lunedì 26 aprile 2010

LA COSMOGONIA NELLA COMMEDIA E NELLA GITA (PARTE PRIMA).

Di Marco Ferrini (Matsyavatar das).

Ogni civiltà ha prodotto una sua cosmogonia, perché una delle più pungenti curiosità dell’uomo è stata quella di sapere da dove proviene, dove si trova e dove sta andando, domande eterne a cui la filosofia ha sempre cercato di dare una risposta. Dante aveva accettato per buona la cosmogonia alessandrina, la visione tolemaica geocentrica, ereditata dall’Ellade e dai Latini, che considerava la terra al centro del cosmo. Bisognerà arrivare a Copernico, uomo del Rinascimento, per avere una nuova teoria, dimostrata da funzioni matematiche, che descrive un cosmo differente, cioè eliocentrico con il sole al centro del mondo. Questa nuova visione fu confermata e ampliata nel 1600 da Galileo Galilei, che rischiò la persecuzione e il rogo; fu costretto ad abiurare e lo fece per non diventare una fiaccola vivente in mano ai domenicani, come successe invece al filosofo Giordano Bruno. La concezione che aveva Galileo del mondo non è quella che abbiamo noi oggi con la fisica quantistica ed i telescopi elettronici, eppure i problemi esistenziali rimangono sempre gli stessi: l’uomo continua a nascere, a morire, a non sapere da dove viene e dove sta andando, a vivere con angoscia, a provare il dolore, la frustrazione della vecchiaia, la morte, la transizione e la rinascita. Dante aderisce alla concezione dell’Universo del tredicesimo secolo, anche se essendo una personalità grande ed eclettica, ne dà una sua interpretazione. Dante è un pellegrino speciale, non viaggia solo su terreni fisici come Magellano, Vasco De Gama o Cortes, ma come Virgilio, Enea, san Paolo, Maometto, è una di quelle persone che sperimentano addirittura un viaggio in un’altra dimensione. Nella Gita e il Bhagavata Purana il Cosmo viene rappresentato su tre livelli: ci sono pianeti inferiori (Bhu), pianeti intermedi (Bhuva) e pianeti superiori (Sva), che vengono chiamati anche paradisi. Dall’oceano causale, in basso, avviene la creazione attraverso una promanazione di Maha Vishnu, il Creatore, che è lui stesso una promanazione da Krishna, nome che significa “l’immensamente affascinante”. Nell’alto Empireo esiste la dimora divina che è Goloka Vrindavana (Katha e Svetasvatara Uphanishad, Bhagavad Gita): dimora di luce, fulgenza che illumina tutto il mondo, e nella Commedia si dice:

La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
(Paradiso Canto I)

mercoledì 21 aprile 2010

LA PARTICELLA DI DIO?


A cura di Andrea Boni.

“PISA. C'è molto di Pisa nel viaggio alla scoperta dell'"universo bambino" che si sta compiendo al Cern di Ginevra. Un viaggio che potrebbe portare un premio Nobel sotto la torre pendente. Da qualche giorno, infatti, all'interno del Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle più potente della storia, si stanno scontrando fasci protonici a 7.000 miliardi di elettronvolt, un livello energetico mai raggiunto prima. I microscopici fuochi di artificio che scaturiscono dalle collisioni, hanno l'obiettivo di riportare piccoli frammenti di materia alle condizioni immediatamente successive al Big Bang, precisamente una frazione di miliardesimo di secondo dopo l'esplosione che generò l'universo. A capitanare uno dei quattro esperimenti collegati all'attività di LHC è il professor Guido Tonelli, 59 anni, ordinario di Fisica generale all'Università di Pisa e collaboratore dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Da circa un anno Tonelli è responsabile di Compact Muon Solenoid (Cms), un progetto al cui interno lavorano 3.600 persone, tra scienziati, tecnici e ingegneri.

