti gli Acarya ci dicono che la chiave di comprensione del primo sutra è la presenza di una conoscenza di base di ciò che è la coscienza e della sua evoluzione. La Coscienza gioca infatti un ruolo centrale nel Vedanta. La frase di Cartesio “Penso, dunque sono”, costituisce un buon punto di partenza per una discussione lucida e priva di pregiudizi sul fenomeno Coscienza; da una prospettiva vedantica la frase può essere elaborata come: “aham brahmasmi” (Io sono il sé spirituale).

Lo scopo di questo saggio è mettere in evidenza le strette relazioni che sussistono tra il vedanta e la scienza, ed i legami tra Coscienza e materia, al fine di comprendere la verità spirituale che sottende a tutti i fenomeni del mondo in continuo mutamento, ed avere così una prospettiva diversa sul senso della vita.

Introduzione
I Vedanta Sutra di Badarayana sono contenuti in quattro Adhyaya o libri. Tra le sei scuole filosofiche, o Shad Darshan, il Vedanta è sicuramente il più popolare ed il più studiato. I Sutra di Badarayana, circa 560, sono così concisi e sintetici che senza un commentario sono molto difficili da comprendere. E’ difficile trovare una connessione tra Sutra successivi e tra Sutra stessi.

Sutra letteralmente significa ‘filo, corda’. Il termine viene solitamente tradotto con ‘aforisma’, vocabolo che però esprime solo in parte il significato di sutra: un aforisma vive di per sé, con una sua autonomia ed una sua logica complete; un sutra estrapolato dal suo contesto è invece facilmente travisabile in quanto vive collegato a quel che precede e a quel che lo segue. Nell’opera in esame sutra indica un filo che collega tutti gli aforismi, la comprensione profonda di ciascuno dei quali è talvolta impossibile senza lo studio dei precedenti e dei successivi. Sutra indica anche una formula succinta, elaborata tuttavia ad un livello elevato di coscienza; per questo necessita di essere spiegata da Maestro a discepolo attraverso i tradizionali bhashya, o commentari per poter trascendere una comprensione di ordine puramente letterale-intellettuale e cogliere il più ampio significato di questa formula tecnicamente sintetica.

Il sistema Vedanta, che indaga la natura della Verità assoluta (Brahman), è quello che più si avvicina al concetto occidentale di teologia. Le dottrine teologiche di matrice vaishnava espresse dai movimenti della Bhakti, fanno in genere riferimento a quella summa teoretica del massimo prestigio che sono i Vedantasutra, unanimamente considerati la conclusione più elevata della logica speculativa upanishadica e dunque dei Veda.

Nell’interpretazione personalistica i Vedantasutra operano anche una sutura concettuale tra il mondo dello Spirito e quello della Materia, evidenziando la loro identità nella differenza e con ciò superando il monismo assoluto propugnato dalla scuola Mayavada.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica, l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui principale codificatore è Shankara Acarya, famoso asceta e filosofo vissuto nel VII secolo d.C., autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada), e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo differenziato’, e si sviluppano in quattrorami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su di un rigoroso monoteismo e sulla devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio, descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone. Essendo il Vedantasutra un lavoro di esegetica, ci si aspetterebbero dei passaggi che sono spiegati, ma difficilmente è possibile trovare un singolo Sutra che fornisca un riferimento univoco ad un verso delle Upanishad. Il risultato è che vari commentatori hanno provato ad identificare dei passaggi o ad immaginare quali testi costituiscono la materia di discussione principale di ogni singolo Sutra. Il saggio Badarayana ha intenzionalmente costruito i Sutra in modo tale che possano essere di applicazione universale, e in modo che non possano essere confinati ad una particolare religione o testo. Essi contengono principi universali di religione e filosofia, validi in qualsiasi epoca e non confinati alla sola letteratura Sacra Indiana. E’ importante assumere questo punto di vista nella lettura e nell’interpretazione dei Sutra.

Vedanta ha tre significati principali. Il meno pregnante sta ad indicare che è l’opera ultima, quella che porta a conclusione tutte le speculazioni contenute nelle Upanishad, armonizzandole e proponendole al più alto livello. Il primo capitolo dei Vedantasutra esordisce infatti conciliando i risultati della ricerca speculativa upanishadica, ed è il contenuto principale di questo testo. Un significato più rilevante di Vedanta è quello di ‘fine dei Veda’: il contenuto dei Veda viene infatti ripreso nei Vedantasutra e portato ad un livello superiore, del tutto trascendente rispetto ai primi tre scopi umani o Purusha-artha; da qui l’accezione di Vedantasutra come ‘Verità Ultima’. Mentre nei Veda sono riconciliabili tre categorie di interessi, rispettivamente relative agli atti sacrificali, alla sapienza speculativa e al culto delle Divinità, i Vedantasutra trascendono quei piani della realtà prettamente connessi alla prakriti. Ciò non significa che negano la materia, ma che la considerano uno strumento, una particolare modalità prodotta dalla Verità Ultima e ad Essa funzionale.
Per quanto riguarda il terzo significato si conviene che le Upanishad (conosciute anche come Vedanta) costituiscano la parte finale della Rivelazione Vedica.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica, l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui principale codificatore è Shankara Acarya, famoso e grande asceta e filosofo vissuto nel VII secolo d.C., autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada), e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo differenziato’, e si sviluppano in quattro rami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su di un rigoroso monoteismo e sulal devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio, descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone.

martedì 16 giugno 2009

L'ESSERE QUANTICO ABITUDINARIO (PARTE SECONDA).
Tratto dalla Lezione del Corso di Counseling tenuta in data 21/03/2009 e da lezioni di Marco Ferrini tenute sul tema Psiche e Coscienza.
A cura di Andrea Boni.

