mercoledì 10 giugno 2009

LA LOGICA (SPIRITUALE) OLTRE LA LOGICA (MATERIALE).
di Marco Ferrini.

Estratto da 'Coscienza e Origine dell'Universo'.

Alcuni studiosi erroneamente dicono che [la causa] è la forza insita nelle cose, altri dicono che è il tempo. Ma è la potenza di Dio nel mondo la causa che mette in moto la ruota dell’universo. (Shvetashvatara Upanishad - 6,1).

Nel paradigma vedantico sono due le categorie conoscitive: conoscenza della materia e delle sue particelle, come atomi e quark (i corpi) e conoscenza dello spirito (il conoscitore del corpo o campo). La prima categoria si occupa di ciò che è mutevole, temporaneo ed esterno al sè; la seconda di ciò che è immutabile, eterno, trascendente, il sè. Nella Bhagavadgita viene spiegata l’esistenza di queste due differenti categorie di energia: quella materiale, detta anche inferiore (apara prakriti), non senziente (acit) e soggetta alle forze ineluttabili del tempo e dello spazio, e quella spirituale, detta anche superiore (para prakriti o brahman), dotata invece di coscienza (cit), quindi capace di percepire e di percepirsi, eterna ed immutabile. Nella Mundaka Upanishad si suddivide la conoscenza in apara vidya (conoscenza materiale o inferiore) e para vidya (conoscenza spirituale o suprema) in base all’oggetto di studio. Entrambe le categorie sono importanti in quanto complementari ed estremamente utili; la conoscenza della prakriti è infatti strumentale alla realizzazione spirituale. Nel bhakti marga (via della devozione amorosa a Dio) ogni azione compiuta nel mondo, se illuminata dalla consapevolezza spirituale e dunque offerta come sacrificio, può condurre alla completa reintegrazione nell’ordine socio-cosmico, grazie alla quale la persona può conseguire tutti i suoi fini terreni e nel contempo riscoprire la propria natura divina. La Tradizione Vedica suggerisce un’attitudine lontana tanto da un’adesione illusoria e identificata con l’immanenza (il “mondo” e la “carne” del Vangelo) quanto dalla fuga verso una trascendenza astratta, negatrice dei valori terreni e spregiatrice del corpo. Essa esorta invece ad un agire pieno ma distaccato, efficace senza esser mosso da volontà di possesso e di potere; un agire religiosamente offerto con gioiosa devozione a Dio.
Lo cosmogonia include i seguenti elementi come componenti fondamentali dell’universo:

1) Dio, il Param Purusha, l’Essere Supremo che, nella scienza dello yoga codificata da Patanjali, viene chiamato Vishesha Purusha (l’Essere speciale).

2) Il purusha (l’atman della letteratura upanishadica), l’essere spirituale dotato di coscienza individuale, il quale è una scintilla dell’Essere Supremo (Param Purusha), la Coscienza cosmica (il Paramatma della letteratura upanishadica).

3) La prakriti (Natura), i suoi costituenti (guna) e le leggi che la governano.

4) Kala, il tempo.

5) Karma, la rigorosa legge della remunerazione delle azioni, che governa la trasmigrazione della scintilla spirituale da una forma di esistenza ad un’altra, da un corpo ad un altro.

Possiamo enunciare quattro grandi postulati sui quali si fonda la concezione del cosmo e della vita in tutti i testi della letteratura Vedica:
1) Esistenza di un Essere Supremo, fonte di tutto ciò che costituisce l’universo.

2) Esistenza di un essere individuale, di natura spirituale considerato l’essenza di ogni personalità.

3) Esistenza di una relazione intima tra anima individuale e Anima suprema.

4) Esistenza di una relazione proporzionale tra: le condizioni di vita di ogni organismo (dai più semplici ai più evoluti), il grado di sviluppo della loro coscienza e la loro triplice natura, sattvica, rajasica o tamasica.

Questi presupposti sono di natura intuitiva, ‘leggi elementari dell’universo’, per dirla con Einstein, a partire dalle quali l’edificio del cosmo prende corpo. Il secondo aforisma del Vedanta-sutra afferma: “ janmady asya yatah” (Dio è Colui dal quale tutto emana). La Brahma-samhita descrive Dio come sarva-karana-karanam (Causa di tutte le cause) e Adipurusha (Essere Primevo, Persona Suprema). Nella Brihadaranyaka Upanishad troviamo una strofa famosa, forse la più enigmatica di questa Upanishad, ma anche la più densa di significato spirituale e di suggestioni arcane. Questo mantra, il cui esordio è om, la sacra sillaba di orientamento verso il divino, descrive il Brahman come il Tutto da cui tutto ha origine. Pieno è quello, pieno è questo. Dal pieno nasce il pieno. Se pur si prende il pieno dal pieno, rimane intatto il pieno. Un’altra possibile traduzione è: Traendo il completo dal completo, completo quello rimane. Quel completo invero rimane completo. Quindi ci sono: ‘quel completo’ (il Brahman) e ‘questo completo’ (l’Universo). ‘Questo completo’, il mondo fenomenico nel quale viviamo, scaturisce da ‘quel completo’. Traendo questo da quel completo, completo quello rimane. Siamo di fronte ad una matematica metafisica dove uno meno parte di uno fa ancora uno. Questa è la natura del Brahman, non misurabile con logica umana, con parametri che appartengono al mondo delle condizioni.

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