Questa volta, grazie all'indicazione della cara collega Dott.ssa Diana Vannini, mi sono imbattuto in un interessantissimo articolo pubblicato su un blog specializzato di Neuropsicologia (QUI).
Di seguito riporto integralmente l'articolo per comodità:
"Alla base dell'assunto dell'esistenza di una correlazione fra coscienza e attività neurale misurabile con gli strumenti della neurofisiologia vi sarebbe una profonda confusione filosofica”... Lo sostiene Ray Tallis, dell'Università di Manchester, sul New Scientist (R. Tallis, You won't find consciousness in the brain, New Sci, 7/1/2010). La gran parte dei neuroscienziati e dei filosofi della mente “vedono avvicinarsi il giorno in cui saranno finalmente in grado di spiegare tutti i misteri della coscienza umana attraverso l'osservazione dell'attività del cervello”. Allo stesso tempo, “una minoranza contesta questa ortodossia”, principalmente mettendo in discussione la “precisione” delle correlazioni fra le misure indirette dell'attività cerebrale e le funzioni mentali, caratteristica saliente degli studi finora condotti in questo complesso campo di indagine. Nel 2009 uno studio pubblicato da Harol Pashler e colleghi su Perspectives on Psychological Sciences aveva messo in evidenza e dubitato delle “troppo elevate correlazioni” fra attività del cervello e vari costrutti psicologici (peraltro “raramente illustrate a dovere”, a detta degli Autori) riscontrate nei paper di comunicazione dei risultati di ricerche condotte con risonanza magnetica funzionale (fMRI) nel campo della cognizione sociale, delle emozioni e della personalità. Il vero problema però, per come la vede Tallis, non è tanto nelle “limitazioni tecniche” degli strumenti, destinate a essere temporanee visto l'incalzante progresso delle neuroscienze, quanto nel metodo di indagine adottato, fondato a suo giudizio su una “confusione filosofica profonda”. Secondo il professore di Manchester infatti, sarebbero ancora numerosi gli aspetti della coscienza ordinaria che "resistono" alla spiegazione neurologica e “il fallimento dei tentativi di spiegare la coscienza in termini di attività nervosa non è dovuto a limiti tecnici facilmente superabili, ma alla natura auto-contraddittoria del compito, di cui l'incapacità di spiegare la contemporanea unità e molteplicità della consapevolezza, l'avvio dell'azione, la costruzione del sé, il libero arbitrio, la presenza esplicita del passato (non ammessa in un sistema fisico; le sinapsi, in quanto strutture fisiche, lavorano solo a stati presenti) ecc. non sono che i sintomi”. La ragione fondamentale della “incompletezza o irrealizzabilità” di qualsiasi spiegazione in questi termini sarebbe legata alla “disgiunzione fra gli oggetti della scienza e i contenuti della coscienza: la scienza incomincia proprio nel momento in cui rifugge dall'esperienza soggettiva, l'esperienza in prima persona, preferendovi la misurazione oggettiva che ci allontana dal fenomeno della coscienza soggettiva verso il regno in cui le cose sono descritte in termini quantitativi astratti". Questo modo di procedere - conclude Tallis - scarterebbe d'ufficio proprio i contenuti essenziali della coscienza che si vuole spiegare...Una curiosità: Ray Tallis non è un filosofo, è un medico della Academy of Medical Sciences. Questo articolo ci rimanda ad una riflessione pubblicata proprio su questo Blog (QUI), in cui venivano criticati i metodi di indagine della scienza positiva, basati sulla misurazione sperimentale, oggettiva, quando applicati per descrivere i fenomeni della coscienza. La cultura Antico Indiana, infatti, afferma che non è possibile descrivere la coscienza con i sensi (o con loro estensioni, quali possono essere anche i più moderni strumenti di misurazione), bensì è possibile spiegare questo fenomeno fondamentale della personalità solo con la coscienza stessa! Ovvero attraverso una visione interiore, quella a cui è possibile accedere mediante la meditazione. La coscienza non risiede nel cervello, di cui le sinapsi con i loro collegamenti