lunedì 29 giugno 2009

SCIENZA E VEDANTA - LA FORMA UMANA
E L'EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE SECONDA).
A cura di Andrea Boni.

(La Prima Parte è consultabile QUI)

Le cinque verità descritte nel Vedantasutra.
Il Vedantasutra descrive cinque verità (tattva), o realtà- Esse sono(1):

1.Ishvara (il Sé cosmico)
2.Jiva (il sé individuale)
3.Prakriti (materia)
4.Kala (tempo)
5.Karma (azione)

Di queste le potenze di Ishvara sono infinite, mentre quelle del Jiva sono parziali. Tuttavia entrambe le realtà ontologiche sono eterne, e hanno come loro attributi conoscenza (Sat), coscienza (Cit), e beatitudine (Ananda). La coscienza non può essere separata dal Sé cosmico, come la luminosità non può rivelare la propria forma, è altresì un attributo del Sé Supremo stesso; così non c’è conflitto nell’affermazione che Dio (il Sé) è pura coscienza e allo stesso tempo la coscienza è un attributo del Sé.

Ishvara è considerato come l'origine di qualsiasi cosa animata ed inanimata, ed è la causa di tutte le cause (sarvakaranakaranam). E' il Controllore Supremo, e Colui da cui si diparte qualsiasi movimento di tutta la manifestazione cosmica. E' la Coscienza Universale ed è oltre la percezione sensoriale. Tuttavia la Sua presenza è visibile nell'effetto (il prodotto) della Sua creazione. Il ben noto fisico Max Born dichiarò: “Nell'atomo ho visto la chiave dei segreti più profondi della natura, e mi ha rivelato la grandezza della creazione e del creatore”. E' l'Eterno tra tutti gli eterni, e la Coscienza suprema tra tutte le coscienze (nityo nityanam cetanascetanam – Katha Upanishad, 2.2.13) e può essere compreso solo con la Scienza del Bhakti Yoga, la via devozionale, come espresso anche in Bhagavad Gita XVIII.55:

Bhaktya mam abhijanati
yavan yash casmi tattvataha
tato mam tattvato jnatva
vishate tad-anantaram

“Soltanto col servizio devozionale è possibile conoscere Me, il Signore Supremo, così come sono. E quando si diventa pienamente coscienti di Me grazie a questa devozione si può entrare nel regno di Dio”.

Ciò è peraltro confermato dal fatto che l'obiettivo del Vedanta è proprio il servizio devozionale, come specificato da Bhaktivedanta Saraswati nel suo testo “The Vedanta, its Morphology and Ontology”.

L'essere individuale, il jiva, è anche chiamato atman. Qualsiasi essere vivente è un jiva, l'atman è infatti l'elemento centrale della personalità. In altre parole tutti i microorganismi, gli insetti, gli esseri viventi acquatici, le piante, i rettili, gli uccelli, e così via fino ad arrivare agli esseri umani, hanno come fondamento della personalità l'atman. Il Vedanta afferma con rigore scientifico e filosofico che non solo gli esseri umani sono dotati di questa scintilla divina che sta alla base di tutta la struttura psico-fisica, ma qualsiasi forma vivente. In questo senso il Vedanta fornisce una prospettiva unica rispetto ad altre visioni scientifiche o teologiche. Nella Bhagavad Gita XV.7 è detto:

Mamaivamsho jiva-loke
jiva-bhutah sanatanaha
manah-shashthanindriyani
prakriti-sthani karshati

“Gli esseri viventi, in questo mondo di condizioni, sono miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente”

Ciò significa che tutti gli esseri sono particelle eterne e coscienti di Ishvara. Tuttavia la differenza tra Ishvara e i jiva, risiede nel fatto che la Coscienza di Ishvara, il Sé Supremo, è onnipervadente e illimitata, mentre quella del jiva, sebbene della stessa qualità, è localizzata e limitata in potenza. E' un po' come la differenza che sussiste tra il fuoco e la scintilla di brace che scaturisce da esso: sebbene dalla scintilla venga emanata luce e calore, tali attributi non posso dirsi della stessa ampiezza del fuoco da cui la scintilla di brace ha origine. Nelle parole di Shrila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, grande Maestro della tradizione Gaudiya-Vaishnava, Ishvara è assolutamente infinito, mentre il jiva è assolutamente infinitesimale. Il sé individuale ha la stessa qualità spirituale del Sé Supremo, ma la sua capacità è limitata.