(La Prima Parte è consultabile QUI)

E' interessante studiare i meccanismi che partendo dalla coscienza arrivano a strutturare una realtà psico-fisica individuale. L'individuo nella sua generalità può essere definito come un “Essere Quantico”(1), perché come vedremo nel seguito di questo capitolo, secondo alcune recenti scoperte che provengono da uno studio congiunto tra Neuroscienza e Fisica Quantistica, a partire dalla presenza di una coscienza (che definiremo “condizionata”), si genera un collasso quantico al livello del neurone, in particolare nella sinapsi, ovvero quel collegamento che consente di rafforzare le connessioni tra neuroni, che oltre a strutturare e consolidare una rete neurale, sembra essere l'artefice del rilascio di tutte quelle sostanze chimiche associate al funzionamento psichico del corpo (neurotrasmettitori, neuropeptidi, ecc), che sono alla base della manifestazione corporea delle emozioni, del comportamento, dell'umore, della reazione personale agli eventi, ecc. In particolare tali studi hanno evidenziato come un'azione ripetuta, consolida una rete neurale associata a quella determinata azione e quindi, come conseguenza, genera un'abitudine o un automatismo mentale che opera di per se. L'Essere Quantico, in effetti, può allora essere definito più propriamente un “Essere Quantico Abitudinario”. Qui nel seguito cercheremo di spiegare nel dettaglio questo concetto, ma per fare ciò occorre approfondire meglio il rapporto tra psiche e coscienza.


