venerdì 24 aprile 2009

LA RICERCA DELL'IMMORTALITA':
UNA STORIA DALLA UPANISHAD.

di Marco Ferrini.

Nella Cultura Indovedica il metodo utilizzato per arrivare alla conoscenza, anche di tipo materiale, ha la natura dell’intuizione ed ha dunque qualità di introspezione, ricerca, rigore etico ed intellettuale. Ciò presuppone un atteggiamento da parte del ricercatore, dello ‘scienziato’, tale da permettere l’accesso a livelli di coscienza normalmente preclusi ad una mente ordinaria. Nella Katha Upanishad e nella Taittiriya Brahmana(1) viene narrata l’affascinante storia di Naciketa, una personalità eccezionale. La riteniamo importante e quindi la narriamo principalmente per mostrare un esempio di un ricercatore indefesso, dotato di un’attitudine che è propedeutica a qualsiasi indagine e ascolto, condizione primaria nella teoria vedica della conoscenza. La storia, oltre a delineare un profilo etico ideale, evidenzia un confronto tra personalità appartenenti a differenti piani cosmici (umani e deva), illustra il ruolo mediatico del sacrificio, descrive simbolicamente la fuoriuscita dal corpo e lo stadio intermedio tra due vite, comunemente definito morte.
J. Miller ha individuato il principale insegnamento di questa vicenda nella distinzione netta tra dimensione materiale, per quanto elevata, e realtà spirituale; distinzione rilevante per delineare un quadro completo della cosmogonia vedica:

E’ caratteristico che, nella Katha Upanisad, all'unica domanda la cui risposta sta a cuore a Naciketa, Yama eluda tre volte la risposta e tenti di lusingare l'interrogante con promesse di benessere sensoriale (1.23.5) per mettere alla prova la sua sincerità e la sua perseveranza nella ricerca della verità suprema. Il suo infatti é il più grande inter­rogativo mai formulato dall'anima umana e non concerne la mera sopravvivenza ma verte sul significato della liberazione. […] E’ inoltre caratteristico che Yama risponda alla domanda di Naciketa soltanto dopo aver accertato che non si farà illudere dalle effimere glorie del mondo di maya. I paradisi dell'umanità non sono la realtà ultima dei cercatori di verità, realtà contem­plata dai saggi di tutte le epoche, compresa l'età vedica. Quella verità si trova ad un livello trascendente cui i rishi avevano accesso, ma che la mente comune o la persona media, con tutte le sue passioni, é incapace di toccare e tanto meno di penetrare […](2).

Uddalaka, o Vajashrava, era un brahmano che aderiva al sistema ritualistico dei Veda denominato Karma-kanda, che permette di ottenere, attraverso una perfetta esecuzione della cerimonia del fuoco, molteplici benefici d’ordine mondano, assecondanti il proprio desiderio: figli geniali, una o un consorte affascinante, potere e sovranità, salute e bellezza, ricchezza e successo, cultura e sapere. Una volta decise di impegnarsi nella celebrazione di un grande sacrificio vedico che, fra gli innumerevoli tipi di sacrifici che la religiosità del Karma-kanda descriveva, era alquanto singolare, perchè prevedeva che il sacrificante sacrificasse tutto ciò che gli apparteneva. Il brahmano allora si accinse a radunare legname, capretti ed ingredienti da offrire in sacrificio ai diversi deva, oltre ad assumere altri sacerdoti esperti nella celebrazione dei sacrifici, specializzati ciascuno in un Veda particolare: chi negli inni del Rigveda, chi nelle melodie del Samaveda, chi nelle formule dello Yajurveda e chi infine nelle formule dell’Atharvaveda. Una volta radunato tutto ciò che gli occorreva e trovati gli altri sacerdoti esperti nella scienza del sacrificio, cominciò ad allestire l’arena deputata alla celebrazione del grande sacrificio. Dopodiché il sacrificio ebbe inizio.

Om Indraya namah
Om Varunaya namah
Om Candraya namah
Om Suryaya namah
Svah Svah Svah…(3)