risultano essere un effetto (quelli che Tallis chiama i sintomi), ma nella parte più profonda della personalità, l'atman, il sé che trascende ontologicamente la natura transitoria effimera del corpo. Parliamo quindi di due piani di valutazione differenti, non in contrapposizione, perché ovviamente il cervello con le sue connessioni interviene nel fenomeno Coscienza, ed infatti, più propriamente, dovremmo in tal caso definirla “coscienza condizionata”, poiché la natura pura della coscienza (cit), si trova ad essere condizionata (cittah) a causa della presenza del materiale psichico sottile e delle connessioni strutturate (“l'hardware” celebrale costituito dalle interconnessioni di sinapsi). Come Krishna spiega nella Bhagavad Gita (VII.4-5): “Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente, intelligenza e falso ego – questi otto elementi, distinti da Me, costituiscono la Mia energia materiale. […] Oltre a questa energia ne esiste un'altra, la Mia energia superiore, costituita dagli esseri viventi che sfruttano le risorse dell'energia inferiore, la natura materiale”. Le energie ontologiche sono due: materia (prakriti) ed il sé (purusha). Il sé può essere conosciuto solo con il sé, non con la materia, altrimenti si cade in una contraddizione, come evidenziato dal Prof. Tallis. Riflessioni di questo tipo, espresse da importanti ricercatori come il Prof. Tallis, evidenziano il dibattito tutt'ora aperto sul tema della coscienza, e le diverse contrapposizioni presenti. La Cultura Antico Indiana, in questo senso, costituisce un importante contributo per tutti i ricercatori aperti a visioni che possono integrare e migliorare le attuali conoscenze.
Di seguito riporto integralmente l'articolo per comodità:
"Alla base dell'assunto dell'esistenza di una correlazione fra coscienza e attività neurale misurabile con gli strumenti della neurofisiologia vi sarebbe una profonda confusione filosofica”... Lo sostiene Ray Tallis, dell'Università di Manchester, sul New Scientist (R. Tallis, You won't find consciousness in the brain, New Sci, 7/1/2010). La gran parte dei neuroscienziati e dei filosofi della mente “vedono avvicinarsi il giorno in cui saranno finalmente in grado di spiegare tutti i misteri della coscienza umana attraverso l'osservazione dell'attività del cervello”. Allo stesso tempo, “una minoranza contesta questa ortodossia”, principalmente mettendo in discussione la “precisione” delle correlazioni fra le misure indirette dell'attività cerebrale e le funzioni mentali, caratteristica saliente degli studi finora condotti in questo complesso campo di indagine. Nel 2009 uno studio pubblicato da Harol Pashler e colleghi su Perspectives on Psychological Sciences aveva messo in evidenza e dubitato delle “troppo elevate correlazioni” fra attività del cervello e vari costrutti psicologici (peraltro “raramente illustrate a dovere”, a detta degli Autori) riscontrate nei paper di comunicazione dei risultati di ricerche condotte con risonanza magnetica funzionale (fMRI) nel campo della cognizione sociale, delle emozioni e della personalità. Il vero problema però, per come la vede Tallis, non è tanto nelle “limitazioni tecniche” degli strumenti, destinate a essere temporanee visto l'incalzante progresso delle neuroscienze, quanto nel metodo di indagine adottato, fondato a suo giudizio su una “confusione filosofica profonda”. Secondo il professore di Manchester infatti, sarebbero ancora numerosi gli aspetti della coscienza ordinaria che "resistono" alla spiegazione neurologica e “il fallimento dei tentativi di spiegare la coscienza in termini di attività nervosa non è dovuto a limiti tecnici facilmente superabili, ma alla natura auto-contraddittoria del compito, di cui l'incapacità di spiegare la contemporanea unità e molteplicità della consapevolezza, l'avvio dell'azione, la costruzione del sé, il libero arbitrio, la presenza esplicita del passato (non ammessa in un sistema fisico; le sinapsi, in quanto strutture fisiche, lavorano solo a stati presenti) ecc. non