Psiche e Coscienza(2)
Per modificare gli automatismi mentali occorre intervenire sui contenuti psichici; per intervenire sui contenuti psichici è indispensabile modificare le abitudini, cominciando dal cibo che forniamo alla mente. La mente si nutre di tre tipi di cibo: il primo è quello che nutre anche il corpo fisico, il secondo è costituito da impressioni, emozioni e pensieri, nutrimento quantomai importante e delicato, da cui dipende la salute della sostanza psichica; il terzo e più importante sono i guna(3), gli elementi strutturanti dell’universo, i fondamenti sottili della materia i quali, pur essendo indistruttibili ed ineliminabili, possono essere trasformati nei loro reciproci rapporti di forza. La struttura psichica, infatti, attraverso il cibo fisico, le impressioni e la progressiva trasformazione dei guna, può gradualmente migliorare la propria caratteristica dominante passando da tamas a rajas e da rajas a sattva. Secondo la tradizione Vedica, la più sicura ed efficace via per la trasformazione migliorativa del carattere è costituita dalla compagnia di persone sante(4) le quali, in forza del loro personale esempio, ispirano modelli di vita puramente sattvica. Fino a tempi recentissimi gli esperti delle neuroscienze affermavano che ogni giorno nell’organismo umano muoiono circa cento milioni di neuroni destinati a non rigenerarsi più. Oggi quest’affermazione è messa in dubbio dalle nuove teorie sulla neuroplasticità; un fatto è comunque certo: che tale processo viene accelerato da abitudini scorrette, purtroppo assai diffuse, come ad esempio l’uso di intossicanti. In Italia muoiono 80mila persone all’anno per i danni provocati dal fumo e 40mila a causa dell’alcool. Anche senza voler considerare i casi limite, l’assunzione di eccitanti di qualsiasi tipo, da quelli apparentemente innocui, come la caffeina, ai più dannosi, come gli oppiacei, non può che turbare l’equilibrio psicofisico della persona che, dopo un’iniziale eccitazione, piomba in uno stato di profonda depressione, malattia oggi non a caso largamente diffusa (quattrocento milioni nel mondo solamente i casi diagnosticati). Ciò porta di conseguenza all’insorgere di gravi disturbi del fisico e della personalità: nevrosi, psicosi e demenza senile, oggi tutti in continua crescita. L’Ayurveda(5) spiega in maniera accurata e scientifica come ogni scorretta abitudine di vita comprometta la salute del corpo e della mente. La sovralimentazione, ad esempio, è una delle cause principali dell’invecchiamento precoce e di tante altre malattie: tutto quel che mangiamo in più rispetto al nostro fabbisogno, si trasforma in veleno. Altrettanto deleteria è la tendenza opposta, quella che porta ad assumere una quantità di cibo al di sotto delle nostre necessità. Ad uno sguardo superficiale le conseguenze di questo e di numerosi altri comportamenti passano pressoché inosservate, ma queste azioni, ripetute nel tempo, si trasformano in abitudini (a causa del consolidarsi delle connessioni sinaptiche nelle reti neurali corrispondenti), che finiscono per determinare la struttura psicofisica di un individuo, il suo carattere, il suo umore e quindi la qualità della sua vita, presente e futura. L’insoddisfazione, l’avidità, l’invidia, la collera, la paura ed altri sentimenti negativi sono tutti prodotti dell’ego, riflessi di ahamkara(6), la percezione distorta di sé. Quando la coscienza di un individuo è integralmente proiettata all’esterno, percezioni ed emozioni si modificano di continuo, a seconda degli eventi e delle circostanze; ciò provoca un alternarsi estenuante e penoso di eccitazione e depressione, esse stesse malattie e a loro volta causa di molti altri mali. Quando invece la coscienza è rivolta interiormente e il fulcro è il sé spirituale, qualsiasi cosa accada all’esterno non turba più: la concentrazione sulla realtà, quella immutabile, trascendente, consente di sperimentare un profondo benessere, fino alla beatitudine che scaturisce dalla piena consapevolezza della nostra natura profonda e di quella del fenomenico(7). I Veda spiegano che esistono tre livelli di mente: manas, la mente esteriore, sensoriale, lo strumento del pensare superficiale, con funzione totalmente estrovertita; buddhi, la mente intermedia o intelligenza e cittah, la mente profonda e inconscia, talvolta definita coscienza condizionata. Quest’ultima è sicuramente molto più vicina al sé spirituale di quanto non lo siano le prime due ma non per questo rappresenta il più alto livello di consapevolezza: quando si parla di mente profonda siamo infatti ancora nell’ambito di ahamkara, la coscienza riflessa o, appunto, condizionata; la pura coscienza (cit) è situata oltre, al di là di spazio e tempo e quindi al di là di ogni pur sottile identificazione con il fenomenico, in quanto attributo del sé spirituale. La mente sensoriale è estremamente mutevole e fallibile, in quanto sempre soggetta all’interazione dei sensi con i loro oggetti. I sensi riversano all’interno della mente superficiale fiumi di informazioni e di sensazioni, generando un susseguirsi incessante di impressioni e di desideri legati al mondo del divenire e perciò estranei alla vera natura e felicità dell’essere. L’individuo che non percepisce la realtà situata oltre manas, rimane irretito, travolto da questo flusso di impressioni (vritti) e di desideri e tenta di appagarli sottoponendosi a fatiche, privazioni, sofferenze; ma la sua disperata ricerca di felicità è destinata a rimanere frustrata. Quando la persona prende nuovamente coscienza della sua identità profonda, quella spirituale, diventa capace di discriminare tra sat e asat(8), tra realtà e illusione (tattva-viveka); la sua intelligenza (buddhi) si illumina e non lascia filtrare nella coscienza profonda ciò che la mente esteriore senza sosta propone, causa certa di inquinamento(9) e sofferenza. Come già affermato, così come per il corpo, esiste un cibo anche per la mente ed entrambi vanno scelti con cura. Per il corpo, ad esempio, sono da evitare gli alimenti conservati poiché hanno esaurito o fortemente ridotto il loro contenuto pranico, vitale, e ancor più quelli che trasformati in cibo con atti di violenza; si dovrebbe egualmente evitare di mangiare con ingordigia, con avidità, in quantità eccessive o in orari poco adatti poiché gli effetti del cibo su corpo e psiche dipendono in buona parte dal modo e dallo stato mentale con cui esso viene assunto. E’ parimenti importante nutrire la mente di pensieri, desideri ed emozioni in armonia con l’ordine cosmico e divino (ritam, dharma), tenendo accuratamente a distanza quei contenuti psichici che inquinano sia la mente superficiale che quella profonda. Questi oggetti psichici contaminati e contaminanti lasciano nell’inconscio delle tracce, delle impressioni profonde, ‘solchi’ (samskara) e tendenze (vasana), che in seguito determineranno i cosiddetti automatismi mentali. Attraverso la ricerca costante di purezza, di situazioni, compagnie, visioni e suoni sattvici, l’individuo si libera gradualmente dei fardelli karmici(10) più pesanti, riacquistando visione spirituale e fede nella Realtà superiore, favorendo con ciò il benessere e la crescita propri ed altrui. Va sottolineato infatti che ogni squilibrio psichico, come la depressione ed altre malattie mentali, dalle più lievi nevrosi alle più gravi psicosi, per quanto apparentemente legato a situazioni esteriori e non dipendenti dal soggetto che ne soffre, secondo i Veda, trova invece le sue profonde radici in un utilizzo scorretto dell'intelligenza, in una volontaria o involontaria infrazione al dharma, all’ordine cosmico che tutto sostiene e che costituisce il fondamento di ogni equilibrio. Quando la persona anziché muoversi in armonia con il dharma, lo infrange, il suo apparato psichico è il primo a risultarne danneggiato, più o meno gravemente a seconda dell’errore commesso. In ultima analisi quindi, le malattie sono causate dalla distorta percezione di sé, che costringe corpo e mente a comportamenti dannosi ed artificiali. Quando si riprende consapevolezza della nostra natura spirituale e non ci si identifica più con il corpo e con la mente, quando il soggetto si riappropria dei suoi preziosi strumenti senza venirne più condizionato e dominato, è allora che si impara ad utilizzarli nel modo corretto. Così facendo è anche possibile riguadagnare la salute psicofisica. La guida di una persona illuminata che educhi alla discriminazione (viveka) tra ciò che è reale e ciò che non lo è, aiutando l’individuo a ristabilirsi nella mente profonda perché acceda alla visione spirituale e alla consapevolezza della sua vera natura, è indispensabile per potersi guardare dentro, diventare consapevoli dei propri comportamenti e delle loro conseguenze ed