mercoledì 11 marzo 2009

LO SCIENZIATO E LO SPIRITUALISTA.
di Giovanni Canepa.

Un individuo illuminato non vive scienza e spiritualità come due campi separati del conoscere.Lo scienziato olistico, completo, che ha assaporato l’essenza dei Veda, non si ferma alle conoscenze empiriche dei suoi studi, egli sente che tutto quello che rileva con le sue ricerche fa parte di un contesto più ampio di valenza trascendente e anela a ricongiungere i due aspetti dando un orizzonte di senso alto alla sua attività.Sente che la sua vita per avere un senso, collega tutto: le esperienze del laboratorio e quelle dello spirito. La sua capacità di stupirsi scorre parallela al freddo rilievo delle casistiche dei suoi esperimenti. È l’amore che sottostà alla sua vita, quello che se da un lato l’ha portato a studiare fenomeni del mondo fenomenico, dall’altro lo ha portato verso e poi dentro la devozione (Bhakti). Si sente completo soddisfatto mentre inizia la giornata con la meditazione e poi la svolge con le ricerche e le successive descrizioni in documenti scientifici. Per concluderla con un ringraziamento entusiasta.Per lui la scienza vera è quella che concilia i due aspetti della sua vita: sia l’analisi e la comprensione scientifica del mondo sia lo spirito superiore di comunione con la vita. Accettandoli entrambi la scienza ascolta quella saggezza umana che deriva dai suoi differenti rapporti con lo spirito. Porta le ragioni della vita terrena al mondo della scienza, ispirando gli obiettivi accademici, con amore, compassione e mettendoli in armonia con l’universo. Purtroppo oggi molti scienziati considerano la spiritualità come qualcosa di paradossale e fantasioso. In tutti i campi delle relazione umane che esulano dal contesto di puri devoti le pratiche della contemplazione e della preghiera sono paradossalmente sacrileghe. Perché quel mondo ha un suo “sacro” fatto di beni e di cose e persone da bramare. E non riesce a percepire un vivere fatto di "dare" e di "armonizzare". Tutto questo è molto più vero fra gli scienziati per i quali, nella maggioranza, il trascendente è argomento che va oltre il fine del conoscere, del fatto concreto e delle prove di laboratorio. Ciò che conta sono solo i procedimenti sulle reazioni che avvengono nella materia, e l’universo diventa il risultato di reciproche influenze fra parti atomiche.In quanto non misurabili non contano l’ispirazione e l’anelito che sorge spontaneo nell’uomo, ma contano i risultati dell’esperienza empirica. Questo è puro dualismo di spirito e materia. Il dualismo dell’infelicità umana per il quale lo spirito non esiste. La sfera spirituale, fatta di sentimenti, valori e ideali tutti non quantificabili è considerata come accessoria.Mentre essa è quella capacità straordinaria che consente sia di fare il mestiere di scienziati che di conoscere sé stessi e gli altri. Per lo spiritualista gli oggetti hanno un valore e un significato, sono strumenti per la realizzazione del sé, e non sono dovuti alla sorte. Invece, poiché non si mette in discussione quello che si vede con gli occhi e non si tocca con le mani, lo scienziato è immerso in convinzioni che non lasciano spazio al trascendente. D’altra parte il livello di coscienza degli scienziati rispecchia quello del mondo che li ha educati e quindi non ci si può aspettare altra impostazione da parte loro se non quella materialista. Ma… Ora la scienza stessa “scoppia” nelle mani degli scienziati, per la Teoria della Relatività e per le evidenze della fisica quantistica. La scienza stessa sta dimostrando l’esistenza di aspetti non meramente fisici dell’esperienza.Da qui la necessità di un'integrazione tra Scienza e Spiritualità, senza divisioni a priori, ma anzi dialogo e reciproco e ascolto, in cui il bene comune deve essere solo e soltanto un vivere costruttivo per tutto il creato (non solo l'uomo, ma tutte le creature), volto all'evoluzione dell'individuo visto nell'insieme dei suoi aspetti antropologici.


Riflessioni ispirate da un articolo di Katie Green apparsosu www.resurgence.co.uk.

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