sono che i sintomi”. La ragione fondamentale della “incompletezza o irrealizzabilità” di qualsiasi spiegazione in questi termini sarebbe legata alla “disgiunzione fra gli oggetti della scienza e i contenuti della coscienza: la scienza incomincia proprio nel momento in cui rifugge dall'esperienza soggettiva, l'esperienza in prima persona, preferendovi la misurazione oggettiva che ci allontana dal fenomeno della coscienza soggettiva verso il regno in cui le cose sono descritte in termini quantitativi astratti". Questo modo di procedere - conclude Tallis - scarterebbe d'ufficio proprio i contenuti essenziali della coscienza che si vuole spiegare...Una curiosità: Ray Tallis non è un filosofo, è un medico della Academy of Medical Sciences. Questo articolo ci rimanda ad una riflessione pubblicata proprio su questo Blog (QUI), in cui venivano criticati i metodi di indagine della scienza positiva, basati sulla misurazione sperimentale, oggettiva, quando applicati per descrivere i fenomeni della coscienza. La cultura Antico Indiana, infatti, afferma che non è possibile descrivere la coscienza con i sensi (o con loro estensioni, quali possono essere anche i più moderni strumenti di misurazione), bensì è possibile spiegare questo fenomeno fondamentale della personalità solo con la coscienza stessa! Ovvero attraverso una visione interiore, quella a cui è possibile accedere mediante la meditazione. La coscienza non risiede nel cervello, di cui le sinapsi con i loro collegamenti risultano essere un effetto (quelli che Tallis chiama i sintomi), ma nella parte più profonda della personalità, l'atman, il sé che trascende ontologicamente la natura transitoria effimera del corpo. Parliamo quindi di due piani di valutazione differenti, non in contrapposizione, perché ovviamente il cervello con le sue connessioni interviene nel fenomeno Coscienza, ed infatti, più propriamente, dovremmo in tal caso definirla “coscienza condizionata”, poiché la natura pura della coscienza (cit), si trova ad essere condizionata (cittah) a causa della presenza del materiale psichico sottile e delle connessioni strutturate (“l'hardware” celebrale costituito dalle interconnessioni di sinapsi). Come Krishna spiega nella Bhagavad Gita (VII.4-5): “Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente, intelligenza e falso ego – questi otto elementi, distinti da Me, costituiscono la Mia energia materiale. […] Oltre a questa energia ne esiste un'altra, la Mia energia superiore, costituita dagli esseri viventi che sfruttano le risorse dell'energia inferiore, la natura materiale”. Le energie ontologiche sono due: materia (prakriti) ed il sé (purusha). Il sé può essere conosciuto solo con il sé, non con la materia, altrimenti si cade in una contraddizione, come evidenziato dal Prof. Tallis. Riflessioni di questo tipo, espresse da importanti ricercatori come il Prof. Tallis, evidenziano il dibattito tutt'ora aperto sul tema della coscienza, e le diverse contrapposizioni presenti. La Cultura Antico Indiana, in questo senso, costituisce un importante contributo per tutti i ricercatori aperti a visioni che possono integrare e migliorare le attuali conoscenze.
Un articolo eccellente. Molte grazie
RispondiEliminaE come si spiega che malfunzionamenti fisici o per droghe e psicofarmaci modificano le azioni della coscienza?
RispondiEliminaStudio dell'università di Oxford
L'amore per i figli nasce dalla testa
L'istinto di difesa si trova in una regione del cervello che guida i grandi a prendersi cura dei piccoli
LONDRA, (Regno Unito) – Sono tanti i motivi per cui papà e mamma si prendono cura della propria prole. Ci sono motivi romantici (figli dell'amore), motivi evoluzionisti (conservazione della specie), motivi di buon senso e motivi puramente organici. A questo proposito i neuro scienziati dell'Università di Oxford hanno scoperto la zona del cervello incaricata di questo tipico sentimento di cura genitoriale, giungendo a importanti conclusioni anche nella spiegazione dei cattivi comportamenti dei grandi.