uscire dai propri condizionamenti mentali. Nella tradizione vedica tale persona è il Guru, il Maestro spirituale, grazie al quale è possibile cambiare le proprie abitudini ed invertire la rotta esistenziale. Il Guru è dunque per il discepolo molto più di uno psicologo, in quanto non indica solamente come sanare gli squilibri della psiche per riportarla ad un cosiddetto livello di ‘normalità’ ma insegna anche a come trascenderla, a come andare oltre questo strumento costituito di materia (prakriti) che, per quanto correttamente funzionante, rimane pur sempre limitato ed incapace di cogliere ciò che è oltre la materia stessa: il mondo dello Spirito. Esistono infatti, fortunatamente, anche comportamenti che esercitano un’influenza assai benefica sul nostro complesso psico-fisico, e che il guru rafforza con i suoi insegnamenti e soprattutto con il proprio esempio. Lo sviluppo della consapevolezza di sé attraverso la devozione a Dio e al Maestro spirituale, seguendo alcune regole comportamentali come la compassione, la non violenza, la continenza sessuale, sono un rimedio efficacissimo contro tutta una serie di disturbi psicofisici. In generale, strutturare la propria vita secondo abitudini sane e regolate, come andare a riposare presto, alzarsi di buon mattino e meditare sui Nomi Divini(11), mangiare cibo fresco, fare le cose giuste ad orari regolari, curare la pulizia del corpo e della mente, aiuta a prevenire e a curare numerose malattie. Enorme è il beneficio apportato dallo sviluppo della devozione a Dio, perché induce a pensare in maniera positiva, intrattenendo sentimenti di empatia, amicizia e solidarietà verso tutte le creature, non soltanto quelle umane, ed evitando pulsioni distruttive come la collera, la concupiscenza, l’avidità, l’invidia o il rancore. La positività non va certo scambiata col sentimentalismo di stampo fatalistico. Non si deve essere astrattamente positivi, bensì impegnarsi, agire concretamente secondo un progetto ben strutturato in vista di un progresso spirituale, altrimenti sarà solo una farsa di breve durata. Pensare positivamente significa vedere i problemi ed elaborare prontamente le soluzioni secondo regole dharmya(12). Le lamentele sono sintomo di scarsa intelligenza e di scarsa visione: privano di energia, spossano, deprimono ed impediscono di reagire, di studiare il problema in tutte le sue componenti, di analizzarlo alla luce del ragionamento (vitarka) e della conoscenza (jnana), in modo da poterlo affrontare e risolvere(13). In caso di bisogno, quando, dopo aver tentato, da soli non riusciamo a trovare una soluzione ai nostri problemi cruciali, i Veda consigliano di rivolgersi al guru o ad altre persone sagge, per consigli. Ma beninteso, la responsabilità delle decisioni non è delegabile in alcun modo. Riuscire a sviluppare una mentalità positiva non è scontato né gratuito. Occorre predisporsi al meglio e coltivare quelle abitudini che favoriscono il perfetto controllo e la corretta gestione del complesso psico-fisico. Quel che c’è da fare è aggiustare i gusti, a tutti i livelli. E’ indispensabile, ad esempio, nutrirsi di un cibo sattvico: alimenti vegetariani, che provocano la minor sofferenza possibile ad altri esseri viventi, ingredienti semplici, freschi, puliti, cucinati ed offerti a Dio con gratitudine e amore. Il cibo sattvico influenza il corpo e la mente in maniera sattvica. Il cibo tamasico o rajasico scarica invece sulla struttura psicofisica tutta una serie di vritti(14) anch’esse tamasiche o rajasiche, di ostacolo allo sviluppo di una mentalità positiva. La qualità dei nostri pensieri è quindi conseguenza del nostro comportamento: il cibo, le compagnie, l’ambiente sociale, le azioni, determinano i contenuti mentali e questi, a loro volta, determinano l’agire, influendo notevolmente sulla salute psico-fisica della persona, sul suo carattere e sul suo destino. Attraverso il sistema nervoso gli stati emotivi e psichici vengono infatti trasmessi alle cellule dell’organismo. La salute quindi non può essere ristabilita soltanto attraverso accorgimenti di tipo chimico-farmaceutico. La stanchezza, la mancanza di memoria, l’impotenza, ad esempio, spesso non sono causati da disfunzioni organiche ma piuttosto da potenti automatismi mentali. Naturalmente anche attraverso la chimica è possibile trasformare gli stati psicofisici, sia in positivo che in negativo; basti pensare a certi farmaci che riducono l'azione rajasica sedando nell'individuo quelle sovra eccitazioni che potrebbero danneggiare lui stesso e gli altri, oppure ai tremori e alla perdita di memoria provocati dall’assunzione di alcool o agli effetti devastanti dell’acido lisergico (LSD). Simili droghe fanno straripare il fiume magmatico dell’inconscio sul piano cosciente, in un momento in cui il soggetto non è in grado di gestirlo sottoponendolo alla luce discriminante dell’intelligenza, ad una coscienza sufficientemente lucida; i danni è facile immaginarli. L’influenza psichica riveste un ruolo decisivo nella gestione di tutto il corpo fisico. Il sistema nervoso funziona come quadro di comando per tutte le funzioni del complesso psico-fisico. Gli oltre cinquanta trilioni di cellule del nostro corpo vengono in ogni momento informate e regolate dal sistema nervoso il quale determina, direttamente o indirettamente, tutte le funzioni, dagli scambi elettrochimici delle sinapsi tra neuroni, alle importanti decisioni cruciali della vita: se un individuo comincia a coltivare pensieri positivi, elevati, le cellule neuronali ricevono questi stimoli positivi e inviano ‘messaggeri’ in tutto il corpo, aumentando il numero e la qualità delle loro prestazioni, inoltre, gruppi di cellule precedentemente inattive possono rientrare egregiamente in funzione. Le ‘cellule soldato’, quelle che individuano gli elementi nocivi presenti nel corpo ed intervengono per combatterli, si rafforzano se sostenute da una mentalità positiva generata da una consapevolezza profonda. La psiche infatti non è localizzata in un solo punto, nel cervello: ogni cellula, ogni organo, ha la propria intelligenza, grazie alla quale esplica le proprie funzioni in quella che negli antichi testi vedici viene definita la città dalle nove porte(15), ovvero il corpo: un universo animato regolato con perfezione da sottilissimi equilibri, del tutto simile al più grande universo cosmico. Secondo i Veda, come il microcosmo del corpo umano ha la sua controparte nel macrocosmo universo, così la psiche umana ce l’ha nella psiche cosmica e l’anima umana nell’anima cosmica. I Veda e in particolare le Upanishad, rimandano continuamente al rapporto tra micro e macrocosmo per far comprendere l’unitarietà che collega tutti gli esseri tra loro, con il creato e con il Creatore, Dio. Quando invece i contenuti psichici sono negativi si esplicitano in collera, concupiscenza, odio, malumore, invidia, delusione, depressione, e le cellule soldato ricevono dalle messaggere cattive e scoraggianti notizie, per cui si confondono, si indeboliscono e vengono facilmente sconfitte dagli agenti patogeni esterni, dagli ‘invasori’, lasciando libero corso alla malattia. Tutto ciò avviene attraverso canali esterni all’io cosciente. Anche se pensiamo che certe impressioni, emozioni e pensieri siano diretti ad altri, a quelli che magari consideriamo i nostri rivali, in realtà essi si volgono prima di tutto contro noi stessi, compromettendo gravemente le nostre funzioni psicofisiche. Se un individuo è sotto l’effetto di tamoguna, che corrisponde all’indolenza psichica, al tramortimento della coscienza(16), o se è in preda a eccitazione provocata da sentimenti rajasici come il desiderio, l’ira o il rancore, le sue cellule e i suoi organi non possono che risentirne, talvolta in maniera devastante. Come il corpo produce varie sostanze di scarto, così il rifiuto fisiologico della psiche è costituito da pensieri negativi, ottenebrati che, in un corpo sano, devono venire espulsi. A differenza però dei rifiuti organici, le tossine mentali possono venire neutralizzate non con la rimozione, bensì riorganizzando l’ambiente e in primo luogo selezionando le impressioni, le compagnie, il cibo, il comportamento; in altri termini curando, sanando, sublimando l’individuo su tutti i piani antropologici. Per poterlo fare è indispensabile individuare in profondità le cause che hanno prodotto quei pensieri e l’opera da compiere ricorda in qualche modo quella dell’archeologo impegnato a riportare in superficie oggetti che giacciono sul fondo. In questo caso si tratta di oggetti di natura psichica che ristagnano nei meandri oscuri dell’inconscio dove, per le cause suddette, si origina tutta una serie di complessi e di disturbi della personalità che sono causa del condizionamento della coscienza.