Le leggi della fisica che studiamo oggi, infatti, sono relative a un universo freddo e vecchio di 13,7 miliardi di anni, che non ha più niente in comune con il cosmo appena nato: "Dopo il Big Bang le temperature erano molto elevate e di conseguenza c'erano più particelle di quelle attualmente conosciute - prosegue il fisico - Le più pesanti, infatti, necessitano di grandi quantità di energia e per questo oggi sono scomparse". LHC promette di riportare indietro le lancette dell'orologio e di trovare queste particelle scomparse, utili per svelare molti dei misteri del cosmo: "Prima di tutto cerchiamo il bosone di Higgs, un elemento che permetterebbe di capire come mai le particelle elementari hanno masse così diverse tra loro - spiega Tonelli - Poi c'è la materia oscura, una forma del tutto nuova di sostanza: non la vediamo (perché non emette luce), ma attraverso le osservazioni siamo in grado di dire che rappresenta circa un quarto dell'universo e che tiene insieme enormi ammassi di galassie". Infine, LHC potrebbe confermare (o smentire) le recenti teorie extradimensionali: "Noi viviamo in un mondo a quattro dimensioni (le tre dello spazio più il tempo ndr) ma in origine forse, ce n'era qualcuna in più e con LHC lo scopriremo - spiega Tonelli - Gli elevati livelli di energia all'interno dell'acceleratore potrebbero consentire l'apertura di varchi su dimensioni sconosciute. Ovviamente, parliamo di spazi e tempi estremamente ridotti, per cui sarebbe possibile prelevare soltanto piccole particelle di materia, niente di più. Ma se l'ipotesi fosse confermata, vi sarebbero sviluppi interessanti". Per questi e altri motivi, il nome dello scienziato pisano-lunigianese sembra essere finito nella lista dei candidati al Nobel per la fisica. (Il Tirreno, 7 Aprile 2007)”.

Questi esperimenti sono sicuramente interessanti, tuttavia sarebbe importante comprendere questi fenomeni anche attraverso la Scienza fornita all'interno dei Veda e della Filosofia del Samkhya e della Bhagavad Gita in particolare, dove viene descritto come la materia sia una manifestazione dell'energia Divina che si manifesta a partire dall'elemento etere (akasha).

L’elemento akasha descritto dall’antica filosofia Samkhya, probabilmente la più antica del genere umano, è tradotto variabilmente nelle lingue europee moderne con i termini di ‘spazio’ e di ‘vuoto’. Per le caratteristiche peculiari del vuoto quanto-meccanico potremmo utilizzare questa stessa definizione anche per il termine akasha della filosofia Samkhya, che indica un contenitore (composto di prakriti, materia, seppur sottile, essendo uno dei pancabhuta), per l’appunto “vuoto” avente la potenzialità-disponibilità massima di manifestare tutto ciò che diventa fenomeno (dall'etere infatti, secondo il Samkhya, derivano tutti gli altri bhuta, ovvero l'aria, il fuoco, l'acqua e la terra). L'elemento akasha, insieme a tutti gli altri elementi, sono di fatto energie del parampurusha, l'Essere che si situa ontologicamente al di là di materia, spazio e tempo. Si veda a tal riguardo Bhagavad Gita VII.4:

“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente,
intelligenza e falso ego – questi otto elementi distinti da Me,
costituiscono la Mia energia materiale”.

Quando si manifestano i fenomeni secondo il Samkhya? Quando nel vuoto o nello spazio si situa l’osservatore, il purusha. Qui varrebbe la pena di citare la famosa teoria, poi dimostrata ed accettata dalla scienza, del Principio di Indeterminazione di Heisenberg del 1928, secondo il quale un fenomeno non si può precisamente determinare in quanto l’osservatore - osservandolo - lo modifica; da qui appunto l'enunciazione del ‘Principio di Indeterminazione’. Similmente, nella filosofia e psicologia Samkhya si evidenza che quando il purusha - con la sua coscienza e capacità di osservazione - penetra nella prakriti o dimensione empirica, il primo impatto che questi ha è con lo spazio ed è nello spazio - nell'interazione con la coscienza - che si manifesta la materia con la sua specifica forma empirica, definita in termini moderni come massa, proprio come nel concetto del vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci o dall'”etere” di Todeschini. Il purusha si carica di massa, quindi manifesta il corpo materiale, a seguito dell’impatto con akasha (lo spazio, il vuoto).