Il brahmano era intento alla recitazione degli inni sanscriti e all’offerta degli ingredienti nel fuoco sacro. Il cortile della sua dimora era affollato di ritvik, sacerdoti ai quali, secondo il cerimoniale vedico, chi sacrificava doveva elargire una gran quantità di offerte perché, con la loro presenza, rendevano possibile il sacrificio. Il figlio di questo brahmano, che stava compiendo l'offerta sacrificale recitando i mantra, si chiamava Naciketa; un bimbo di soli nove anni. Si narra che Uddalaka non fosse veramente intenzionato a sacrificare proprio tutto ciò che possedeva, forse per l’attaccamento, non ancora completamente superato, ad alcuni oggetti. Forse fu una svista, ma l'impressione suscitata in Naciketa fu di preoccupazione: vedeva suo padre immerso nel compimento di un sacrificio che prevedeva l’offerta di tutto ciò che possedeva, ma gli parve che in realtà non stesse offrendo proprio tutto. Il suo sguardo si soffermò sulle mucche, che gli sembrarono alquanto smunte e vecchie. “Hanno bevuto acqua ed ingoiato erba”, pensò Naciketa, “Ma non sono più in grado di digerire. Sacrificando questo tipo di animali, che cosa se ne può ottenere in cambio?”. Allora fu assalito dal dubbio che gli ingredienti, i costituenti del sacrificio, non fossero della qualità richiesta da quel particolare tipo di cerimonia del fuoco; perciò si recò direttamente sul luogo dove stava fiammeggiando il fuoco sacro, lui che era previsto rimanesse sulla veranda di casa, guardando da distante quanto avveniva nell'assemblea dei brahmani. In qualche modo invece s’avvicinò all’area in cui si stava svolgendo il grande sacrificio e senza preamboli domandò al padre: “Padre, a quale deva verrò offerto in sacrificio?”. Suo padre non disse parola, ma Naciketa, determinato, insisté: “A chi verrò sacrificato?”. Il padre lo ignorò, ma Naciketa, per la terza volta, domandò: “Padre, a chi verrò offerto?”. Allora il padre, adirato, rispose: “A Yama”. Cadde un silenzio assoluto. Yama è un nome che incute un timore glaciale in India o tra coloro che conoscono la Tradizione; è un nome che non si pronuncia quasi mai, se non durante la celebrazione di riti sacrificali o in circostanze come quella qui descritta, in cui la conoscenza dev’essere trasmessa da una persona all'altra. Il nome di Yama non va mai proferito per uno scopo futile, non sacro. Yama è il deva della morte; è la morte. Naciketa, riflettendo, si rammaricò di aver irritato il padre, il quale sicuramente, pensava il bambino, non aveva detto ciò che veramente desiderava, ma ormai l’aveva detto. Naciketa sapeva bene chi fosse Yama, perché era nato in una famiglia nella quale era stato educato alla cultura brahmanica, quindi era arya per nascita; e qui, si badi bene, non intendiamo la nascita in quanto fatto meramente biologico ma come evento da leggersi ed interpretarsi entro l’ottica del samsara. In quella famiglia, con ogni probabilità, erano stati celebrati tutti i riti necessari per avere un figlio di tale qualità. Il padre era un sacerdote, un brahmano, ed il nonno era anch’egli famosissimo per avere elargito cibo consacrato in moltissime occasioni. Naciketa, d’animo nobile ed elevato, volse i suoi pensieri alle parole pronunciate dal padre, un brahmano, nell’arena del sacrificio, di fronte al fuoco sacro, di fronte ad Agni: “Va’ da Yama, ti offro a Yama”. Naciketa considerò con grande serietà ciò che suo padre aveva detto. Conscio che suo padre era una persona dharmya, ossia ligio alla Tradizione e alle norme religiose e pienamente consapevole della sfera del sacro, sapeva anche che, l'avesse fatto per scherzo o seriamente, ormai l'aveva offerto a Yama. Per la potenza della formula sacrificale recitata, il bambino si trovò ipso facto sulla soglia della dimora di Yamaraja, gli inferi; ma Yama non c'era. Pur trovandosi sulla soglia del mondo dei dipartiti, la mente di Naciketa era così addestrata alla riflessone, all'analisi, alla meditazione, che egli continuò a seguire il filo dei propri pensieri, domandandosi: “Quali piani terrà in serbo per me Yama? In qual modo diverrò strumento dei suoi progetti? Son io un pessimo discepolo? No. Sono della migliore qualità? Neppure”. Esistono tre categorie di discepoli e di figli, e in questo caso i termini discepolo e figlio sono molto simili. Un discepolo o un figlio di prima qualità conosce il volere del guru o del padre, senza che questi lo debba manifestare; se è di seconda qualità non percepisce il desiderio del guru o del padre ma, quando gli chiedono qualcosa, il discepolo è pronto a soddisfarne le richieste; quando però il guru o il padre, danno un istruzione e il discepolo non la esegue, viene considerato di terza qualità, quasi non più discepolo, quasi non più figlio. In alcuni shastra infatti, il discepolo o figlio di terza categoria, viene paragonato ad un escremento che, pur generato per mezzo dell’organo con il quale si generano i figli, ne è uscito come un escremento anziché come un figlio o un discepolo. Consapevole di ciò, Naciketa si interrogò: “Son io di terza qualità? Forse prima non ho capito ciò che mio padre voleva, ma quando mi ha detto: “Va’ da Yama, ti offro a Yama”, ho ben capito e ora mi trovo qui”. Allora entrò in uno stato d’animo piuttosto sereno, considerando anche che era arrivato alla dimora dei dipartiti dopo molti altri che lo avevano preceduto e prima di molti altri che vi sarebbero giunti solo dopo di lui. Immaginò allora di essere di qualità media, sia come figlio che come discepolo. Nel caso suo infatti il padre non era solo il suo padre biologico ma anche il guru (il padre spirituale) perché, come avveniva e avviene ancor oggi, negli antichi gotra brahmanici spesso è il padre ad iniziare il figlio alla scienza sacra. Riflettendo e meditando sul significato della vita e della morte, passarono tre giorni. E per tre giorni Naciketa non vide nessuno. Rimaneva sempre sulla soglia della dimora di Yama, ma costui non c’era. Per ragioni che sicuramente trascendono le nostre capacità di comprensione, per tre giorni Yamaraja rimase assente. La sua dimora era vuota. C'erano la moglie, i servitori, i ministri del regno e altre centinaia di migliaia di persone, ma di Yama non v’era la benché minima traccia. Naciketa, anziché venire ricevuto in maniera adeguata, fu trascurato: non gli furono offerti né cibo, nè bevande, né un giaciglio sul quale riposare. Dal cielo si udì allora una voce che ammonì Yama: “Yama, c’è un brahmano sulla soglia della tua dimora e tu non ti sei ancora preso cura di lui. Sai cosa spetta a chi, ricevendo un ospite di tanto riguardo, lo trascura?”. L’ospite è considerato Narayana, Dio: Ittiti-Brahmana Narayana. All'ospite bramano o al viandante va offerta subito dell'acqua perché si disseti e faccia le abluzioni. Questo è il primo principio d'ospitalità, nella tradizione del dharma, considerata una delle prime qualità di una persona evoluta. Bisogna offrire ospitalità con qualità perchè l’accoglienza di un saggio o di un altro ospite può rivelarsi un'arma a doppio taglio: se l’ospite viene ben curato, ben trattato e riverito, ciò apre la strada della liberazione; se invece viene mal trattato, trascurato o addirittura offeso, ciò diventa distruttivo come il fuoco. Nel sacrificio vedico il fuoco può aprire la via ai mondi delle delizie, può generare la felicità terrestre e celeste ma, per disattenzione, può bruciare anche la casa del brahmano. A questo punto Yama immediatamente apparve di fronte a Naciketa, con aria di scusa, desideroso di espiare la colpa di avere disatteso per tre giorni e tre notti Naciketa che, nonostante di soli nove anni, era stato preannunciato da una voce incorporea come saggio brahmano. Yama pensò che Naciketa fosse stato trascurato per disposizione divina, perchè Yama non trascura nessuno, neanche i criminali, dei quali si prende cura con equanimità. Yama infatti viene detto anche Dharmaraja, re del Dharma, Signore del Dharma o personificazione del Dharma e della morte. Nella Tradizione vedico-vaisnava, la morte è infatti vista come giustizia personificata. E poichè il termine Dharma traduce anche i concetti di giustizia e di religiosità, Yama non è solo la morte ma anche la giustizia e la religiosità personificate, oltre ad essere uno dei dodici grandi saggi, i mahajana. Ma proprio in qualità di Supremo giudice, cioè di colui che conosce il Dharma meglio di chiunque altro nel mondo materiale, sentì di aver commesso una grave offesa verso il bambino-bramano. Per questo gli offrì tre doni: “Mi dispiace che tu sia stato trascurato per tanti giorni. La colpa è mia e vorrei poterla espiare: permettimi di offrirti tre doni, che sarai tu stesso a scegliere”. Accettate le scuse e l’offerta di Yama, Naciketa come primo dono chiese: “Concedimi di ritornare a casa, ma a condizione che mio padre mi conceda il perdono e che nutra per me profondo affetto, e a condizione che non si spaventi quando mi vedrà tornare”. I dipartiti di solito tornano nei luoghi in cui ebbero vissuto nella loro vita mortale, ma in una forma spettrale, che terrorizza parenti e amici, anzichè soddisfarli e renderli felici; perciò la prima assicurazione che il bambino saggio chiese fu che il padre non si spaventasse, ma che, al contrario, l'accogliesse con cuore aperto, con affetto. “E sia” disse Yamaraja “farai ritorno alla dimora di tuo padre.” Yamaraja si convinse di poter ripagare presto il proprio debito, preservando la sua fama di “senza macchia” con questi tre doni, con i quali mondava l'errore commesso disattendendo un ospite. Concesse dunque la prima grazia con grande piacere. Era soddisfatto di sdebitarsi, perchè effettivamente aveva mancato di rispetto avendo tenuto sulla soglia di casa questo illustre ospite, fra l'altro offerto in sacrificio. Naciketa infatti non era giunto nella dimora di Yama per il karma di sue attività colpevoli ma in quanto “oggetto consacrato”, quindi spinto dalla forza scaturita dal sacrificio (yajña) eseguito dal padre e dagli altri sacerdoti. Yama fu molto soddisfatto di corrispondere questo dono al bambino brahmano, e disse: “Bene, ora il secondo dono, il primo ti è già stato concesso. Tuo padre sarà felice, ti abbraccerà, dormirà sonni tranquilli; sarà soddisfatto di rivederti, ti accetterà con grandissimo affetto e sarà completamente in pace con te. Avanti, procedi con il secondo dono, chiedimi”. Naciketa allora cautamente cominciò a dire: “Io so che esistono dei mondi nei quali la vita è estremamente piacevole, nei quali delle cinque fasi dell'esistenza incarnata: nascita, fanciullezza, gioventù, vecchiaia e morte, non si conoscono nè la vecchiaia nè la morte. Io so che tu non hai il potere di estendere il tuo dominio su quei mondi”. E mentre poneva la domanda, mentre descriveva le caratteristiche del dono che avrebbe desiderato ricevere, poneva anche particolare attenzione alle impressioni che suscitava, parola dopo parola, nell’animo di Yama. “E so anche che i brahmani raggiungono quei mondi attraverso il compimento di un particolare sacrificio: la cerimonia del fuoco sacro. Io ti chiedo di rivelarmi il segreto, l'arcano, il mistero di questa cerimonia del fuoco, di questo atto sacrificale che libera dal tuo dominio”. Yama, dopo qualche istante di riflessione, rispose sorprendentemente che anche lui, nel passato, per ottenere la propria posizione di amministratore della giustizia aveva usufruito degli effetti della cerimonia del fuoco sacrificale. Dopodichè proseguì: “Bene, ti inizierò alla dottrina segreta dei tre fuochi(4), i quali sono tre sacrifici che, eseguiti uno dopo l'altro, ti permetteranno di trasferirti sui pianeti celesti”. Dopo che Naciketa fu convenientemente ammaestrato, Yama aggiunse: “Ti concedo un ulteriore dono: poichè questi tre fuochi li sto consegnando a te per primo in questo ciclo di umanità, d’ora innanzi si chiameranno Trinaciketa.”Tutt'oggi in numerose opere della Tradizione (Smrti) e della Rivelazione (Shruti) ritroviamo questo triplice sacrificio del fuoco chiamato Trinaciketa. Si fa risalire la denominazione di questo atto sacrificale a quanto accaduto fra Yama e Naciketa, di cui stiamo narrando(5).
In realtà Yama sapeva bene che i deva, abitanti dei pianeti celesti, non sono veramente immortali e, come dedurremo dal terzo dono richiesto, anche Naciketa lo sapeva. Benchè fosse consapevole che col primo e col secondo dono non avrebbe ottenuto l'immortalità, aveva chiesto di tornare sulla Terra, un pianeta mediano, e di lì salire sul piano più elevato del sistema planetario, sui pianeti Svarga. Nella Katha Upanishad è testualmente ed esplicitamente affermato che il tipo di amrita (immortalità) concessa a Naciketa col secondo dono in realtà non equivale all'amrita della liberazione vera e propria, pur essendo una vita estremamente lunga, in cui le morti e le rinascite non si susseguono al ritmo incalzante di quelle umane ma coprono iati di tempo straordinariamente lunghi, tali da apparire come immortali anche a coloro che vivono cicli lunghissimi di vita. Infatti, non essendoci malattie e morte, si potrebbe azzardare: “Perchè non diciamo che i deva sono immortali? Se abbiamo detto che sui pianeti Svarga esistono soltanto le prime tre fasi dell’esistenza: nascita, fanciullezza e giovinezza, allora perché diciamo che non sono veramente immortali?” E' vero che come deva non muoiono, ma muoiono poi da umani: quando si sono esauriti i punya, i risultati meritori delle loro attività precedenti, questi esseri ricadono infatti di nuovo sui pianeti mediani, terrestri (bhuh), o persino su quelli inferiori; di solito però accade che dai pianeti celesti ricadano sui pianeti mediani come la Terra. Naciketa in realtà stava solo accortamente avvicinandosi alla richiesta del terzo ed ultimo dono. Yama, dal canto suo si sentiva profondamente felice perchè aveva appena concesso il secondo dono con magnanimità ed aveva addirittura aggiunto che lui stesso si era guadagnato il suo alto incarico eseguendo i riti legati a questi tre fuochi, che egli stesso aveva appena definito Trinaciketa. Yamaraja aveva quasi ripagato il debito, aveva già soddisfatto due terzi delle disponibilità concesse. Quale sarebbe stato il terzo dono? Con il secondo Naciketa aveva avanzato una richiesta di qualità decisamente superiore a quella del primo; e nel formulare la terza richiesta cominciò: “Ho sentito parlare della morte. Alcuni dicono che quando uno è morto scompare, mentre altri dicono che quando uno è morto ricompare in un'altra dimensione. Chi muore scompare; chi muore compare in un'altra dimensione. Queste sono le due opinioni più diffuse fra gli uomini. Io da te voglio conoscere il mistero della morte, voglio sapere la verità, tutta la verità sulla morte. Ciò mi serve per formulare bene la richiesta del terzo dono, perchè io desidero l'immortalità, quella vera, quella al di là del tuo dominio. Io voglio diventare immortale, non come i deva che alla fine, quando si distruggono i mondi, anche loro sono soggetti alla dissoluzione. Io voglio diventare immortale. Voglio che tu mi riveli il segreto dell'immortalità”. Yama a questo punto apparve visibilmente contrariato dalla domanda che gli era stata posta, e cercò di sviare il bambino lusingandolo con altre proposte, per cui gli rispose: “Questo no. Chiedimi qualunque altra cosa, ma dimentica ciò che mi hai appena chiesto. Dimenticalo, perchè immortali non lo sono nemmeno i cosiddetti immortali. Si chiamano immortali ma in realtà non lo sono. Vengono definiti così perchè vivono quanto dura la manifestazione del loro mondo: nascono con quei mondi e con quei mondi si dissolvono. Ecco perchè vengono definiti immortali.” Col termine ‘immortali’ si vuol dare l’impressione di una vita spropositatamente lunga, tale che agli occhi degli umani i deva appaiono come fossero immortali, come gli umani agli occhi di una farfalla. Le farfalle di solito vivono dieci, quindici o venti giorni, quindi sarebbe difficile far loro intendere appieno la realtà di una vita che duri cento anni: meglio dire che gli umani sono immortali. Ma gli umani immortali non sono; e nemmeno i deva sono immortali. Naciketa l’aveva capito e non desiderava diventare solo un deva, desiderava diventare immortale. Questa fu dunque la sua terza richiesta. Yama tentò di scoraggiarlo in tutte le maniere per cui rincarando l'offerta, disse: “Non mi infastidire più con questa domanda. Di grazia, scegli fra tutto quello che ti posso offrire”. Yama giunse a proporre a Naciketa di scegliere diversi cicli di esistenza, promettendogli che glieli avrebbe concessi. “Ma non l'immortalità; di questo non far parola. Perchè mi tormenti?” Intanto andava delineandosi con sempre maggior precisione la saggezza di Naciketa, per nulla attratto dai doni offerti da Yama. Questi però ancora rincarando disse: “Ti posso dare carrozze bellissime, meravigliose fanciulle, posso farti vivere il numero di anni che desideri, posso metterti in grado di estendere il tuo dominio per ogni dove… ti darò i pianeti più alti, i più elevati; potrai estendere il tuo dominio, ma della morte non venga fatta parola alcuna. I grandi deva, le grandi personalità che governano l'universo e le sue ferree leggi, incontrano grandi difficoltà nel capire questo fatto. E' così inafferrabile e così controverso che è meglio non farne parola. Sii soddisfatto con quel che ti ho offerto.” E continuò ad offrire beni mondani a Naciketa, affinchè si ritenesse pienamente soddisfatto: “Ti darò un regno tanto vasto che nemmeno potrai conoscerne i confini, ti darò potere e sovranità su tutti, ti darò cantori dalla voce soave, destrieri alati, donne bellissime, affascinanti…”. Dopo avergli offerto svariati beni d’ordine mondano e varie fonti di piacere, Yama si scoraggiò profondamente perchè, osservando il viso di Naciketa, si rese conto che non era in grado di esercitare nessun tipo di influenza su di lui; infatti Naciketa, appena poté replicò: “Tieniti pure cocchi e destrieri; tieniti pure le belle fanciulle, i canti e le danze; tieniti pure quelle belle fanciulle che alla fine consumano il vigore, non lasciando altra possibilità che quella di cadere in tuo dominio. Tutte queste cose mi distrarrebbero. Ciò che tu mi offri consumerebbe vanamente il mio tempo. Non sono interessato alle ricchezze. Solo uno stolto si lascerebbe abbagliare dal piacere dei sensi, dalle belle fanciulle, dalle ricchezze, da ciò che è perituro ed effimero. Chi mai, se è saggio, trovandosi in una condizione di degrado e tristezza, destinato ad invecchiare e morire, mentre sa che esistono coloro che nè invecchiano nè muoiono e li ha contemplati, pensando ai fugaci piaceri della bellezza e dell'amore chi mai si compiacerebbe di una vita lunghissima? Chi mai, se è saggio? Il saggio antepone il bene al piacere. E’ lo sciocco che preferisce il piacere. Gli stolti restano abbagliati dalle gioie effimere del piacere dei sensi mentre i saggi cercano di conseguire un'esistenza di eterna beatitudine(6). Io non voglio distrarmi, non voglio impegnarmi in attività che non siano in grado di garantirmi la libertà dalla morte perchè quando mi ritroverò nel mezzo di attività, pur piacevoli che siano, d’un tratto arriverai tu e dirai: ‘Ora basta.’ Chi è saggio aspira all'immortalità, aspira a vivere la beatitudine eternamente. Hai promesso tre doni: ora, se intendi mantenere la tua promessa, di grazia, svelami il mistero della morte”. Il dialogo fra Yama e Naciketa, quello vero, spirituale, sul piano metafisico, ebbe inizio in quel preciso istante. Prima altro non fu se non una sorta di negoziazione di beni materiali, che potevano sì e no garantire la felicità sulla Terra o al massimo sui mondi celesti. Naciketa mostrò le caratteristiche tipiche del brahmacari, del saggio, dello spiritualista, che è completamente disinteressato a benefici effimeri. E Yama dovette riconoscere che, nonostante avesse un corpo da bambino, di fronte a lui si trovava una grande personalità, un grande saggio. E come tale lo trattò. Infatti Yama cambiò completamente tono, usò un altro linguaggio, altre parole, quasi un’altra costruzione verbale, e gli disse: “Bene, mi rendo conto che tu sei un’anima speciale, capisco che hai tutte le qualificazioni per diventare un sadhaka(7), un adhikari(8), una persona determinata a fare solo quel che va fatto e a non concedersi nessuna distrazione. Queste sono le uniche, le sole caratteristiche e la sola condizione in base alle quali io posso effettivamente rivelarti la scienza sacra della liberazione.” E cominciò a spiegare.