L'Essere Quantico: la connessione tra coscienza e neuroscienza.
Attraverso quali meccanismi la coscienza pura dell'atman (cit) diventa “condizionata” e si manifesta per divenire pensiero, percezione, sentimento e apparire come attività elettrica o chimica del cervello? I testi Vedici non rispondono in modo esplicito a questa domanda, ma le recenti scoperte della fisica quantistica forniscono interessanti strumenti per studiare questo fenomeno. Negli anni '80 e '90 numerosi importanti scienziati hanno pubblicato libri e teorie che sostenevano tanto che il cervello fosse un perfetto neurocomputer, quanto la visione secondo la quale “la coscienza aveva qualcosa a che fare con i misteri della meccanica quantistica”, secondo le parole di Stuart Hameroff, uno degli scienziati che più sostiene questo tipo di visione(17). Personalmente studiando i lavori di Hameroff, ho trovato in lui una sintesi accettabile dei meccanismi che sottendono al fenomeno della coscienza e della sua manifestazione nel modo dei nomi e delle forme. In particolare è molto interessante il lavoro che ha svolto insieme al famoso fisico Penrose, sfociato nella teoria “OR” della coscienza di Penrose-Hameroff, che costituisce un buon punto di partenza per spiegare come sia la coscienza a manifestare la realtà, e quindi i nostri pensieri, i sentimenti e le emozioni. Questi studi sono ancora allo stato embrionale, e sono concentrati sullo studio del neurone e dei microtubuli in particolare, strutture cave simili a cannucce contenute all'interno di ogni cellula. Come è spiegato nel libro "What the bleep..."(18), essi hanno evidenziato una notevole capacità autorganizzativa e fungono da sistema nervoso e circolatorio della cellula; non solo, ma comunicano e interagiscono con loro vicini per scambiare informazioni. Un aspetto importante che è stato scoperto è che nei neuroni i microtubuli formano e regolano le connessioni sinaptiche e entrano in gioco nella trasmissione dei neurotrasmettitori, sostanze che veicolano le informazioni fra le cellule componenti il sistema nervoso, i neuroni, attraverso la trasmissione sinaptica. Le sinapsi sono peraltro responsabili del rafforzamento delle connessioni tra i neuroni che strutturano una determinata rete neurale. Secondo il lavoro di Hameroff sembra che i microtubuli sono influenzati da un fenomeno quantistico: le proteine di cui sono fatti rispondono ai segnali provenienti da un computer quantico interno costituiti di singoli elettroni. Sembra quindi che siano queste forze meccaniche quantistiche a controllare la conformazione della proteina, e quindi come conseguenza l'azione dei neuroni, dei muscoli, in generale del nostro comportamento e delle emozioni (si veda il testo “Ma che ...bip..sappiamo veramente” per un ulteriore approfondimento). Hameroff dice che “le proteine, mutando la propria forma, costituiscono il punto di amplificazione tra il mondo quantico e l'influenza da noi esercitata sul mondo fenomenico in tutto ciò che l'umanità fa, per buono o cattivo che sia”. Questi interessantissimi studi potrebbero essere l'inizio per una sintesi tra Scienza e Spiritualità, per cambiare il paradigma classico-meccanicistico su cui la nostra società ancora si basa, e sviluppare così un nuovo paradigma quantico-spirituale, olistico, in cui ci sia spazio per un'armonizzazione tra fede e scienza, con l'obiettivo di fornire dei presupposti concreti per interpretare il mondo fenomenico come un immenso laboratorio in cui noi ci muoviamo, dove è la nostra coscienza a creare forme, percezioni, emozioni, e tutto ha un significato, nulla accade per caso, bensì qualsiasi esperienza ha un senso se pensata per un fine evolutivo, l'evoluzione della nostra coscienza stessa. Quando ciò avviene, quando la coscienza ritrova la sua condizione di purezza, il mondo non appare più in quella forma, e l'essere può sperimentare la sua propria natura fatta di beatitudine ed eternità:

Janma karma ca me divyam
Evam yo vetti tattvataha
Tyktva deham punar janma
Naiti mam eti so 'rjuna

“Colui che conosce la natura trascendente della Mia apparizione e delle Mie attività [avendo raggiunto la purezza della mente], o Arjuna, non dovrà più nascere in questo mondo materiale quando avrà lasciato il corpo, ma raggiungerà la Mia eterna dimora”(19).

Il processo da seguire, dunque, per controllare i pensieri, le emozioni i sentimenti, e in generale per eseguire un lavoro a fondo sulla personalità, è quello di purificare la coscienza, armonizzando e trasformando i contenuti psichici inconsci.

La Sadhana Bhakti: mezzo di purificazione della coscienza(20).
Il ricercatore spirituale che opera attraverso la bhakti(21) vive una trasfigurazione antropologica che potenzia tutte le sue qualità e caratteristiche individuali, depotenziando contestualmente gli interessi egoico-mondani e le pulsioni distruttive inconsce. La bhakti guarisce la mentalità turbolenta ed unilateralmente rivolta all’esterno, in quanto consente di sganciare la mente dalla dittatura dei sensi e i sensi dagli attaccamenti verso i loro oggetti (vishaya) nel mondo esteriore, permettendo così di intraprendere il viaggio verso l’interiorità e di riscoprire che la beatitudine e l’immortalità non si trovano fuori ma dentro, nella consapevolezza del sé, in quella dimensione spirituale ben descritta nella Bhagavad-gita, nelle Upanishad e in altri testi vedici. La bhakti è l’insegnamento conclusivo delle Sacre Scritture vedico-vaishnava. In quanto religione dell’amore essa troneggia sulle contrastanti forze titaniche della natura e le armonizza, permettendo di conseguire con prodigiosa naturalezza la coniunctio oppositorum che in occidente fu tanto ricercata anche dagli alchimisti. Per questo viene considerata la via maestra per giungere allo stato di nirdvandva, la libertà dai condizionamenti degli opposti. Chi è sempre incline a pensieri negativi e non riesce a vedere la soluzione ai propri problemi va considerato malato a tutti gli effetti, esattamente come chi soffre di fegato o di cuore, e quindi va trattato con compassione. I problemi più gravi sono costituiti dai blocchi affettivi e dall’incapacità di esprimere le emozioni. Tra coloro che non riescono ad aprirsi, a parlare delle proprie difficoltà, tra i più gravi notiamo gli autistici. Anche l’atteggiamento opposto: la logorrea e l’autoesaltazione, è però anch’esso sintomo di grave malessere psichico. Nevrotici e psicotici sono veri e propri divoratori di energie, proprie ed altrui perciò, nonostante abbiano un ruolo sociale, finiscono spesso per venire evitati da tutti sul piano umano e vivono in un deserto affettivo. La compagnia di persone sobrie, equilibrate, mature, spiritualmente elevate, in grado di dispensare affetto e conoscenza, risulta la migliore cura per loro, e più in genere, per qualsiasi disturbo della personalità. Per una riarmonizzazione dei vari strati della personalità, gli antichi testi ayurvedici consigliano terapie particolari, non costose, ecologiche e soprattutto molto efficaci. In primo luogo sottolineano l’importanza di condurre una vita onesta (arjavam), nel senso più ampio del termine, rispettosa delle leggi di Dio e degli uomini; è fondamentale inoltre che ognuno crei nella propria dimora uno spazio dedicato al sacro, una stanza con immagini della Divinità e del Guru dove poter attuare pratiche che permettono di rigenerarsi, di ricaricarsi di energie positive, di riarmonizzarsi continuamente con l’ordine che sostiene l’intero universo. Queste pratiche immensamente benefiche, sperimentate con successo per millenni, possono essere raggruppate in quattro categorie principali: arcanam, ovvero l’adorazione del Divino in una forma particolare detta Murti, japa o samkirtana, l’invocazione e la meditazione individuale o collettiva sui Nomi divini, svadhyaya, lo studio dei testi sacri attraverso cui approfondire l’introspezione e satsanga, la compagnia di persone profondamente religiose. Gradualmente, assieme ad un retto comportamento(22), le suddette pratiche sgombrano il campo psichico da ogni infiltrazione negativa, consentendo un completo ripristino delle facoltà mentali ed intellettuali, e in generale della salute dell’individuo su tutti i piani. Il saggio non si lascia coinvolgere in pensieri negativi, neanche in situazioni comunemente considerate drammatiche; ci riesce grazie ad una devozione ininterrotta che lo connette stabilmente al Supremo. Per ottenere il controllo emotivo di fronte agli eventi è essenziale lo sviluppo di due qualità fondamentali: abhyasa, la pratica spirituale costante, e vairagya, il distacco emotivo dal fenomenico(23). Ciò ovviamente non significa diventare emotivamente insensibili, simili a pietre, ma non lasciarsi più suggestionare dai fenomeni esterni, rimanendo continuamente collegati alla sfera della Realtà. Significa passare dal sentimentalismo al vero sentimento. Questo livello di coscienza non è facile da raggiungere, è tuttavia possibile attraverso la devozione a Dio; sono indispensabili onestà, tempo e impegno. Proprio come uno scienziato, il sadhaka(24) può sperimentare su sé stesso, nel laboratorio della vita quotidiana, quanto sia diversa l’influenza esercitata da uno stato mentale piuttosto che da un altro. Secondo i Veda, occorre però che un Maestro realizzato nella scienza del Sé lo guidi nei suoi ‘esperimenti’, che gli indichi quali strumenti utilizzare e quali metodologie applicare, altrimenti le prove risulteranno inconcludenti, dolorose, talvolta costellate di amare sorprese. Occorre un Guru che sia presente con il suo esempio e i suoi insegnamenti e che orienti il discepolo verso la devozione a Dio, verso un pensiero di luce, verso la comprensione più elevata, quella di natura spirituale. Lo studente applica la conoscenza spirituale ricevuta dal Maestro e a lui si rivolge ogni volta che incontra serie difficoltà, in modo da capire dove ha sbagliato e come potersi correggere. Affinché ciò sia possibile, Guru e discepolo devono conoscersi a fondo, devono aver sviluppato una profonda, autentica relazione personale, basata su reciproci stima, affetto, lealtà. Ciò solitamente non può avvenire senza una iniziale frequentazione assidua infatti, nella società vedica, il discepolo viveva un consistente periodo della sua vita nella casa-scuola del Guru (Gurukula). Come ad un medico risulterebbe difficile curare un paziente vivendo a migliaia di chilometri di distanza, così il Maestro spirituale, almeno in una fase preliminare, deve stare in contatto con il discepolo, stimolarlo ad applicare la cura e somministrare di volta in volta la ‘medicina’ di cui più necessita. In un secondo momento, quando la relazione spirituale è diventata solida, quando si è stabilita una forte empatia, la distanza fisica non rappresenta più un ostacolo: il discepolo ricorda e si accorda agli insegnamenti del guru; inoltre, in quello stadio, i messaggi arrivano anche per via telepatica. Il rapporto Guru-discepolo non deve quindi essere né virtuale né rigidamente gerarchico. Il Maestro corregge lo studente per il suo bene, per autentico affetto nei suoi confronti; non opera per ottenere una qualche ricompensa; la cura che offre è totalmente gratuita, ecologica ed olistica, volta interamente allo sviluppo della personalità del discepolo secondo le sue tendenze naturali. La salute spirituale ovvero, la consapevolezza del rapporto con Dio, genera tutte le altre: quella intellettuale, quella mentale, quella fisica, quella sociale, quella economica, illuminando ogni angolo buio della mente e sviluppando appieno la personalità. Nei Veda la luce è sempre sinonimo di illuminazione interiore, di intuizione, di conoscenza, e la suprema sorgente di luce è Dio. La fiaccola della fede e dei pensieri elevati, fondati su sat, dovrebbe essere protetta e alimentata ogni giorno. Perché ciò sia possibile è indispensabile l’aderenza ai principi del dharma, essenziali sia per la prevenzione che per la cura delle tante malattie mentali contratte a causa di avidya, la mancanza di consapevolezza spirituale. La salute del complesso mente-corpo non può venire altro che dalla presa di coscienza del paziente della propria natura spirituale, consapevolezza che conduce l’individuo ad un pronto recupero di armonia con sé stesso e con l’universo nel quale è inserito. Secondo la medicina moderna, molto difficilmente si può guarire da certe gravi malattie fisiche e mentali; il modello bio-medico dominante purtroppo prende in scarsa considerazione le interattive dinamiche corpo-mente e spirito, per cui tende a minimizzarle, se non addirittura a negare l’importanza della consapevolezza spirituale nel processo di guarigione. Da molte malattie, anche gravi, secondo l’Ayurveda si può guarire ma occorre che il paziente lavori con onestà, costanza e profondo impegno sotto la guida di un esperto terapista, sottoponendosi con fiducia ad un sadhana rigoroso, e sempre ricercando Krishna prasadam(25). Così come per entrare in possesso di denaro occorre lavorare, allo stesso modo, per avere una mente sana, che produca pensieri positivi, benefici, occorre coltivare la purezza: nel pensiero, nella parola e nell’azione, giungendo a stabilire una relazione armonica con il Cosmo e a vivere nel rispetto delle leggi divine. Il ‘pensiero elevato’ non fiorisce in maniera artificiale; i contenuti psichici sono autenticamente elevati quando la persona vive con coerenza i principi che governano l’universo, in armonia con essi. Quest’armonia, come una sorgente che sgorga senza sosta, è capace di rigenerare in continuazione pensieri, impressioni ed emozioni, togliendo quella polvere dell’illusione (maya)(26) che nell’universo fenomenico tende a ricoprire ogni cosa. La saggezza orientale insegna, qual è l’utilità di cercare la luna nel pozzo, anziché ammirarla direttamente in cielo, in tutto il suo splendore? Similmente: qual è l’utilità di andare a cercare il fascino e la gioia nel mondo, se neanche conosciamo noi stessi e non siamo collegati a Dio, Sorgente di questo fascino? Per godere stabilmente di buona salute, nessuna delle nostre attività dovrebbe prescindere dal bene degli altri, dall’armonia con l’universo, dal contatto con l’Origine del tutto. L’autentica coscienza di Dio, la coscienza del supremo Creatore e Reggitore dei mondi, dell’infinitamente Affascinante(27), è garanzia di benessere in senso globale. In tale stato di coscienza tutte le cellule del corpo vengono nutrite non solo fisicamente ma anche psichicamente e spiritualmente, con pensieri nobili, puri, elevati. I Veda spiegano che è possibile gestire il proprio corpo, l’economia, il lavoro, la vita familiare e religiosa senza sviluppare nevrosi, senza diventare depressi o eccitati, irresponsabili o quant’altro. Le richieste del complesso psicofisico non vanno negate o rimosse ma soddisfatte sublimandole, in maniera che non diventino di ostacolo alla realizzazione spirituale. In questo modo il corpo e la mente diventano strumenti estremamente preziosi, funzionali alla nostra crescita globale. Dovremmo vivere con la consapevolezza che dal nostro attuale livello di coscienza dipenderà la nostra condizione esistenziale futura(28). Lo scopo dell’esistenza è la realizzazione spirituale, il porsi nuovamente in contatto (yoga) con la Realtà, con l’origine, e con il sostegno supremo di tutto ciò che esiste: Dio. Realizzare Dio significa riscoprire anche noi stessi e la nostra ontologica natura di immortalità, conoscenza e beatitudine (sat, cit, ananda); significa trascendere l’ego illusorio ed entrare nuovamente in armonia con noi stessi, con Dio, con il creato e con le creature tutte.