Che la massa si origini da questo spazio-vuoto nell'interazione con la coscienza dell'osservatore è ciò che postula anche la Fisica moderna; infatti, affinché le onde energetiche si trasformino in particelle subatomiche è necessario l’impatto con l’osservatore. Rimangono onde se non vengono osservate e diventano particelle, dunque si caricano di massa, quando invece sono osservate. Con il linguaggio della Fisica moderna diversi fisici oggi spiegano che esse attingono massa dal vuoto quanto-meccanico; nella filosofia Samkhya si afferma che il purusha si riveste di materia (massa) nel suo impatto con la prakriti nella forma di akasha, ed è da questo impatto che si genera il Tempo. Quest'ultimo ha infatti influenza solo sulla massa, ma non sul purusha. Il purusha non è eterno perché dura tanto nel Tempo, bensì perché non ha niente a che fare con esso. Né con lo Spazio: il purusha è definito pura coscienza (cit), a-temporale e a-spaziale. Si veda a tal fine Bhagavad Gita II.12:

“Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo,
Io, tu e tutti questi re, e in futuro mai nessuno di noi cesserà di esistere”.

Secondo la filosofia Samkhya, quando la prakriti è allo stato non manifesto (a-vyakta) i guna, ovvero le sue energie strutturanti, sono come forze contrapposte che si annullano reciprocamente producendo una stasi. Quando invece la coscienza (purusha) osserva la prakriti, queste forze si attivano generando i fenomeni materiali e rimangono in moto fino a che non si produce lo stato di kaivalya, ovvero la liberazione del purusha dalla prakriti così come descritta negli Yoga-sutra di Patanjali. Kaivalya consiste nel processo attraverso il quale il purusha si libera dalla massa che ha sviluppato per tornare ad essere puro purusha, puro brahman o puro atman.

lunedì 12 aprile 2010

UMANITA' NELLA BHAGAVAD GITA.


A cura di Andrea Boni.

La Bhagavad Gita non parla dell'uomo in astratto, ma dell'uomo incarnato, con i suoi condizionamenti, le sue paure e le sue crisi, e lo aiuta ad uscire fuori da questa situazione sgradevole che causa solo sofferenza. L'aiuto concreto portato da Krishna è andare oltre il contingente, quel contingente che è insostenibile dagli umani. In questo senso la Bhagavad Gita costituisce un patrimonio dell'umanità, infatti tutti gli esseri viventi, pur essendo frammenti infinitesimali di Dio, e quindi pur godendo con Lui di una relazione unica e distinta propria della nitya svarupa di ogni frammento eterno, poiché costituiti di energia marginale, possono essere soggetti all'azione ammaliatrice (maya) della potenza intrinseca della natura materiale. Se avviene il contatto tra purusha e prakriti, conseguenza comunque del libero arbitrio del purusha stesso, l'essere si ritrova incarnato e condizionato e lotta così contro le influenze della natura materiale e contro i sensi e la mente:

Mamaivamsho jiva-loke
Jiva-bhutah sanatanah
Manah-shashthanindriyani
Prakriti-sthani karshati


“Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono Miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente. (Bhagavad Gita XV.7)”

Apparentemente è una lotta impari poiché la materia (prakriti) ha una potenza superiore, che il jiva non riesce ad affrontare con le sue forze, ma può farlo tramite l'abbandono fidente a Colui che è fonte dell'energia stessa

Daivi hy esha guna-mayi
Mama maya duratyaya
Mam eva ye prapadyante
Mayam etam taranti te

“Questa Mia energia Divina, costituita dalle tre influenze della natura materiale, è difficile da superare, ma coloro che si abbandonano a Me ne varcano facilmente i confini. (Bhagavad Gita VII.14)”.