Sappi che l’atman è il padrone del carro e che il corpo è il carro, sappi che la ragione poi è l’auriga e la mente le redini.
I saggi chiamano cavalli i sensi, gli oggetti dei sensi sono l’arena, la [personalità condizionata] composta di anima, di sensi e di mente la chiamano il fruitore.
Colui che non possiede la ragione e non ha mai la mente ben controllata,
costui ha sensi indocili,
come un auriga che abbia cavalli cattivi.
Ma colui che possiede la ragione e ha la mente sempre concentrata, costui ha sensi docili, come un auriga che ha cavalli buoni.
Colui che è privo di ragione, senza criterio, sempre impuro,
costui non giunge alla sede [suprema] ma ricade nel ciclo delle esistenze.
Ma colui che è dotato di ragione e di criterio ed è sempre puro,
giunge a quella sede da cui non più si ritorna alla vita.
L’uomo che ha come auriga la ragione e come redini la mente,
costui giunge al termine del cammino, alla sede altissima di Vishnu.
Superiori ai sensi sono infatti gli oggetti [che determinano le sensazioni],
superiore agli oggetti è la mente, superiore alla mente è la ragione, superiore alla ragione è il grande atman [individuale](9).
Superiore al grande [atman] è [l’elemento primordiale] non evoluto, al non evoluto superiore è il Brahman, superiore al Brahman non v’è nulla: esso è lo scopo, esso è il rifugio supremo. Nascosto in tutte le creature, questo Spirito non si palesa, ma si fa percepire da coloro che acutamente indagano con sottile, alta intelligenza. Il saggio soggioghi parola e mente; soggioghi poi [la mente facendola rientrare nella ragione,; soggioghi la ragione [facendola rientrare] nel sé, poi nell’ atman quieto.
(Katha Up. III.3-13)

(1) Nella Katha Upanishad la storia di Naciketa viene narrata per sommi capi, mentre nella Taittiriya Brahmana risultano estremamente più ampie ed approfondite sia la narrazione degli eventi, che vedono protagonisti Naciketa e Yama, che la spiegazione delle cause originarie.

(2) J. Miller, op. cit., p. 154.

(3) Formule di offerta nell’ordine rivolte a: Indra, Signore delle acque celesti; Varuna, Signore delle acque terrestri; Candra, deva della Luna; Surya, deva del Sole.

(4) Diverse cerimonie sacrificali.

(5) Questi sacrifici costituiscono una cerimonia complessa di cui, nella Taittirya Brahmana, in una certa misura viene spiegata anche l'esecuzione. Oggi però questi sacrifici sono completamente inaccessibili poiché, con il progredire di Kaliyuga, mancano i sacerdoti che abbiano la purezza e l’esperienza necessarie; vedi p. 48 e segg..

(6) Katha Up. IV.1,26.

(7) Lett. ‘Colui che segue la disciplina, sadhana’.

(8) Lett. ‘Colui che ha comptenza, adhikara’.

(9) Cfr. lo stesso verso in Bg III.42, con l’unica differenza che mentre nella Katha Up. la materia è definita superiore alla percezione (“superiori ai sensi sono … gli oggetti”), al contrario nella Bhagavadgita sono i sensi ad essere definiti superiori alla materia non senziente.

venerdì 10 aprile 2009

Comunicato CSB terremoto in Abruzzo


Care amiche e amici,

in questa giornata di lutto nazionale ci uniamo al profondo dolore della popolazione dell’Abruzzo colpita dal terremoto.

Oltre ad un modesto contributo in denaro che abbiamo piacere di devolvere al finanziamento dei soccorsi, offriamo le nostre congiunte preghiere a Dio, clemente e misericordioso, per tutte le vittime e per sostenere spiritualmente coloro che al momento vivono situazioni di grande difficoltà. Impegniamoci a fare tutto quel che è possibile al meglio della nostra umanità, ma soprattutto confidando nella misericordia divina e facendo appello alla nostra coscienza spirituale, strumento di ogni vera soluzione.

Con fede, rinnoviamo il nostro impegno nella diffusione di una cultura spirituale che possa aiutarci a superare anche le crisi più gravi.

Centro Studi Bhaktivedanta
L'INFLUENZA DELLA COSCIENZA
SULL'INDIVIDUO E SULL'AMBIENTE.

IL BIG-BANG(1).
di Marco Ferrini.

Gettiamo uno sguardo su di un Mito moderno della creazione dell’universo, vale a dire sul racconto scientifico secondo il sistema di credenze dominante nella cultura moderna. La teoria scientifica corrente per l’origine dell’Universo materiale nel tempo è chiamata teoria del Big Bang (La Grande Esplosione). L’eminente matematico e filosofo Alfred North Whitehead ha scritto:

Le certezze della scienza sono un’illusione. Esse sono circondate da limiti inesplorati. La nostra manipolazione delle dottrine scientifiche viene controllata dai concetti metafisici diffusi nella nostra epoca. Eppure, anche così siamo indotti continuamente all’errore nelle nostre aspettative. Inoltre, ogni volta che viene messa a punto una nuova tecnica di osservazione, le dottrine si sgretolano in una nebbia di inaccuratezze(2).

Il Big Bang è un’ipotesi, l’ipotesi cosmologica più in voga del momento ma pur sempre un’ipotesi, aspramente contrastata da cosmologi e matematici non meno qualificati di coloro che la sostengono. Secondo tale teoria l’attuale Universo spazio-temporale parte da un’ esplosione originaria datata circa 15 miliardi di anni fa. Fino a quel momento, tutta la materia e tutta l’energia esistevano in totale ordine e simmetria, in una condizione chiamata dai fisici ‘La grande meraviglia’ (The Great Singularity). Poi l’esplosione, il Big Bang, e tutto cominciò ad espandersi, con l’inizio del tempo e il manifestarsi delle direzioni. La grande meraviglia cominciò a dilatarsi e cominciarono a formarsi lo spazio e i differenti elementi. Proviamo a tracciare un parallelo tra il resoconto della fisica moderna e la descrizione dell’emanazione del cosmo manifesto fatta nelle Upanishad e negli altri testi della tradizione vedica. Lo stato di quiete definito dai fisici ‘La grande meraviglia’, è determinato, secondo il Samkhya e le Upanishad, dall’equilibrio dei guna che nel pradhana (stato quiesciente della materia) si controbilanciano perfettamente. Il Big Bang è la rottura di questo equilibrio, lo scomporsi di tale proporzione armonica dei guna, e da ciò si genera la prakriti. Per la fisica, la grande meraviglia è una situazioine causata dal perpetuo conflitto tra materia e anti-materia. Questo universo risulta costituito da diversi tipi di particelle elementari come i protoni, gli elettroni, i neutroni, i fotoni, i neutrini ecc. Alcune di loro esistono anche come anti-particelle; le particelle costituiscono la materia, le anti-particelle l’anti-materia. Quando la materia viene in contatto con l’anti-materia, si ha un’immediata e vicendevole distruzione o annichilazione per cui le rispettive masse vengono istantaneamente tramutate in radiazione secondo la famosa equazione di Einstein E=mc2 , in cui E è l’energia della radiazione, m è la massa trasformata in energia, e c la velocità della luce. Se le particelle e le anti-particelle avessero preso parte al Big Bang in numero esattamente uguale, durante la formidabile compressione di materiale e la “tempesta energetica” che ne seguì, il processo avrebbe dovuto terminare con la conversione in radiazione di tutte le particelle e le relative antiparticelle. Seguendo queste premesse, il risultato dell’esplosione avrebbe dovuto essere un universo fatto tutto di radiazione. Poiché così non è stato, si crede che particelle e anti-particelle presero parte al Big Bang in numero diseguale, cioè che per ogni miliardo di antiparticelle, ci fossero 1 miliardo e una particella, di modo che, dopo la deflagrazione, rimase ancora una particella per ogni miliardo di anti-particelle. Queste particelle residuali avrebbero costruito tutte le strutture presenti nell’universo come le galassie, le stelle e i pianeti, e tutti i componenti necessari alla vita biologica, grazie al processo di fusione dell’idrogeno (il primo e più semplice elemento risultante dall’esplosione primordiale) in elio, dell’elio in carbonio, del carbonio in ossigeno e così via fino alla formazione dei metalli pesanti come il ferro. Riassumendo: i mattoni per costruire la vita biochimica così come noi li conosciamo, ciòè carbonio, ossigeno, azoto, fosforo, ecc., dovettero venir sintetizzati dall’idrogeno e dall’elio presenti nelle stelle formatesi dopo il Big Bang per collasso gravitazionale, dove ebbero luogo le reazioni nucleari necessarie per il bruciamento di idrogeno ed elio in molecole più grandi. Idrogeno ed elio furono dunque gli elementi base dai quali si poterono sintetizzare le molecole giganti necessarie alla vita. Questi processi di bruciamento, contrastando la naturale tendenza della stella a collassare su se stessa per effetto della forza di gravità, mantengono l’astro in equilibrio permettendogli di brillare per un tempo molto lungo; ma non appena il “combustibile” è finito si ha un effetto di gonfiamento della stella (preludio della sua “morte”), nel cui cuore avviene un collasso violentissimo che causa un’esplosione detta di nova o di supernova, che lascia poi come prodotto una stella debolissima (detta stella nana), una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della massa iniziale del genitore. Le stelle esplose disperdono attraverso l’Universo i materiali che avevano sintetizzato e che vengono incorporati in forme planetarie e, in ultima analisi, nei nostri stessi corpi. Morendo creano e diffondono gli elementi di cui è costituita la materia. Scrive E.C. Sudarshan(3):

[Secondo] la fisica dell’universo o cosmologia teoretica, […]lo stesso tipo di materiale si trova praticamente ovunque nell’universo. In altre parole, la composizione chimica dell’universo sembra essere la stessa, a prescindere dalla regione testata.