(1) J. Satinover, “Il Cervello Quantico”, Macro Edizioni, 2002.

(2) Questo paragrafo è tratto interamente da una lezione di Marco Ferrini.

(3) L'energia materiale “esprime” tre influenze che con il loro condizionamento caratterizzano i jivabhuta, gli esseri incarnati. Esse sono: tamoguna, corrispondente ad ignoranza, stolidità, letargia; rajoguna, corrispondente ad agitazione, ansietà, eccitazione e sattvaguna, corrispondente ad equilibrio, bontà, luminosità, armonia. Il termine guna ha più significati, ma i due più importanti sono quelli di ‘qualità’ e di ‘corda’; quest’ultimo sta a significare che queste influenze legano l’essere vivente al mondo empirico.

(4) Charaka Samhita: sharirasthanam I. 142-147. Bhagavad-gita: IV. 34.

(5) Lett. ‘Scienza della vita’. Antica scienza medica olistica, contenuta nell’Atharva Veda, che considera la salute fisica inevitabilmente connessa a quella psichica e a quella spirituale. Come molte medicine orientali, si basa soprattutto sulla prevenzione.

(6) Corrispondente ai contenuti psichici dell’individuo, con cui questi si identifica, letteralmente significa ‘io, colui che fa’.

(7) “Per qualunque motivo la mente irrequieta e instabile cerchi di proiettarsi all’esterno, ogni volta egli [lo yogin] deve fermarla e sottometterla soltanto al Sé. [...] Così soggiogando costantemente sé stesso, lo yogin, scomparsa ogni impurità, facilmente attinge la felicità infinita che consiste nell’unione col Brahman” (B.g. VI.26; 28).

(8) Lett. ‘ciò che è’ e ‘ciò che non è’.

(9) Per contaminazione s’intende ciò che va contro il dharma, l’ordine cosmico.

(10) Karma, lett. ‘azione’, in senso più ampio sta ad indicare non solo l’atto in sé, ma anche le sue conseguenze.

(11) Mantra terapia: Mahamantra Hare-Krishna o il divino suono primordiale Om.

(12) In armonia con il dharma, l’ordine cosmico.

(13) Cfr. Ramayana, Sundarakanda, shloka 17-18: “Colui che nella difficoltà sopraggiunta domina il proprio sgomento, grazie al proprio vigore riesce a raggiungere lo scopo. Non si deve cedere alla disperazione; essa è il peggior veleno che, come un serpente incollerito, uccide l’ignorante e lo sciocco”.

(14) Onde, vortici mentali, ben descritte da Patanjali nei suoi Yogasutra.

(15) Cfr. B.g. XIV. 11.

(16) In vari testi vedici e in particolare nella Mandukya Upanishad, vengono descritti i differenti stati dell’essere (veglia, sonno, sonno con sogni...); ciò conferma le elevate ed approfondite conoscenze dei saggi vedici in materia di psicologia del profondo.

(17) S. Hameroff, Consciousness, neurobiology and Quantum Mechanics: The Case for a Connection. In J. Tuszynski (ed.), The Emerging Physics of Consciousness. Springer-Verlag, 2006.