LO STUDIO - La ricerca inglese, come riferisce l'agenzia di stampa Reuters, oltre a fornire una visione scientifica dell'amore parentale, è cruciale nello spiegare le crisi depressive post-parto e gli episodi in cui mamma e papà tradiscono questo istinto. Secondo Morten Kringelbach, neuro scienziato che ha collaborato alla realizzazione dello studio, «si tratta di una teoria che precede addirittura le teorie evoluzioniste di Darwin». In sostanza, se i genitori non prestano le cure necessarie ai piccoli sarebbe colpa di una scarsa attività di una zona del cervello chiamata corteccia media orbitofrontale, situata in prossimità di un'area deputata al riconoscimento facciale. Quest'area del cervello, come è stato osservato empiricamente, reagisce in maniera vistosa solo di fronte al viso dei bambini. E quando qualcosa si inceppa l'istinto di tenerezza può venire meno.
TUTTO L'AMORE CHE C'È - Desmond Morris, lo studioso che per primo ha applicato le teorie e le tecniche di osservazione dell'etologia all'uomo, aveva già spiegato moltissimo dell'amore per i figli, osservando come i neonati, per massimizzare le possibilità di sopravvivenza, possiedono naturalmente alcune caratteristiche fisiche che sembrano "studiate" per commuovere anche l'adulto più cinico, stimolando in maniera spontanea un istinto di protezione nei grandi. Le pupille dilatate, il modo di guardare, la forma della testa: tutto sembra congegnato da madre natura per suscitare la protezione. Ma la ricerca va molto oltre questa visione, e ne fa una questione di pura attività cerebrale: la velocità impressionante con cui il cervello reagisce alla vista di un viso infantile trasforma questa reazione in un istinto quasi irrefrenabile. E se tutto funziona, per l'equipe di Oxford, non basta il degrado culturale, sociale, economico, non basta l'egoismo e neppure la cattiveria (ammesso che esistano esseri umani naturalmente cattivi) a spiegare l'infanticidio o la negazione di cure ai nostri bambini.
Emanuela Di Pasqua
27 febbraio 2008
La coscienza (cit) è un attributo dell'atman, il sé, una sua caratteristica intrinseca, così come lo è il senso di beatitudine, il senso di esistenza. E' un attributo così come il calore è un attributo del fuoco. Quando il sé, ontologicamente puro, si trova incapsulato all'interno di una matrice, si ricopre di involucri materiali (il corpo, i sensi) e psichici (mente, intelligenza, falso ego) - cfr. Bhagavad Gita XV.7, Bhagavad Gita III.42. Così, l'essere sperimenta il bene ed il male in base agli involucri di cui è ricoperto (cfr. Bhagavad Gita XIII.22). In questo stato, la coscienza pura dell'atman, diventa condizionata (citta), deformata, proprio come una lente deforma un raggio che la penetra. Ciò spiega che sia la costituzione strutturale del corpo sia sostanze esterne, possono deformare la coscienza, ma in questo caso, appunto, parliamo di coscienza condizionata.
RispondiEliminaCaro Dr. Andrea Boni, le affermazioni che la coscienza non risiede nel cervello, ma ne viene da questo solo condizionata, SONO ABBASTANZA VAGHE, se non si precisa il tipo e il modo di condizionamento. Per cui, fino a prova contraria, resta solo una supposizione legata al concetto di spiritualità, concetto mai dimostrato scientificamente.
RispondiEliminaEsaminiamo invece le cose che sappiamo dal punto di vista scientifico sul funzionamento di ciò che chiamiamo MENTE, e vediamo che probabilità hanno le sue affermazioni (o di chi per lei).
Sappiamo con certezza che la COSCIENZA negli esseri viventi si è evoluta, al pari del peso del cervello e del numero delle sue sinapsi. Gli ardipitechi di 4,4 milioni di anni fa avevano un cervello di circa 300 grammi.