Nel più completo rispetto e apprezzamento per la visione fisico-materialistica, che ha nel Big Bang solo una delle numerose formulazioni teoriche, appare evidente che nel linguaggio scientifico confluiscono, in una prospettiva materialistica, elementi riscontrabili anche nel resoconto vedico e, in altre vesti, in molti altri miti della creazione di diverse culture tradizionali. La materia e l’anti-materia sono i due ingredienti primari nel processo della creazione così come, secondo il Samkhya, lo sono prakriti e purusha. Differenza sostanziale tra il paradigma vedantico e la prospettiva della fisica moderna è che, mentre la seconda si arresta all’individuazione della coppia di elementi primi costitutivi(4), i Veda risalgono ad una Causa Prima, ad un Motore Primo, da cui questi due elementi (prakriti e purusha, alias materia e anti-materia) hanno origine. Questa Suprema Causa viene così descritta nella Brahma Samhita (V.1):

Il Signore Supremo è Krishna
Forma di immortalità,
consapevolezza e beatitudine
Inizio senza inizio
Govinda è la Causa di ogni causa.


Storicamente, l’uso del concetto di causalità(5), della legge di causa ed effetto, è relativamente recente. Nella filosofia antica la parola ‘causa’ aveva un significato assai più ampio di quanto non abbia oggi. Aristotele ne definisce quattro specie: la causa formalis, che oggi si designerebbe piuttosto come struttura o contenuto ideale di una cosa; la causa materialis, vale a dire la materia di cui la cosa consiste; la causa finalis, il fine per il quale la cosa esiste, ed infine la causa efficiens. Soltanto quest'ultima corrisponde più o meno a quello che noi oggi intendiamo con la parola causa. L'evoluzione del concetto di ‘causa’ è avvenuta, nel corso dei secoli, in intima connessione con il mutamento concettuale di tutta la realtà colta dalla mente umana e con il sorgere della scienza della natura avvenuto all'inizio dell'età moderna. Man mano che la materialità e i suoi processi acquisivano sempre maggiore preminenza, fino al limite estremo del razionalismo, anche la parola causa veniva via via aderendo a quell'evento materiale che precede l'evento da spiegare e che lo ha in un qualche modo sollecitato. Anche in Kant, che in molti punti non fa che trarre le conseguenze filosofiche dallo sviluppo delle scienze avvenuto da Newton in poi, la parola ‘causalità’ viene utilizzata nel senso cui ci ha abituato il XIX secolo:

Quando apprendiamo che qualcosa accade,
presupponiamo sempre qualcos'altro cui quell'accadimento consegue,
secondo una regola.


Così, poco a poco, il principio di causalità finì per equivalere all'idea che l'accadimento naturale sia determinato univocamente, che cioè l'esatta conoscenza della natura o per lo meno di un suo ben definito settore, sia sufficiente, almeno teoricamente, per prevederne le conseguenze. La fisica newtoniana è appunto formulata in modo che, conoscendo lo stato di un sistema in un determinato momento, si può dedurne l’evoluzione futura. La concezione che in natura le cose vadano fondamentalmente così, fu formulata forse nel modo più generale e comprensibile da Laplace attraverso la finzione di un demone che, a un dato momento, conoscesse la posizione e il moto di tutti gli atomi e quindi capace di precalcolare l'intero futuro dell'universo. Quando la parola ‘causalità’ viene interpretata in modo così riduttivo, più propriamente si parla di ‘determinismo’, con ciò intendendo che esistono leggi della natura le quali, partendo dallo stato attuale di un sistema, determinano univocamente il suo futuro. E’ proprio questa la caratteristica distintiva della fisica classica: il determinismo, cioè l’idea che la storia degli eventi di tutti i tempi sia rigidamente determinata dalle esatte condizioni materiali esistenti in un determinato momento(6). Questa visione implica la non influenzabilità del sistema universo da parte di un’entita non-materiale cosciente, sia a livello individuale (essere senziente) che a livello cosmico (Essere Supremo). Storicamente questa linea di pensiero ha portato allo sviluppo del ‘deismo’, indirizzo filosofico che descrive Dio come creatore delle leggi fisiche e delle condizioni iniziali ma che non gioca poi nessun ruolo nella creazione, una volta determinata(7). Fin dalle sue origini la fisica atomica ha invece sviluppato idee che non rientrano in questo indirizzo di pensiero. Ma già nell'atomismo di Democrito e di Leucippo si assumeva che i macroprocessi avvengono perché a livello micro si verificano processi irregolari, secondo il principio dell'azione statistica associata di molti piccoli eventi singoli come base per la spiegazione dell'universo. E’ in questa concezione che trova fondamento l’idea che tutte le qualità sensibili della materia siano conseguenza della posizione e del moto degli atomi. Già in Democrito si trova enunciato il principio:

Solo in apparenza una cosa è dolce o amara,
solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi
e lo spazio vuoto.


Se in tal modo i fenomeni percepibili con i sensi si spiegano mediante l'azione associata di moltissimi procedimenti singoli nel micro, necessariamente ne consegue che anche le leggi della natura sono solo leggi statistiche, il che ulteriormente implica che la fisicità sia solo parzialmente conosciuta e conoscibile. Con l'avvento dell'età moderna, si è ben presto cercato di spiegare, non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente, il comportamento della materia attraverso la natura “statistica” degli atomi che la compongono. L’utilizzo della statistica ha assunto la sua forma definitiva nella seconda metà del secolo scorso per opera di Erwin Schrodinger, padre della meccanica quantistica. Con questa teoria, che nei suoi principi prende le mosse dalla meccanica newtoniana, si sono studiate le conseguenze della conoscenza incompleta di un sistema meccanico complesso. Per intenderci: la meccanica classica descrive la storia di un evento come un percorso ben preciso e indipendente dal tempo in uno spazio delle configurazioni in cui il percorso è identificato in modo univoco dalle condizioni iniziali, mentre la meccanica quantistica descrive la stessa storia tramite funzioni d’onda, vale a dire come la somma delle probabilità di avvenire di ‘tutti’ i possibili percorsi nello spazio delle configurazioni. Il mondo quantico si compone cioè di un indefinito numero di stati sovrapposti ognuno dei quali ha una certa probabilità di realizzarsi. Poiché nel mondo di cui facciamo esperienza questi effetti non sono percepibili dai nostri sensi, si ritiene(8) che la funzione d’onda che descrive gli stati sovrapposti collassi in un particolare stato nel momento in cui viene effettivamente misurato(9). L’attrazione gravitazionale secondo la fisica newtoniana ha descritto il mondo manifesto come fondato su principi deterministico-materialistici di connessione causale, vale a dire che ha escluso la coscienza dal movimento della materia. Newton ha teorizzato che due oggetti separati da spazio vuoto interagiscono causalmente con una forza d’attrazione direttamente proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che separa i loro centri; questo spazio è stato considerato pervaso da una sostanza denominata etere, la cui natura non fu mai scoperta ma le cui caratteristiche rendevano possibile la concatenazione di cause ed effetti materiali. Dalla metà del XIX sec., quest’idea di misteriosa azione a distanza è stata soppiantata da quella di un campo potenziale elettromagnetico che riempie lo spazio tra gli oggetti fisici e funge da mediatore. Einstein ha proposto che questo interposto ‘potenziale’ non fosse altro che la trama stessa dello spazio-tempo(10). A questa connessione causale, studiata principalmente dalle scienze fisiche oggettive, la fisica quantistica ha aggiunto, e la letteratura vedica ha sempre sottolineato, la presenza di un’intenzione come causa agente fondamentale in Natura, espressione della volontà e quindi della coscienza dell’essere(11). La Cosmological Psychology (psicologia cosmologica), indirizzo di studi della fisica moderna che considera l’influsso della coscienza nello studio della materia, considera l’universo manifesto come un unico componente con due funzioni, conoscente e conosciuto, un sistema composto che include sia colui che agisce (agency) sia l’ambiente (ciò che sopporta l’azione). Nella cultura vedica il significato di ambiente, includendo la mente nell’osservatore, ha un significato allargato rispetto a quello della cultura occidentale, la quale generalmente intende per ambiente quello oggettivo esistente al di fuori dell’osservatore. Nella cultura vedica invece per ambiente si intende sia l’insieme fisico costituito dagli elementi della natura posizionati nello spazio (il laboratorio esperienziale) che la struttura mentale, il campo psichico attraverso il quale vengono filtrate le intenzioni e i desideri di colui che fa l’esperienza (agency, l’essere spirituale). La mente in quanto materia fa parte dell’ambiente (prakriti), non dell’osservatore (purusha). Questa visione supera la concezione cartesiana, rigidamente dualistica, non integrata, che postula una suddivisione aprioristica di mente e materia, avvicinandosi invece al concetto vedico di mondo manifesto come interazione tra prakriti e purusha, in cui la coscienza influisce sulla materia manifestata. Scrive J.J. Gibson nel suo testo di Psicologia ecologica(12):

La consapevolezza del perpetuo e mutevole ambiente (percezione)
è coesistente alla complementare consapevolezza
del perpetuo e mutevole sé(13).