Oggi, talvolta, come conseguenza dei notevoli progressi scientifici, leggiamo che gli scienziati della bioingegneria o della biotecnologia giocano a prendere il posto di Dio. Inoltre, anche studiando la storia, vediamo come si siano manifestate grandi personalità ritenute nel loro campo dei veri e propri geni, come ad esempio Mozart, Michelangelo, Tagore, Gandhi, Einstein, e tanti altri. Essi sono visti come piccole entità divine, ma nessuno di loro, sebbene molto intelligente, può essere considerato Dio. Oltre a ciò, ciascun essere vivente, malgrado la sua ontologica unione con il Sé superiore, mantiene la sua individualità ed identità rimanendo al tempo stesso unito e separato dal Sé. Questo è il vero significato di biodiversità. Inoltre il Vedanta spiega che la materia (prakriti), per quanto complessa possa essere, non genererà mai la coscienza, il principio attivo della vita stessa. Quindi, nella prospettiva Vedantica il significato di “vita” è piuttosto differente da quello formulato dalla visione scientifica occidentale, anche perché la scienza moderna, di fatto, non ha ancora fornito una teoria soddisfacente circa l'origine della coscienza.

I concetti di tempo (kala) e spazio sono estremamente importanti sia nella tradizione del Vedanta che in quella scientifica. Secondo una prospettiva accademico-occidentale il tempo ha avuto inizio al momento del big-bang, momento in cui ha avuto inizio la manifestazione dell'Universo.

Secondo il Vedanta, invece, kala non ha inizio. E' eterno ed è l'aspetto impersonale del Sé Supremo. Krishna dice nella Bhagavad Gita: “Io sono il tempo (kalo 'smi)” (XI.32). Quindi secondo questa prospettiva il tempo non ha inizio e non ha fine, è una realtà ontologica, e tutto l'Universo materiale si è manifestato come conseguenza di una “big-vision” piuttosto che di un “big-bang”. La manifestazione del mondo fenomenico ha un inizio ed una fine, e questa è proprio una caratteristica della natura materiale. Proprio come i corpi degli esseri viventi hanno un inizio ed una fine, così sussiste un ciclo di creazione e annientamento senza fine, che si protrae da sempre proprio come il cambio delle stagioni. La cosmogonia Vedantica propone una visione particolare relativamente alla creazione della manifestazione materiale. E' una visione fortemente simbolica che ha le sue radici nel mito, e racchiude per questo una Verità oltre il piano razionale e quindi difficilmente comprensibile secondo la logica cui siamo abituati. D'altra parte quello simbolico è il linguaggio più consono per rapportarsi con Verità che vanno oltre l'esperienza sensoriale. Secondo tale visione l'universo ha origine come atto creativo di Brahma, il primo essere (jiva) creato. Brahma in effetti è considerato il demiurgo universale, colui che, investito da Vishnu stesso, crea sulla base degli elementi primordiali da Lui messi a disposizione. Tali elementi sono proprio quelli enunciati dalla Filosofia Samkhya. Brahma non è eterno. Anche lui “muore”, solo che i tempi sono decisamente più dilatati rispetto all'esperienza umana. Un giorno di Brahma è chiamato kalpa, e un kalpa consiste di mille cicli di quattro yuga (ere) chiamate rispettivamente: Satya, Treta, Dvapara, e Kali. Lo stesso numero caratterizza la notte di Brahma. Brahma vive cento di anni così formati, dopo di che muore. Con la sua morte si annienta la manifestazione materiale, che torna al suo stato non manifesto (avyakta). La nuova manifestazione darà vita ad un nuovo ciclo universale. Ogni creazione, quindi, non è ex nihilo, bensì trasformazione di una energia ontologica, la prakriti appunto, che nel suo stato non manifesto prende il nome di pradhana. L'era nota come Satyayuga dura 1.728.000 anni; Tretayuga termina dopo 1.296.000 anni; dvaparayuga dopo 864.000 anni, mentre Kaliyuga dopo 432.000 anni. Pertanto cento anni di Brahma corrispondenti alla durata dell'intera manifestazione cosmica, equivalgono a 311 trilioni e 40 bilioni di anni così come concepiti dall'essere umano. Secondo la cosmologia Vedantica, quindi, l'Universo nasce con l'apparizione di Brahma, che al tempo presente ha un'età di circa 50 anni (secondo quanto riportato in Shrimad Bhagavatam III.11.34).

In sostanza, la scala temporale della cosmogonia Vedica è un ordine di 104 volte più alto rispetto alla cosmogonia occidentale. Come specificato, la creazione e l'annientamento degli universi materiali procede ciclicamente da sempre, ed è opera di un'espansione dell'Essere Supremo, come specificato in Shrimad Bhagavatam I.2.1.