Vedi: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Damasio.html
Il punto di partenza di Damasio, sostenuto dall'osservazione di diversi casi clinici, è che il cervello non può essere studiato senza tener conto dell'organismo a cui appartiene e dei suoi rapporti con l'ambiente.
Per Damasio, lo studio delle funzioni cognitive, e in particolare della coscienza, ha subito per lungo tempo l'influsso di una tradizione filosofica che può essere fatta risalire a Cartesio. Questi ci propone, infatti, una concezione che separa nettamente la mente dal corpo, attribuendo alla prima, addirittura, un fondamento non materiale.
L'errore di Cartesio è stato quello di non capire che la natura ha costruito l'apparato della razionalità non solo al di sopra di quello della regolazione biologica, ma anche a partire da esso e al suo stesso interno.
Il processo decisionale (ad esempio quello di compiere una scelta tra due o più alternative), secondo Damasio, è spesso ben lontano da quello di un'analisi che consideri minuziosamente i pro e i contro di ciascuna scelta. Il più delle volte, in special modo quando abbiamo a che fare con problemi complessi, dai molteplici risvolti personali e sociali, siamo portato ad utilizzare una strategia diversa che fa riferimento agli esiti di passate esperienze, nelle quali riconosciamo una qualche analogia con la situazione presente. Dette esperienze hanno lasciato delle tracce, non necessariamente coscienti, che richiamano in noi emozioni e sentimenti, con connotazioni negative o positive.
Damasio chiama queste tracce marcatori somatici: somatici perché riguardano i vissuti corporei, sia a livello viscerale a che quello non viscerale; il termine marcatore deriva invece dall'idea che il particolare stato corporeo richiamato costituisce una sorta di "contrassegno", o etichetta.
In tale processo, la scelta è quindi condizionata dalle risposte somatiche emotive, avvertite a livello soggettivo, che vengono utilizzate, non necessariamente in maniera consapevole, come indicatori della bontà o meno di una certa prospettiva: i sentimenti somatici normalmente accompagnano le nostre aspettative del possibile esito delle varie opzioni di una decisione da prendere; in altre parole, i sentimenti fanno parte in qualche modo del contrassegno posto sulle varie opzioni; in tal modo i marcatori somatici ci servono come strumento automatico che facilita il compito di selezionare opzioni vantaggiose dal punto di vista biologico.
Lo stretto legame esistente tra l'apparato della razionalità - e quindi della capacità di decidere - e quello posto alla base delle emozioni e dei sentimenti, viene confermato, secondo Damasio, anche dalla pratica neurologica. Egli ci riporta il caso di pazienti con danni nella regione prefrontale che sembravano aver perduto le capacità di provare alcune delle più comuni emozioni connesse al vivere sociale. Negli stessi pazienti, pur rimanendo integre le altre facoltà cognitive superiori (attenzione, memoria, intelligenza), l'assenza di emozioni si accompagna quasi di regola all'incapacità di decidere in situazioni che riguardano i propri interessi o quelli degli altri.
RispondiEliminaLa coscienza, nel modello di Damasio, è studiata in funzione di due componenti fondamentali: l'organismo e l'oggetto, insieme alle relazioni che si sviluppano tra loro nel corso delle loro interazioni. In tale prospettiva, la coscienza consiste nella costruzione di conoscenze rispetto a due aspetti:
- l'organismo che entra in relazione con qualche oggetto;
- l'oggetto coinvolto nella relazione che causa un cambiamento nell'organismo.
Comprendere la biologia della coscienza significa quindi capire in che modo il cervello riesce a rappresentare le due componenti - organismo e oggetto - e in che modo si stabilisce la relazione tra questi.
Secondo Damasio, la coscienza inizia come un sentimento, un tipo particolare di sentimento, ma comunque qualcosa di assimilabile a questo, anche se non completamente sovrapponibile alle altre modalità sensoriali rivolte al mondo esterno. In ogni caso, coscienza ed emozione non sono separabili, poiché la prima è indissolubilmente legata al sentimento del corpo.