Il soggetto conoscendo influisce, modifica e determina il conosciuto, esprimendo in tal modo un proprio potere ‘creatore’. Ritroviamo tracce rudimentali di questa visione anche nel pensiero di Spinoza, che ha formulato l’esistenza del mondo come sistema interamente panteistico (Natura come Divino) con aspetti duali: colui che agisce (la mente) e l’ ambiente (la materia). Non c’è ragione perché la ricerca scientifica non debba espandere i propri limiti per identificare la mente, la materia e la vita come tre aspetti complementari della medesima realtà sottostante. Che questo cambio di paradigma scientifico stia prendendo piede, risulta evidente quando G. Wald, Premio Nobel per la Medicina, afferma che la mente, anziché uno sviluppo tardo nell’evoluzione degli esseri viventi, riservato agli organismi con i sistemi nervosi più complessi, come ritenuto secondo la concezione evoluzionistica darwiniana, è una realtà universale preesistente ad ogni sviluppo di aggregati di materia; e questo universo coltiva la vita perché la presenza estesa della mente lo guida in questa direzione. Trova qui piena corrispondenza la descrizione vedica dell’Universo materiale come emanazione di un Essere dotato di coscienza suprema, che si espande in forma di Intelligenza universale (Mahat), il cui ruolo è informare, nel senso sia di dar forma che di indirizzare, tutta la materia(14). La nostra coscienza è precondizione non solo della conoscenza ma anche della realtà: esiste ciò che è divenuto manifesto alla nostra coscienza. Una delle scoperte più sensazionali della fisica del ventesimo secolo è dunque il riconoscimento che l’osservatore non può essere isolato da ciò che osserva anzi, vi partecipa concretamente. Tutte le radiazioni, per esempio la luce, e tutte le particelle elementari hanno alternativamente la proprietà di particelle e di onde, pur trattandosi di proprietà completamente differenti fra loro ed escludentisi a vicenda. Un fisico che prepara un esperimento sulla radiazione sceglie in precedenza il set di proprietà che vorrà incontrare. Se fa un esperimento sull’onda, incontra proprietà di onda; se sulla particella, incontra proprietà di particella. Questa è la soggettività di ogni osservazione fisica. Anche la fisica occidentale scoprirà, ci auguriamo a breve, che lo stesso intimo legame o collegamento che c’è tra energia e materia esiste anche tra sostanza mentale ed energia, per cui anch’essa potrà dire che sostanza mentale e materia, come giustamente afferma il Samkhya, sono sostanzialmente la stessa cosa seppur manifestata con modalità diverse, ed è con queste modalità che interagisce l’osservatore. In tale contesto diventa possibile definire astri, pianeti e satelliti, che nella Tradizione indovedica sono corpi di esseri celesti (ad es. Bhumi, la Terra, Candra, la Luna, Surya, il Sole)(15), come ultra-ecosistemi, sistemi capaci cioè di mostrare dinamiche intenzionali. Anche Keplero credeva che i pianeti fossero esseri viventi, dotati di anima individuale. E’ interessante la visione di questo ‘teofisico’, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, che include elementi ampiamente descritti nelle rivelazioni vediche, come ad esempio: la presenza di Dio leggibile nell’ordine del cosmo, l’interazione dinamica tra creature, creato e Creatore, e quella tra coscienza e materia. Egli descrisse infatti le orbite planetarie come sfere a conchiglia inscrivibili in qualunque tipo di poliedro regolare, il cui centro è il sole, e vide in questi solidi regolari, sfericamente inscrivibili e circoscrivibili, la prova del fatto che è stato Dio a creare e regolare l’ordine del cosmo. Nella sua visione, Keplero immaginò la Santa Trinità con Dio, il Padre, come centro della sfera universale, il Figlio Gesù, sulla superficie di quella sfera, e lo Spirito Santo in quanto relazione tra il centro e la superficie, la creazione, un atto di comunicazione dell’anima del mondo, Dio, come un movimento o emanazione dal centro alla superficie. Inoltre, all’interazione tra l’Essere Supremo e il grande nido celeste di solidi e sfere inscritti e circoscritti, Keplero fece corrispondere la comunicazione dell’anima con il corpo attraverso l’emanazione o espansione in materia. La proprietà di agente può dunque venir attribuita a tutte le entità in Natura, dalle particelle più minute agli ultra-ecosistemi, in quanto esprimono una dinamica intenzionale, descrivibile come applicazione di un determinato sentiero di azione, selezionato tra un serie di opzioni, a seconda di quanto corrisponda ad un certo scopo. La funzione fisica d’onda quantica rappresenta l’esistenza di un intangibile ed irriducibile campo di probabilità, da cui tutta l’energia e la materia emergono. I fisici possono sicuramente dirci che un atomo è in un certo senso simile ad un universo dato che le orbite degli elettroni sono ad esenpio del tutto simili alle orbite dei pianeti, e che la proporzione di spazio è tra loro analoga. Dicevamo prima che il mondo dei quanta consiste in un numero indefinito di stati sovrapposti. La realtà di cui facciamo esperienza attraverso la percezione viene considerata perpetuamente in stato ‘collassato’ (ing. collapsed), al contempo definito e unico; cioè, la funzione d’onda che include gli stati sovrapposti, nel momento in cui viene percepita scompare, per lasciare al suo posto uno stato unico, una particella, una massa. Per costituire la nostra realtà condivisa, tutte le parti dell’universo devono essere continuamente sperimentate. Sono tali percezioni distribuite che contribuiscono a rendere definito l’universo. Diventa dunque inevitabile presupporre l’esistenza di una qualche sorta di coscienza cosmica, di Essere Supremo, per la cui consapevolezza la funzione d’onda dell’Universo collassa in uno stato definito, uno stato collettivo che include noi e tutto ciò di cui siamo coscienti. Questo passaggio da onda a particella è dunque influenzato dalla coscienza: il pesce vede la realtà in maniera differente dal serpente o dall’essere umano; la strumentazione psicofisica del jiva determina la ‘sua’ esperienza del reale. Se una qualsiasi del considerevole numero di proprietà fisiche del nostro universo fosse diversa da come è, la vita, come ora qui ci appare, sarebbe impossibile. Si richiama dunque l’istanza di una Volontà Suprema, di un Essere trascendente queste proprietà fisiche, che emani, diriga, regoli e ordini la manifestazione delle condizioni primarie entro cui questa vita si sviluppa. Secondo la cosmologia moderna, ci sono due parametri principali che intervengono nel favorire lo sviluppo della vita in questo Universo. Perché ci fosse tempo sufficiente per l’evoluzione degli elementi in complessi molecolari, in molteplici livelli di organizzazione della materia, dal micro al macro, l’universo deve essersi espanso per un tempo sufficiente (ammettiamo di x anni), il che implica che ad oggi deve estendersi su di un raggio di x anni luce. Tempo e spazio, strettamente collegati uno all’altro, sono dunque i due parametri di base che costituiscono il paradigma della creazione. Nel nostro universo agiscono primariamente due effetti di segno opposto: l’effetto di dispersione, causata dall’espansione di Hubble dovuta alla deflagrazione al momento del Big Bang, e l’effetto di aggregazione, riconducibile all’azione della forza di gravità. Se l’espansione avesse prevalso, tutta la materia avrebbe continuato a disgregarsi e non ci sarebbero grandi corpi solidi, e quindi nessuno spazio su cui poggiare la vita. Se, d’altra parte, la gravità avesse prevalso, l’espansione iniziale prodotta dal Big Bang si sarebbe rallentata fino a fermarsi, e in seguito avrebbe avuto luogo una contrazione dell’universo, forse in preparazione del prossimo Big Bang(16). Quindi non ci sarebbe stato sufficiente tempo per lo sviluppo della vita. Il perfetto intelligente armonizzarsi di questi due effetti fa sì che, nonostante l’universo nel suo complesso si stia espandendo, localmente venga tenuto insieme dalla gravità. E’ proprio questa precisa correlazione o sintonizzazione (fine tuning) tra l’espansione dell’universo nel suo complesso e la sua stabilità locale che permette sufficienti estensioni temporali e spaziali per lo sviluppo della vita. Risulta dunque evidente, anche a livello della micro e della macro fisica, che l’universo persegue l’intenzione di favorire la vita: è questo uno dei grandi e attuali dibattiti della cosmologia scientifica moderna che si chiede se l’Universo sia stato creato sulla base di un disegno preciso o semplicemente da una fluttuazione casuale del vuoto quantistico. Questa problematica va sotto il nome di principio antropico, per il quale uno dei maggiori e ancora oggi accreditati contributi in letteratura è stato dato da J.D.Barrow e F.J.Tipler(17). L’universo mostra delle peculiarità estremamente precise in alcune delle sue costanti cosmologiche tanto da rendere quasi inevitabile presupporre una finalità cosmica, una natura teleologica dell’universo. Potremmo definire queste implicazioni come l’autentico principio evolutivo che, considerato legge di organizzazione cosmica, svela l‘intima connessione, su piccola e larga scala, tra le strutture dell’Universo, in funzione del progresso dell’essere, sollevando la vita spirituale dalle coperture temporali delle macchine biochimiche che sono i corpi. Gli interdipendenti mondi organico ed inorganico, la base stessa della creazione materiale così come descritta nella letteratura cosmologica vedica, cfr. Samkhya, (intelligenza, mente, sensi e così via), altro non sono che l’estrinsecazione di un sentimento di compassione del Supremo che consente agli esseri condizionati di soddisfare i propri desideri e di perseguire i propri piani nella materia, fornendo la possibilità di acquisire conoscenza e di applicarla all’azione, di partecipare al gioco (lila), un ‘gioco’ il cui goal consiste nel ritrovare la strada di casa, quel mondo spirituale cui ogni scintilla di energia vitale ontologicamente appartiene.

(1) Per il paragrafo cfr. Keyserling and R.C.L. Chance and Choice: A Compendium of Ancient and Modern Knowledge, online www.chanceandchoice.com; R. Shaw, Cosmological Psychology, in Thoughts on synthesis of science and religion, 2001, Calcutta, Bhaktivedanta Institute; G. Wald, The cosmology of life and mind, in Synthesis of Science and Religion – Critical Issues and Dialogues, 1987, Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(2) Adventure in Ideas, Cambridge University Press, 1933.

(3) E.C.G. Sudarshan, Man and the Cosmos, in Synthesis of Science and Religion, op. cit.

(4) Come del resto fa la formulazione tarda e atea del Samkhya.

(5) Per le seguenti considerazioni sul concetto di causalità cfr. La meccanica quantistica, sul sito a cura del Liceo Scientifico Statale A. Tosi di Busto Arsizio (VA), http://www.quipo.it/atosi/numero2/mq/presenta.htm.


(6) R. Thompson, God and the Laws of Physics, in Synthesis of Science and Religion – Critical Issues and Dialogues, 1987, Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(7) Cfr. l’idea del Dio-geometra in Voltaire, ad esempio nel suo Dizionario filosofico (1754).

(8) E.P. Wigner, Monist, vol. 48, p. 248, 1964.

(9) “Gli oggetti ‘quantistici’ (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.) si trovano in certi stati indefiniti, descritti da certe entità matematiche (per esempio la ‘funzione d'onda’ di Schrödinger). Le grandezze fisiche che possono essere misurate (posizione, velocità, energia, momento magnetico, eccetera) sono chiamate osservabili. Nel linguaggio della meccanica quantistica, si dice che all'atto della misura di un qualsiasi osservabile, per esempio l’energia, la funzione d’onda collassa in uno dei tanti potenziali autostati (che sarà quindi quello osservato) ammessi da quel particolare osservabile (l'energia). Gli autostati sono gli stati fisici possibili che forniscono una misura oggettiva effettivamente realizzabile dall’osservatore del nostro osservabile. A questi autostati fisici, detti anche stati di sovrapposizione, è associata una ben precisa probabilità di essere osservati ma soltanto all'atto della misurazione vera e propria lo stato, precedentemente astratto e indefinito, fornisce un valore reale; finché la misura non viene effettuata, l'oggetto quantistico è oggettivamente indefinito, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive solo una potenzialità dell'oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l'informazione relativa ad una rosa di valori possibili, ciascuno con la sua probabilità di divenire reale ed oggettivo all'atto della misura. Questa "rosa" di posizioni possibili viene descritta collettivamente da una ‘funzione d'onda’. La meccanica quantistica quindi introduce due elementi nuovi ed inaspettati rispetto alla fisica classica: una è appunto l'influenza dell'osservatore, che costringe lo stato a diventare un autostato; l'altra è la casualità nella scelta di uno tra i diversi possibili autostati (ognuno con una propria probabilità). Il primo elemento inaspettato è la violazione dell'oggettività. Il secondo è l'indeterminazione, che rappresenta un'inaspettata violazione della perfetta intelligibilità deterministica. Entrambi gli elementi sono estranei alla mentalità della fisica classica, cioè rispetto a quella concezione ideale (galileiana, newtoniana e perfino einsteiniana) che pretende che l'universo sia perfettamente oggettivo ed intelligibile.” Fabrizio Coppola, Il segreto dell'universo. Pisa, 2002, Saggi Ist.Scientia. www.segreto.net/segreto.