(18) W. Arntz, B. Chasse, M. Vicente, Ma che ...bip... sappiamo veramente?,Macro Edizioni (libro e DVD).

(19) Bhagavad Gita IV.9

(20) Questo paragrafo è tratto da una lezione di Marco Ferrini.

(21) Amore e devozione reciprocati per Dio e per il Maestro, come attestato in Shvetashvatara-upanishad VI.23.

(22) Cfr. yama e niyama nel Sadhana-pada degli Yogasutra di Patanjali, e Bhagavad-gita XIII.8-12.

(23) Cfr. B.g. VI. 35.

(24) Chi pratica il sadhana, la disciplina spirituale, lett. ‘ciò che guida dritto allo scopo’.

(25) Lett. ‘misericordia’.

(26) Lett. ‘non questo’.

(27) In sanscrito: Krishna.

(28) Cfr. Bhagavad-gita XIII.22.

mercoledì 10 giugno 2009

LA LOGICA (SPIRITUALE) OLTRE LA LOGICA (MATERIALE).
di Marco Ferrini.

Estratto da 'Coscienza e Origine dell'Universo'.

Alcuni studiosi erroneamente dicono che [la causa] è la forza insita nelle cose, altri dicono che è il tempo. Ma è la potenza di Dio nel mondo la causa che mette in moto la ruota dell’universo. (Shvetashvatara Upanishad - 6,1).

Nel paradigma vedantico sono due le categorie conoscitive: conoscenza della materia e delle sue particelle, come atomi e quark (i corpi) e conoscenza dello spirito (il conoscitore del corpo o campo). La prima categoria si occupa di ciò che è mutevole, temporaneo ed esterno al sè; la seconda di ciò che è immutabile, eterno, trascendente, il sè. Nella Bhagavadgita viene spiegata l’esistenza di queste due differenti categorie di energia: quella materiale, detta anche inferiore (apara prakriti), non senziente (acit) e soggetta alle forze ineluttabili del tempo e dello spazio, e quella spirituale, detta anche superiore (para prakriti o brahman), dotata invece di coscienza (cit), quindi capace di percepire e di percepirsi, eterna ed immutabile. Nella Mundaka Upanishad si suddivide la conoscenza in apara vidya (conoscenza materiale o inferiore) e para vidya (conoscenza spirituale o suprema) in base all’oggetto di studio. Entrambe le categorie sono importanti in quanto complementari ed estremamente utili; la conoscenza della prakriti è infatti strumentale alla realizzazione spirituale. Nel bhakti marga (via della devozione amorosa a Dio) ogni azione compiuta nel mondo, se illuminata dalla consapevolezza spirituale e dunque offerta come sacrificio, può condurre alla completa reintegrazione nell’ordine socio-cosmico, grazie alla quale la persona può conseguire tutti i suoi fini terreni e nel contempo riscoprire la propria natura divina. La Tradizione Vedica suggerisce un’attitudine lontana tanto da un’adesione illusoria e identificata con l’immanenza (il “mondo” e la “carne” del Vangelo) quanto dalla fuga verso una trascendenza astratta, negatrice dei valori terreni e spregiatrice del corpo. Essa esorta invece ad un agire pieno ma distaccato, efficace senza esser mosso da volontà di possesso e di potere; un agire religiosamente offerto con gioiosa devozione a Dio.
Lo cosmogonia include i seguenti elementi come componenti fondamentali dell’universo:

1) Dio, il Param Purusha, l’Essere Supremo che, nella scienza dello yoga codificata da Patanjali, viene chiamato Vishesha Purusha (l’Essere speciale).

2) Il purusha (l’atman della letteratura upanishadica), l’essere spirituale dotato di coscienza individuale, il quale è una scintilla dell’Essere Supremo (Param Purusha), la Coscienza cosmica (il Paramatma della letteratura upanishadica).

3) La prakriti (Natura), i suoi costituenti (guna) e le leggi che la governano.

4) Kala, il tempo.

5) Karma, la rigorosa legge della remunerazione delle azioni, che governa la trasmigrazione della scintilla spirituale da una forma di esistenza ad un’altra, da un corpo ad un altro.

Possiamo enunciare quattro grandi postulati sui quali si fonda la concezione del cosmo e della vita in tutti i testi della letteratura Vedica:
1) Esistenza di un Essere Supremo, fonte di tutto ciò che costituisce l’universo.

2) Esistenza di un essere individuale, di natura spirituale considerato l’essenza di ogni personalità.

3) Esistenza di una relazione intima tra anima individuale e Anima suprema.

4) Esistenza di una relazione proporzionale tra: le condizioni di vita di ogni organismo (dai più semplici ai più evoluti), il grado di sviluppo della loro coscienza e la loro triplice natura, sattvica, rajasica o tamasica.

Questi presupposti sono di natura intuitiva, ‘leggi elementari dell’universo’, per dirla con Einstein, a partire dalle quali l’edificio del cosmo prende corpo. Il secondo aforisma del Vedanta-sutra afferma: “ janmady asya yatah” (Dio è Colui dal quale tutto emana). La Brahma-samhita descrive Dio come sarva-karana-karanam (Causa di tutte le cause) e Adipurusha (Essere Primevo, Persona Suprema). Nella Brihadaranyaka Upanishad troviamo una strofa famosa, forse la più enigmatica di questa Upanishad, ma anche la più densa di significato spirituale e di suggestioni arcane. Questo mantra, il cui esordio è om, la sacra sillaba di orientamento verso il divino, descrive il Brahman come il Tutto da cui tutto ha origine. Pieno è quello, pieno è questo. Dal pieno nasce il pieno. Se pur si prende il pieno dal pieno, rimane intatto il pieno. Un’altra possibile traduzione è: Traendo il completo dal completo, completo quello rimane. Quel completo invero rimane completo. Quindi ci sono: ‘quel completo’ (il Brahman) e ‘questo completo’ (l’Universo). ‘Questo completo’, il mondo fenomenico nel quale viviamo, scaturisce da ‘quel completo’. Traendo questo da quel completo, completo quello rimane. Siamo di fronte ad una matematica metafisica dove uno meno parte di uno fa ancora uno. Questa è la natura del Brahman, non misurabile con logica umana, con parametri che appartengono al mondo delle condizioni.