Da un punto di vista evolutivo, le emozioni sono risposte fisiologiche che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall'organismo nel mondo che lo circonda. A sostegno di queste tesi, il neurofisiologo portoghese riporta alcune prove neurologiche che mostrano come certi meccanismi cerebrali siano comuni sia alle emozioni che alla coscienza, giungendo alla conclusione che la coscienza rappresenti fondamentalmente un aspetto ausiliario della nostra dotazione biologica di adattameno all'ambiente.
Nella concezione di Damasio, la coscienza non è monolitica, ma può essere distinta in:
- Proto-sé
Fenomeno primordiale di autoidentificazione che l'uomo condivide con gli animali superiori, alle cui base sono le emozioni, eventi strettamente biologici, sui quali si sviluppano poi i sentimenti (paura, fame, sesso, rabbia...) che hanno come motore l'interazione tra l'organismo e il mondo oggettuale. Il "proto-sé" non è consapevole di sé: rappresenta semmai quella parte del sé che impara poco per volta a riconoscersi come parte separata dal mondo esterno.
- Coscienza nucleare
Fenomeno biologico nel quale sono contemporaneamente presenti tre elementi: l'oggetto di sui si è coscienti, la posizione del proprio corpo rispetto a quell'oggetto e la relazione che si stabilisce tra queste due entità. La coscienza nucleare fornisce all'organismo un senso di sé qui e ora; non ci dice nulla riguardo al futuro. L'unico passato che possiede è quello, vago, relativo a ciò che è appena accaduto.
- Coscienza estesa
Si forma sulla base della coscienza nucleare ed è all'origine del "sé autobiografico".
Questo livello di coscienza richiede il linguaggio, poiché solo attraverso di esso possiamo formulare la nostra storia personale, in cui prendono posto i ricordi, le speranze, i rimpianti e così via.
Il modello di coscienza proposto da Damasio è un modello gerarchico, per cui non può darsi il sé nucleare senza il proto-sé e non può darsi quello autobiografico senza il sé nucleare.
A Damasio va senz'altro riconosciuto il merito di aver contribuito a introdurre il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza. L'idea che l'organismo partecipi all'esperienza cosciente rompe nettamente con una tradizione che vuole la mente ben distinta dal corpo e restituisce alla coscienza stessa i requisiti biologici indispensabili per farne un oggetto di studio scientifico.
RispondiEliminaMa gli studi di Eric Kandel, premio Nobel del 2000, sulla lumaca di mare Aplysia ci spiegano come nascono le sinapsi e perché: Vedi: http://www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/neuroscienze/articoli/neuro4.htm
Da cui la comunità scientifica internazionale ha ormai assodato che per il 50% il nostro carattere e la nostra personalità hanno una natura genetica (ereditaria) e per l’altro 50% si evolvono in base alle esperienze.
Il neuro scienziato Boyden, ha operato sezionando ed interrompendo singole sinapsi, con risultati in grado di modificare a suo piacimento l’intera personalità. Vedi:
http://www3.lastampa.it/scienza/sezioni/news/articolo/lstp/198892/
In conclusione una COSCIENZA che per estrinsecarsi nel modo odierno ha avuto bisogno di tante nuove sinapsi (evolvendosi), che se specifiche sinapsi vengono danneggiate ne vengono alterate determinate funzioni; mentre se si opera come Boyden si può modificare a piacimento personalità, carattere e ricordi. E allora la coscienza spirituale a cosa serve?
E, a parte, questo, che cos’è l’inconscio e come funziona?
Vista l'importanza dell'argomento ho pubblicato la risposta al seguente link:
RispondiEliminahttp://scienzaespiritualita.blogspot.com/2010/10/la-coscienza-si-trova-nel-cervello-cura.html
Grazie per i preziosi contributi,
Andrea Boni