(10) Queste teorie scientifiche rispecchiano l’indagine dell’elemento spazio, definito dalla tradizione vedica akasha, che traduce anche etere.

(11) Nell’ambito della teoria quantistica, vari fisici fin dagli anni '20 (per esempio Jordan, Eddington, Bohm) hanno ipotizzato che il libero arbitrio dell'uomo e degli animali fosse riconducibile all'indeterminazione quantistica. In particolare, è stato proposto che la scelta dei differenti autovalori non sia casuale ma sia una scelta cosciente dovuta ad una piccola volontà della Natura, che ha un piccolo margine per deviare il corso degli eventi dal determinismo assoluto (in cui la fisica credeva fino al 1927, cioè prima del principio di indeterminazione, perfino einsteiniana) che pretende che l'universo sia perfettamente oggettivo ed intelligibile. Siamo comunque molto lontani dalla concezione pienamente spirituale della tradizione vedica, per cui vedi pp. 27-28. Vale però la pena di citare Erwin Schrödinger, uno dei padri della teoria dei quanta: “La coscienza è l’unico teatro in cui si rappresenta tutto quanto avviene nell’universo, il recipiente che contiene tutto e al di fuori del quale non esiste nulla.” (cfr. Fabrizio Coppola, Il segreto dell'universo.Op. cit.).


(12)154 Cit. in R. Shaw, Cosmological Psychology, in Thoughts on synthesis of science and religion, 2001, Calcutta, Bhaktivedanta Institute.

(13) Ancora una volta siamo di fronte ad una confusione che la psicologia occidentale continua a fare tra due piani: quello del sé, spirituale, assoluto, immutabile e quello della mente costituita da un’energia più sottile della materia e soggetta a tutti i cambiamenti temporali. Per una diffusa trattazione sull’argomento, vedi M. Ferrini, Introduzione alla Psicologia Indiana – L’India e l’Occidente, ed. CSB, 2001.

(14) Cfr. dottrina Samkhya e dottrina Bhagavata, nelle pagine seguenti.

(15) Ecco un altro dei numerosi elementi che accomunano la concezione cosmogonia vedica a quella delle principali culture tradizionali ad es. assira, egizia, greca, maya, peraltro tutte temporalmente successive.

(16) Il collasso finale (Big Crunch) è una delle possibili soluzioni finali della teoria del Big Bang (quella dell’universo detto chiuso) che combacia con la descrizione vedica del ciclico riassorbimento in Vishnu.


(17) Il principio antropico cosmologico viene spesso usato e citato da molti autori ma difficilmente qualcuno gli saprà dare una definizione esaustiva. Gli autori del libro “The Anthropic Cosmological Principle”, J.D.Barrow e F.J.Tipler, analizzano questa problematica da diverse angolazioni in modo molto efficace, tanto che il loro lavoro è tutt’oggi considerato il più attendibile. Essi esplorano le problematiche relative al fine tuning nel nostro universo, vale a dire la perfetta e talvolta sorprendente precisione delle costanti cosmologiche fino a una parte su diversi milioni; talvolta sembra che “per un soffio” il valore esatto di una costante abbia permesso la vita.

domenica 5 aprile 2009

IL BIG-BANG E LA MUSICA CREATRICE.
di Marco Stefanelli.
(Estratto della tesi svolta presso il Centro Studi Bhaktivedanta).


In principio fu il Verbo, cioè la Parola: il Suono "pensato" da Dio ebbe (ed ha) il potere di creare, di dar vita all'intero Universo. Il suo rumore fu certamente quello della grande esplosione del Big Bang. Da allora le sfere celesti, nel loro eterno ruotare, emettono una vibrazione che potremmo definire "celestiale": del resto proprio così viene definita la sinfonia che si sente nel Paradiso cristiano e musulmano, presupponendo che la musica sia un linguaggio divino. Anche chi torna dallo stato di coma spesso ricorda di aver sentito una meravigliosa musica di sottofondo, impossibile a descriversi né tantomeno ad essere riprodotta dall'uomo. Dice Giovanni nel prologo al Vangelo omonimo: "in principio c'era colui che è 'la parola'. Egli era con Dio; Egli era Dio. Egli era al principio con Dio. Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa...". Dice la Genesi: "Dio disse... e fu". Alla base della più antica filosofia greca vi era la corrispondenza: pensiero-parola-realtà. Ma la filosofia greca ha attinto dall'Egitto. E infatti la genesi egiziana di Menfi recita: "Ptah, il grande, è il cuore (cervello) e la lingua (parola) dell'Enneade degli dei, lui creò gli dei, nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum. Ora, Atum è il creatore, ma si capisce che lui stesso è stato creato, grazie al cuore (sede del pensiero secondo gli Egizi) e alla voce (lingua). Anche gli Egizi hanno attinto la filosofia dal vicino Oriente e così via fino ad arrivare là dove è attestata la più antica filosofia: l'India. Brahma è il Tutto, è Dio, anima universale. Alla base della Genesi hindu vi è, inutile dirlo, il suono. Anche le tradizioni Hopi e Navajo asseriscono che in tempi antichi gli sciamani proferivano parole sopra la sabbia e creavano modelli (nel senso di forme e calchi), un concetto non dissimile al Mandala e gli Yantra indù che si dice siano espressione della vibrazione divina. La scienza moderna oggi mostra che questi ritmi geometrici giacciono al centro delle strutture atomiche. Ora, la parola è suono e il suono è vibrazione; il pensiero genera energia e l'energia è vibrazione; la luce è vibrazione. Secondo antiche narrazioni indiane, con i suoni è possibile materializzare degli oggetti e addirittura esisterebbero delle città invisibili (Dio disse... e fu... ...di tutte le cose visibili e invisibili...). Un antico racconto vedico narra che il saggio Narada andò da Dio a lamentarsi del disordine e della disarmonia che regnava a quel tempo sulla terra e ricevette da Lui, come rimedio, le note musicali e le leggi delle interrelazioni tra i suoni. Il principio del "Suono Cosmico" è alla base della cultura vedica. Il suono permea profondamente le culture orientali a tal punto che lo studioso Guy Beck le descrive come "Teologie soniche". In esse la genesi del mondo e della materia avvengono tramite un "suono primordiale" che dà forma ad un "pensiero" di Dio e lo proietta nell'universo, il che non appare poi così lontano dalla visione simbolica giudaico-cristiana. Il comandamento "non pronunciare il nome di Dio invano", sembra derivi dal fatto che per gli ebrei alcuni nomi sono impronunciabili, a causa del loro potere e della loro appartenenza ad esseri spiritualmente superiori e vicini a Dio. Sempre in India, a proposito dei Vimana (letteralmente "uccelli artificiali abitati") si narra che su alcuni di essi fosse incisa la sillaba sacra dell'OM e mediante determinati canti e preghiere i sacerdoti sapessero comandarli. Andrew Gladzewski eseguì una ricerca su modelli atomici, piante, cristalli e armonie in musica, e concluse che gli atomi sono risonatori armonici, mentre provò che la realtà fisica davvero è governata da ordini geometrici basati su frequenze di suono. E anche che il suono indù primordiale, l'OM, quando cantato in un tonoscopio produce le varie forme geometriche attribuite alla sacralità. Forse il più importante di queste forme è l'esagono, sul quale la matrice egiziana chiamata "Fiore della Vita" è basato. Questa serie di esteriormente ruotate divisioni del cerchio si conformano ai pilastri fondamentali della vita, gli aminoacidi. Questo Fiore della Vita si è successivamente manifestato anche in un cerchio nel grano (Crop Circles). Come l'espressione del numero nello spazio, la geometria è collegata inestricabilmente alla musica poiché le leggi della prima governano gli intervalli matematici che costituiscono le note nella scala musicale occidentale - i rapporti diatonici - da cui il motivo per cui gli antichi Egizi si riferivano alla geometria come "musica congelata".

Il fisico e medico italiano Massimo Corbucci scrive in un suo articolo sulla "Nuova Tavola Periodica" apparso su Scienza e Conoscenza di Ottobre 2006:

"Per chi non ha familiarità con la parola mantra, ciò che sto per dire odora di poco scientifico, ma se il problema è la terminologia, posso cambiarla: I'11 Maggio del 2000 i Cosmologi di UCLA, (Università Californiana Los Angeles) hanno rilevato nel firmamento un secondo "rumore di fondo" (il primo, quello a 2,7 K fu rilevato nel 1965 da Penzias e Wilson, con la famosa antenna a microonde costruita per altri scopi) sulla tonalità dell'oboe, che vi renderete conto com'è grave all'orecchio. Frequenza = 32,69 Hz! Ascoltatela, se potete (chiedete a un amico o conoscente radiotecnico, con un generatore BF di precisione). Ned Wright, abituato a questioni tecniche e poco propenso alla poesia, ha commentato con stupore, dopo aver ascoltato: «È la voce dell'Universo appena nato, è proprio il suono dell'OM originario che creò tutto!!!». Voi ricorderete che la "materia" è l'effetto di Vavohu, Tohu + il suono? Ora è tutto chiaro. Il suono fondamentale ha generato l'Idrogeno, l'emissione dell'intera ottava ha generato i 112 Elementi del Sistema Periodico. Pertanto questo è un ulteriore argomento a sostegno del "capolinea" a 112 degli elementi e non già che possa essere a 126!!!".

Ma se l'universo ha un suono, ogni pianeta ha una sua vibrazione particolare, che può essere tradotta in note musicali. Quando la navetta spaziale tornò dal suo viaggio da Saturno gli americani misero in un computer una cassetta registrata vicino agli anelli del pianeta e ne uscirono le prime note della "Toccata e fuga" di J.S. Bach. D'altronde ogni artista capta intuitivamente, anche se non ne è consapevole, delle informazioni che esistono su vari livelli di coscienza e con la sua creatività riproduce un modello che esiste già, se pur in un'altra dimensione. La scienza moderna afferma che circa quindici miliardi di anni fa una poderosa sinfonia di flauto dava la nascita al nostro Universo. Le onde sonore increspavano i gas incandescenti da cui avrebbe preso forma l'Universo attuale. Questa Musica ricorda le antichissime intuizioni di saggi, filosofi e matematici, convinti della equivalenza tra le simmetrie musicali, la matematica e i processi celesti, l'ordine degli astri in cielo come sintomo della segreta armonia del Cosmo e della Natura, che l'uomo può captare e comprendere. Sembravano sogni o fantasie esoteriche, ma oggi è la scienza e la cosmologia più avanzata a fornirci, sulla base di dati fisici, delle conferme a quelle intuizioni e a svelarci persino i timbri e le scale armoniche di quel possente concerto che avrebbe dato inizio al mondo. Le armoniche(1) individuate parlano infatti di un "flauto cosmico" nel quale onde sonore pari alla lunghezza fondamentale del flauto (300.000 anni luce) hanno poi armoniche di lunghezza pari alla metà, a un terzo e così via.