Il Jivabhuta è quindi costituito di spirito e materia. Lo spirito costituisce l'energia di Amore del Divino, mentre la materia, priva di coscienza, costituisce le coperture fisiche e psichiche, ed è per questo la causa vera della sofferenza (quando il soggetto si identifica completamente con tali coperture):

Bhumir apo 'nalo vayuh
Kham mano buddhir eva ca
Ahamkara itiyam me
Bhinna prakrtir ashtadha

Apareyam itas tv anyam
Prakrtim viddhi me param
Jiva-bhutam maha-baho
Yayedam dharyate jagat


“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente, intelligenza e falso ego – questi otto elementi, distinti da Me, costituiscono la Mia energia materiale.
O Arjuna dalle braccia potenti, oltre a questa energia ne esiste un'altra, la Mia energia superiore, costituita dagli esseri vivienti che sfruttano le risorse dell'energia inferiore, la natura materiale. (Bhagavad Gita VII.4-5).”

In questi versi troviamo quindi l'uomo dal punto di vista fisico, psichico e spirituale, l'uomo nei suoi tre piani antropologici così come spiegato da Krishna nella Bhagavad Gita.
La fonte della sofferenza dell'uomo risiede quindi in questa scissione della personalità. La natura Divina che si identifica con la natura transitoria di corpo e psiche, dovuta al riflesso del sé: l'ego. L'essere pensa di essere l'autore dell'azione che in realtà è attuata sotto l'influenza dei tre elementi della natura materiale per mezzo della distorsione provocata dalla percezione erronea di sé (l'ego, ahamkara):

Prakrteh kriyamanani
Gunaih karmani sarvashah
Ahankara-vimudhatma
Kartaham iti manyate


“Sviata per l'influenza del falso ego, l'anima spirituale, crede di essere l'autrice delle proprie azioni, che in realtà sono compiute dalle tre influenze della natura materiale. (Bhagavad Gita III.27)”.

A causa dell'ego l'Amore puro che costituisce la natura più intima della personalità, entrando a contatto con rajio-guna, diventa kama (desiderio di natura egoica). Ed é la vera causa di sofferenza, il nemico da combattere per riscoprire la centralità della personalità, l'umanità vera. Krishna stesso ad una domanda di Arjuna che chiedeva quale fosse la causa della sofferenza, afferma:

Kama esha krodha esha
Rajo-guna-samudbhavah
Mahashano maha-papma
Viddhy enam iha vairinam


“E' desiderio egoico soltanto, o Arjuna. Nata al contatto con l'influenza della passione e poi trasformatasi in collera, è il nemico devastatore del mondo intero e la fonte del peccato. (Bhagavad Gita III.37)”.

Dove risiede il desiderio egoico? Risiede a vari livelli e secondo differenti coperture dipendenti dalla struttura fisico-psichica e dal grado di condizionamento con la materia:

Dhumenavriyate vahnir
Yathadarsho malena ca
Yatholbenavrto garbhas
Tatha tenedam avrtam

Come il fuoco è coperto dal fumo, lo specchio dalla polvere e l'embrione dall'utero, così l'essere vivente è coperto dalla dal desiderio egoico? in differenti gradi. (Bhagavad Gita III.38)


E' il desiderio egoico che sia annida nella psiche il vero ostacolo all'evoluzione. E' esso che occorre combattere con l'arma del distacco e della pratica costante:

Indiriyani mano buddhir
Asyadhishthanam ucyate
Etair vimohayaty esha
Jnanam avrtya dehinam


“I sensi, la mente e l'intelligenza sono i luoghi in cui si annida il desiderio egoico. E' in questo modo che il desiderio egoico copre la vera conoscenza dell'essere vivente e lo confonde. (Bhagavad Gita III.40)

Questi versi descrivono quindi l'umanità, fatta di corpo, psiche e desiderio egoico, che li si annida, e che occorre conquistare con l'arma della conoscenza e del distacco che insieme portano ad un stabile cammino di realizzazione interiore e conseguente piena armonizzazione della personalità. Conoscenza significa conoscere le dinamiche che portano al dannoso condizionamento, e la natura superiore dell'essere vivente che trascende ogni involucro materiale e psichico:

La Bhagavad Gita è quindi un perfetto manuale che consente di conoscere la l'umanità dell'essere vivente nel suo insieme e la sua natura intima che lo lega a Dio. Tale conoscenza (jnana) diventa strumento vero di evoluzione quando realizzata (vijnana), attraverso una pratica spirituale costante e coerente. Solo allora l'armonizzazione della personalità sarà completa e il purusha potrà godere della beatitudine divina.