La materia (prakriti) è l'energia esterna della Coscienza Suprema (bahiranga shakti) ed è priva di coscienza; per questo è anche detta “energia inferiore”. Gli esseri individuali (i jiva) sono invece parte dell'energia superiore (e per questo tale energia viene detta energia marginale o tatashtha shakti), e quindi sono dotati di coscienza. La materia ha come componenti principali i guna, le tre caratteristiche della materia (tamas, rajas, sattva), che “ricoprono” la coscienza pura del jiva, e rendono così la coscienza “condizionata” a vari livelli secondo il suo grado di evoluzione. Nei microorganismi, ad esempio, pur essendo dotati di coscienza, a causa del condizionamento forte indotto dalle influenze della natura materiale, il grado di “copertura” è tale che la coscienza non si manifesta nel pieno delle sue potenzialità come potrebbe invece avvenire in una forma più evoluta. Poiché la Scienza Occidentale è quasi esclusivamente immersa nello studio della materia secondo un approccio positivista che limita l'accesso ad una visione più ampia del fenomeno coscienza, tale elemento non è di fatto ancora noto nei suoi aspetti più profondi, ma solo in quelli più superficiali, come l'apprendimento, la percezione, ecc., che costituiscono gli effetti manifesti della coscienza, ma non la coscienza in sé. Ne tanto meno sono note le cause dei processi cognitivi di un essere vivente. Secondo il Vedanta, la coscienza non è un prodotto cerebrale, ossia non è una funzione del cervello. Anzi il cervello è considerato come uno strumento in cui la coscienza può operare ed in cui si manifestano gli effetti. La coscienza intesa come energia, arriva direttamente dal sé, e si manifesta poi secondo i diversi gradi di sviluppo evolutivo dell'essere.

La natura materiale, essendo non cosciente, non è indipendente, ma opera secondo la direzione della Coscienza Suprema, come affermato anche in Bhagavad Gita IX.10:

Mayadhyakshena prakritih
suyate sacaracaram
hetunanena kaunteya
jagad viparivartate


“La natura materiale, che è una delle Mie energie, agisce sotto la Mia direzione, o figlio di Kunti, generando tutti gli esseri, mobili e immobili. Secondo le sue leggi questa manifestazione è creata e annientata in un ciclo senza fine”

Anche la natura materiale è una realtà ontologica, sebbene possa trovarsi in uno stato non-manifesto (avyakta) tra un ciclo in cui è reso manifesto l'universo fenomenico ed il successivo. Nel Vedanta è quindi chiamata aparaprakriti, o energia inferiore.

Qualsiasi attività del singolo essere vivente è chiamata karma, azione. Ogni essere vivente è soggetto all'azione, è impossibile esserne esenti, come specificato da Krishna in Bhagavad Gita III.5:

Na hi kashcit kshanam api
jatu tishthaty akarma-krit
karyate hy avashah karma
sarvah prakriti-jair gunaih

“Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite sulla base delle influenze della natura materiale; perciò nessuno può astenersi dall'agire, nemmeno per un istante”.

Tutti gli esseri sono quindi soggetti all'azione, godendo o soffrendo dei relativi frutti e questo perdura da tempo immemorabile. Il karma ha una stretta connessione con il libero arbitrio dell'individuo. Fin tanto che l'essere è incapsulato nella forma vegetale o animale, è soggetto a profonde e radicate forze cosmiche che lo spingono in modo naturale a salire nella scala evolutiva coscienziale, ma una volta raggiunta la forma umana il libero arbitrio è pienamente operante ed influenza il progredire o regredire. In questa forma la catena del karma può finalmente essere spezzata definitivamente attraverso una scelta attenta della modalità con la quale si persegue l'azione. Nel Vedanta, inoltre, sono fornite tutte le risposte alle apparenti contraddizioni ed ingiustizie che si evidenziano nel mondo materiale perché l'informazione del karma resta accuratamente memorizzata ed è pronta a dare i suoi effetti quando giunta ad una opportuna maturazione (karma vipaka).

In definitiva il karma non è eterno. Possiamo modificare gli effetti indirizzando opportunamente il libero arbitrio, e ciò è funzione del livello di conoscenza del soggetto. Una conoscenza non teorica (jnana) ma realizzata (vijnana) del concetto di azione e delle sue conseguenze.

(1) Quanto segue è liberamente tratto, riadattato ed integrato dall'articolo: “Human Life and Evolution of Consciousness”, T.D. Singh, pubblicato nel 2002 sul Vol. 1 della rivista Savijnanam, a cura del Bhaktivedanta Institute.

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