L'esperimento "Boomerang".
L'équipe internazionale di scienziati, guidati dall'astrofisico italiano Paolo De Bernardis dell'Università La Sapienza di Roma e responsabile del team italiano del progetto Boomerang, ha scoperto dei "fossili" di antichi suoni tra le increspature delle radiazioni di fondo cosmico. Sono suoni armonici con il timbro caratteristico di un flauto, prodotti dalle onde d'urto dell'espansione inflazionaria dell'Universo. Gli armonici sono la materia stessa del suono. Se, a parità di nota, riusciamo a distinguere il suono di un violino, di un flauto o di un oboe lo dobbiamo agli armonici, a come si mescolano tra loro, a quali emergono o a quali rimangono in secondo piano; si dice che non ci siano due voci umane uguali tra loro: è come se gli armonici si mescolassero in maniera diversa e unica. I primi risultati dell'esperimento sono stati pubblicati il 27 Aprile del 2000 su "Nature" e hanno avuto notevole risonanza sui vari media. Un'analisi più approfondita degli stessi dati ha permesso di aggiungere nuove informazioni nel 2001. Nel gennaio 2003 l'esperimento è tornato alla ribalta dopo aver ottenuto dei dati fondamentali in questo campo nel 2000 e nel 2001. Lo strumento utilizzato è un telescopio installato su una "gondola", un particolare tipo di alloggiamento, appesa ad un pallone aerostatico. Il pallone viene messo in orbita da una base che si trova in Antartide e quando raggiunge la quota di circa 40 chilometri osserva le microonde che costituiscono la cosiddetta radiazione cosmica di fondo, residuo del Big Bang.
Figura 1 - Analisi armonica del tipico suono del flauto fatta da De Bernardis.

La scoperta ha rilanciato il modello standard della cosmologia scientifica, il modello del cosiddetto Big Bang caldo nella versione inflazionaria che ne hanno dato, all'inizio degli anni ottanta, il russo Anrej Linde e l'americano Alan Guth. Ma ha rilanciato anche l'idea metafisica dell'armonia cosmica. Viviamo in un Universo informato e modellato da un Ordine matematico così armonioso da assomigliare a una sinfonia. Secondo la teoria dell'inflazione, subito dopo il Big Bang, l'espansione dell'Universo ha subìto una brusca accelerazione che ha portato le sue dimensioni ad aumentare in modo esponenziale ad una velocità impressionante. Il tutto in un tempo brevissimo, qualche frazione di secondo.
Figura 2 - Forma d'onda del suono del Big Bang.

Il professor De Bernardis, in un'intervista, conclude:

"Le immagini sembrano quelle di un mare in tempesta visto dall'alto, un mare pieno di onde grandi e piccole. Lo scorso aprile avevamo misurato solo quelle principali. Mentre ora siamo riusciti a vederne anche altre, quelle più piccole. Ne abbiamo trovate alcune grandi la metà e altre grandi un terzo di quelle principali. È la prima volta che si osservano queste componenti secondarie nella radiazione di fondo cosmico. Per capire l'importanza del risultato si pensi che, come le armoniche del suono distinguono il timbro di un flauto da quello di un clarino, così le armoniche secondarie della radiazione di fondo permettono di distinguere il processo fisico che è avvenuto nell'Universo primordiale. Le onde che vediamo sono il risultato di quello che è accaduto in quella palla di gas incandescente che era l'Universo primordiale. Sapevamo che al suo interno dovevano esistere onde sonore, dovute alla lenta compressione e rarefazione del gas, dovute all'azione contrapposta della forza di gravità, diretta verso il centro, e della pressione di radiazione, che spinge verso l'esterno. Si possono ipotizzare più modi diversi in cui possono avere origine le armoniche principali, ma solo una ben precisa teoria di formazione delle strutture, quella nota come inflazione prevede l'esistenza delle strutture più piccole, che corrispondono alle armoniche secondarie che abbiamo misurato. È stato esaltante scoprire un accordo perfetto con la teoria dell'inflazione. È stato possibile fare una nuova stima della massa dell'Universo, e il risultato che abbiamo ottenuto conferma i dati presentati lo scorso anno su Nature di un Universo piatto, destinato a espandersi all'infinito. Inoltre siamo riusciti a stimare il valore della costante cosmologica (che descrive una sorta di densità di energia che pervade lo spazio, introdotta per la prima volta da Albert Einstein): il valore si avvicina al settanta per cento del totale della massa più energia presente nell'Universo. Ma soprattutto, questo lavoro apre nuove vie ai teorici, che ora devono lavorare per spiegare perché l'Universo passa la fase di inflazione. Un punto questo ancora da chiarire." Di seguito riportiamo due articoli relativi al progetto Boomerang pubblicati all'epoca su alcuni media.

L'Universo? Una nascita a suon di musica (di Foresta Martin Franco, Corriere della Sera del 28 aprile 2001 - pagina 16).
"ROMA - L'Universo neonato si dilatava velocemente, percorso da onde sonore che risuonavano come quelle di un flauto. L'immagine è poetica, eppure non scaturisce dalla fantasia di uno scrittore, ma dall'ultimo lavoro di un'equipe internazionale di scienziati. Al progetto partecipano ricercatori della Nasa e dell' Esa, ma anche di istituti scientifici italiani come il Cnr, l'Enea e l'Asi. I risultati della scoperta saranno ufficialmente presentati domani a Washington dai due responsabili, l'italiano Paolo De Bernardis, dell'Università La Sapienza di Roma, e Andrew Lande del California Institute of Technology. Anche la nuova scoperta è stata fatta grazie a un telescopio portato fino a 37 chilometri di altezza da un enorme pallone chiamato «Boomerang», sopra i cieli incontaminati dell' Antartide. Questo straordinario strumento ha la capacità di raccogliere la tenue "radiazione di fondo", cioè quel che resta dell'intensa vampata di energia che accompagnò la nascita dell'Universo, circa 15 miliardi di anni fa. Fino a pochi anni fa gli strumenti non erano in grado di discernere alcun dettaglio nella radiazione di fondo. Poi, nel 1991, il satellite Cobe della Nasa fornì una prima, grossolana, immagine in cui si intravedevano i grumi della materia nascente. E, nel 2000 arrivarono, pubblicate sull'autorevole rivista Nature, le immagini ben più nitide di Boomerang, che mostravano gli embrioni delle galassie. Le ultimissime immagini, ancora più dettagliate, dimostrano che l'Universo primordiale, mille volte più caldo e un miliardo di volte più denso rispetto a oggi, era attraversato da onde sonore. L'onda sonora fondamentale corrisponde alle strutture più grandi osservate, di circa un grado (una misura pari al doppio della grandezza della Luna vista dalla Terra). Ma, assieme alla fondamentale, sono state osservate anche delle risonanze armoniche, proprio come quelle generate da un flauto, che corrispondono a strutture più piccole. Si potrebbe azzardare che la materia si formava rispettando quell'armonia musicale immaginata per primo da Pitagora. La nuova immagine, spiega il professor De Bernardis, conferma le previsioni del modello "inflazionario", quello secondo cui l'Universo nascente si sarebbe dilatato rapidamente a partire da dimensioni subatomiche.
Figura 3 - Analisi spettrale del suono del Big Bang.

Alle origini dell'Universo. "Sentito" il suono del Big Bang Paolo de Bernardis dell'università di Roma la Sapienza e Andrew Lange di CalTech hanno presentato a Wahington la scoperta. (Pubblicato il 30 aprile 2001 su Rainet - rai.it)

"Un anno dopo, l'esperimento "boomerang" che finì sulle prime pagine dei giornali del mondo per aver 'fotografato' il Big Bang, ritorna con nuovi risultati. Lo stesso gruppo internazionale di ricercatori - guidato da Paolo de Bernardis dell'università di Roma la Sapienza e da Andrew Lange di CalTech - ha stavolta scoperto il 'suono' del Big Bang. La scoperta - che è stata presentata a Washington al congresso della American Physical Society - ha dimostrato la presenza di onde sonore nell'universo primordiale e ne ha analizzato il timbro. Queste onde comprimono e rarefanno il gas incandescente che costituiva l'universo circa 15 miliardi di anni fa. La scoperta dà supporto alla teoria cosiddetta dell'inflazione, secondo la quale l'universo oggi osservabile proviene da una minuscola regione subatomica, che venne gonfiata vertiginosamente un attimo dopo il Big Bang. Raccogliendo la luce proveniente dall'universo primordiale, trasformata in un flebile fondo di microonde dall'espansione dell'universo, l'esperimento sul pallone stratosferico Boomerang (Balloon Observations of Extragalactic Radiation and Geophysics) ha fotografato le prime deboli strutture presenti 15 miliardi di anni fa, quando luniverso era 50.000 volte più giovane, ed era un gas incandescente, 1.000 volte più caldo e un miliardo di volte più denso di oggi. Una prima analisi dei dati, che evidenziava solo le strutture più grandi, era stata pubblicata un anno fa su Nature, ed aveva suscitato grande attenzione, perché la misura delle dimensioni di queste strutture aveva permesso di determinare la geometria 'piatta' dell'universo. La prima analisi mostrava che la maggior parte delle strutture aveva dimensioni di circa 1 grado (il doppio del diametro della luna piena). La teoria di questo fenomeno, sviluppata oltre 30 anni fa dagli astrofisici Yacob Zeldovich e Jim Peebles, prevedeva anche l'esistenza di strutture piu piccole, in particolare di dimensioni pari a metà e un terzo delle precedenti. Secondo la teoria, nel gas incandescente hanno risuonato solo le onde con una lunghezza particolare (circa 300.000 anni luce), quelle con lunghezza metà, un terzo, e così via. Esattamente come in un flauto, in cui risuona l'onda sonora fondamentale (di lunghezza pari al doppio della lunghezza del tubo), ma anche quelle di lunghezza pari a metà della fondamentale, un terzo e cosi via. Nell'universo primordiale le onde piu grandi corrispondono alle strutture maggiori misurate da boomerang l'anno scorso, mentre le armoniche dovrebbero generare strutture piu piccole. "l'analisi dell'immagine di boomerang è continuata per tutto l'anno scorso - raccontano de Bernardis e Lange - e oggi è stata presentata una immagine ancora più nitida, grazie ad una ricostruzione molto più accurata del puntamento del telescopio e ad una accurata analisi dell'emissione della nostra galassia. La nuova immagine è stata ottenuta utilizzando anche gli altri rivelatori presenti sulla navicella, migliorandone ulteriormente la precisione. In questa nuova immagine e possibile vedere tutti i dettagli delle strutture più piccole presenti nell'universo primordiale: si è scoperto che oltre alle strutture di un grado, sono particolarmente abbondanti quelle di dimensioni pari a circa metà e circa un terzo delle prime". "Come le armoniche del suono distinguono il timbro di un flauto da quello di un clarino, così le armoniche delle onde primordiali (chiamate in gergo 'secondo e terzo picco' a causa di una particolare visualizzazione matematica) permettono di distinguere il processo fisico che è avvenuto nell'universo primordiale. La nuova immagine - concludono i due ricercatori - conferma in modo inequivocabile la presenza delle onde acustiche nell'universo primordiale, le analizza in dettaglio e le trova in accordo con le previsioni del modello dell'inflazione".
Figura 4 - Analisi in frequenza 3D del suono del Big Bang.

Il prof. Marco Ferrini, nel suo libro "Coscienza e Origine dell'Universo", a proposito della creazione e del Big Bang, afferma:
"Il racconto cosmogonico delineato nella letteratura vedica descrive in tre momenti l'esplosione di un seme: la germinazione, l'espansione e infine la disgregazione; come dire: la creazione, il mantenimento e il dissolvimento; dunque un percorso in cui un seme non percepibile si espande differenziandosi in spazio cosmico, fino al suo punto di dissolvimento. Come vedremo, questo resoconto è sorprendentemente vicino alle moderne teorie fisiche relative all'origine e all'evoluzione dell'universo, vedi ad esempio quella del Big Bang e dell'espansione del cosmo. La cosmogonia moderna tenta di incorporare la categoria del trascendente quando postula un dominio al di fuori dell'universo scientificamente conoscibile, e dal quale quest'ultimo ha avuto origine al tempo del Big Bang. Questo dominio, che si estende al di là del tempo, dello spazio e della materia, è chiamato vuoto quantistico: campo di pura energia in cui ininterrottamente miriadi di particelle virtuali, che si manifestano dalle fluttuazioni quantistiche del sottofondo spazio-temporale, si formano e si dissolvono; alcune di queste intraprendono un processo di espansione che ne assicura l'esistenza. Secondo numerosi cosmologi, il nostro universo è una di queste particelle". E prosegue: "Come la persona umana è una combinazione di fisico, di psichico e di spirituale così, secondo la filosofia Yoga e Samkhya, tutto il mondo manifestato non è altro che un pensiero cristallizzato in energia e materia, creato allo scopo di consentire all'essere spirituale di realizzarsi. Allo stesso modo, al termine del processo di manifestazione energia e materia si trasformano nuovamente in pensiero. La conversione dell'energia in materia e della materia in energia, secondo le formule rivelate all'Occidente da Einstein più di cent'anni fa, così come le recenti scoperte della fisica quantistica, descrivono con linguaggio scientifico occidentale le medesime grandi realizzazioni dei saggi Vedici. L'universo risulta quindi coscienza in espansione; creato dalla volontà della Psiche Suprema; realizzato dal pensiero della Mente Cosmica. A tal proposito è interessante ricordare quel che già Newton diceva: "le leggi che governano l'universo sono pensieri di Dio".

I flauti di Krishna.
Nei testi vedici troviamo spesso riferimenti al suono del flauto. A proposito dei flauti di Sri Krishna, Srila Bhaktivedanta Svami Prabhupada nel "Nettare della Devozione" (cap.26) afferma:
"Krishna suona tre flauti, il primo si chiama venu, il secondo murali e il terzo vamsi. Il venu è molto corto, non supera i quindici centimetri e ha sei fori. Il murali è lungo circa quarantacinque centimetri e ha un foro all' estremità e altri quattro lungo la canna. Produce un suono che è fra i più incantevoli. Il vamsi è lungo trentasette/trentotto centimetri e ha nove fori. Krishna suona questi flauti secondo l'occasione. Egli possiede un vamsi più lungo che si chiama mahananda o sammohini, ed un altro ancora più lungo chiamato akarsini. Ma il più lungo di tutti è l'anandini. Quest'ultimo affascina moltissimi i pastori ed è conosciuto col nome più tecnico di vamsuli. Questi flauti possono essere incastonati di pietre preziose, oppure fatti di marmo, o anche di una canna vuota di bambù. Quando un flauto è fatto di pietre preziose è un sanmohini, quando invece è d'oro è un akarsini".
Altri riferimenti vedici ai "Flauti" di Sri Krishna li troviamo in varie Scritture, nello Srimad-Bhagavatam, 10.35.15, le Gopi a Madre Yasoda narrano:
"Quando tuo figlio suona il flauto, Shiva Brahma e Indra (che sono considerati i personaggi più nobili e anche i più eruditi) rimangono confusi. Benché occupino un'alta posizione, quando sentono il suono del flauto di Krishna si prosternano umilmente e si raccolgono con gravità, assorti nello studio di questa vibrazione".
Figura 5 - Sri Krishna con uno dei suoi flauti.

Nello Srimad-Bhagavatam dove viene descritta la casa eterna di Dio, troviamo:
"Krishna, L'eterno affascinante soffia il Suo flauto, accompagnato dal Suo fratello più vecchio Balarama e gli altri ragazzi bovari e le vacche entrano nella bella foresta di Vrindavana per goderne l'atmosfera. Loro camminano nel mezzo di fresche foglie adulte di alberi, i cui fiori assomigliano a penne di pavone. Sono inghirlandati da quei fiori e si decorano con il gesso dello zafferano. Qualche volta ballano e cantano e lottano l'uno con l'altro. Mentre Krishna balla, alcuni dei ragazzi bovari cantano ed altri giocano con i flauti; alcuni suonano la tromba sulle corna dei bufali indiani , o battono le loro mani, mentre lodano Krishna, 'Caro fratello, stai ballando molto bene'"
Il primo verso della Brahma Samhita - l'invocazione - (uno dei testi più antichi e sacri della letteratura vedica), descrive l'aspetto personale del Summum bonum e le sue trascendentali attività: tra cui quella di suonare magnificamente il flauto:

venum kvanantam ara vinda-dalayataksam
barhavatamsam asitambuda-sundarangam
kandarpa-koti-kamaniya-visesa-sobham
govindam adi-purusam tam aham bhajami

"Adoro Govinda, il Signore primordiale, i cui occhi sono simili ai petali del loto appena sbocciato; Egli suona il flauto in modo meraviglioso e una piuma di pavone orna la Sua testa. Il Suo corpo, raggiante di bellezza ha il colore di una nuvola carica di pioggia. La Sua incomparabile grazia affascina milioni di Cupìdi". Nella spiegazione del capitolo 4 verso 6 della Bhagavad Gita, Srila Prabhupada afferma: "[…]Egli appare grazie alla Sua potenza interna, nel Suo corpo originale. In altre parole, Krishna appare in questo mondo nella Sua forma immutabile ed eterna, con un flauto tra le mani. Egli appare nel Suo corpo eterno, che non è assolutamente contaminato dalla materia[…]".

(1)Le Armoniche sono le frequenze multiple della frequenza fondamentale di un'onda elettromagnetica. Un'onda che non sia perfettamente sinusoidale e che abbia la frequenza di 100 Hz sarà composta dalla frequenza fondamentale di 100 Hz e da numerose frequenze armoniche da 200, 300, 400 500 Hz e così via, con ampiezze d'onda variabili.

giovedì 2 aprile 2009

DIO, L'ESSERE, LA NATURA, IL TEMPO E L'AZIONE.
di Marco Ferrini.

Arjuna disse: Desidero sapere cos’è la prakriti(1), chi è il purusha(2), cosa sono il campo e il conoscitore del campo, la conoscenza e l’oggetto della conoscenza. Il Signore glorioso rispose: Il corpo si chiama ‘campo, e colui che conosce il corpo è il ‘conoscitore del campo’. Sappi che anch’io sono il conoscitore, presente in tutti i corpi. Conoscere il corpo e colui che conosce il corpo costituisce la conoscenza. Bg XIII.1-3


Nel paradigma Vedantico sono due le categorie conoscitive: conoscenza della materia e delle sue particelle, come atomi e quark (i corpi) e conoscenza dello spirito (il conoscitore del corpo o campo). La prima categoria si occupa di ciò che è mutevole, temporaneo ed esterno al sé; la seconda di ciò che è immutabile, eterno, trascendente, il sé. Nella Bhagavadgita viene spiegata l’esistenza di queste due differenti categorie di energia: quella materiale, detta anche inferiore (apara prakriti), non senziente (acit) e soggetta alle forze ineluttabili del tempo e dello spazio, e quella spirituale, detta anche superiore (para prakriti o brahman), dotata invece di coscienza (cit), quindi capace di percepire e di percepirsi, eterna ed immutabile. Anche nella Mundaka Upanishad si suddivide la conoscenza in apara vidya (conoscenza materiale o inferiore) e para vidya (conoscenza spirituale o suprema) in base all’oggetto di studio. Entrambe le categorie sono importanti in quanto complementari ed estremamente utili; la conoscenza della prakriti è infatti strumentale alla realizzazione spirituale. Nel bhakti marga (via della devozione amorosa a Dio) ogni azione compiuta nel mondo, se illuminata dalla consapevolezza spirituale e dunque offerta come sacrificio, può condurre alla completa reintegrazione nell’ordine socio-cosmico, grazie alla quale la persona può conseguire tutti i suoi fini terreni e nel contempo riscoprire la propria natura divina. La Tradizione vedica suggerisce un'attitudine lontana tanto da un’adesione illusoria e identificata con l’immanenza (il “mondo” e la “carne” del Vangelo) quanto dalla fuga verso una trascendenza astratta, negatrice dei valori terreni e spregiatrice del corpo. Essa esorta invece ad un agire pieno ma distaccato, efficace senza esser mosso da volontà di possesso e di potere; un agire religiosamente offerto con gioiosa devozione a Dio. In termini taoisti, la tradizione vedica prospetta un equilibrio dinamico tra i contrari, azione e non-azione, ottenuto grazie ad una conoscenza superiore che consente all'individuo di “esistere” con pienezza nelle sue coordinate spazio-temporali, di adempiere qui i suoi compiti senza evasioni pseudo-meditative, e nel contempo di aprirsi ad una dimensione meditativa autentica, metastorica e metatemporale, tesa alla comunione col divino. I cinque principali oggetti di studio sono dunque: Dio, il Param Purusha, l'Essere Supremo che, nella scienza dello yoga codificata da Patanjali, viene chiamato Vishesha Purusha (il Purusha speciale). Il purusha (l’atman della letteratura upanishadica), l'essere spirituale dotato di coscienza individuale, il quale è una scintilla dell'Essere Supremo (Param Purusha), la Coscienza cosmica (il Param-atma della letteratura upanishadica) la prakriti (Natura), i suoi costituenti (guna) e le leggi che la governano kala, il tempo karma, la rigorosa legge della remunerazione delle azioni, che governa la trasmigrazione della scintilla spirituale da una forma di esistenza ad un'altra, da un corpo ad un altro. Lo studio della cosmogonia include tutti questi elementi in quanto componenti fondamentali dell’universo. Possiamo enunciare quattro grandi postulati sui quali si fonda la concezione del cosmo e della vita in tutti i testi della letteratura vedica: Esistenza di un Essere supremo, fonte di tutto ciò che costituisce l'universo. Esistenza di un essere individuale, di natura spirituale considerato l'essenza di ogni personalità. Esistenza di una relazione intima tra anima individuale e Anima suprema. Esistenza di una relazione proporzionale tra: le condizioni di vita di ogni organismo (dai più semplici ai più evoluti), il grado di sviluppo della loro coscienza e la loro triplice natura, sattvica, rajasica o tamasica. Questi presupposti sono di natura intuitiva, ‘leggi elementari dell’universo’, per dirla con Einstein, a partire dalle quali l’edificio del cosmo prende corpo.

(1) La Natura.
(2) L’essere, il soggetto, colui che fa l’esperienza.