giovedì 25 giugno 2009

SCIENZA E VEDANTA - LA FORMA UMANA
E L'EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE PRIMA).

A cura di Andrea Boni.
Sommario
L'articolo si propone di investigare le strette connessioni che sussistono tra la Filosofia del Vedanta e le teorie scientifiche che sono state formulate fino ad ora. Cercheremo quindi di spiegare il Vedantasutra secondo una prospettiva scientifica. Il lavoro trae ispirazione da una serie di lezioni tenute da Marco Ferrini, da suoi saggi e libri scritti sul tema e riportati in bibliografia,  da una serie di articoli pubblicati sulla rivista Savijnanam del Bhaktivedanta Institute, a cura di T.D. Singh (Bhaktisvarupa Damodara Swami), e da studi personali a carattere scientifico e teologico approfonditi a seguito di Studi universitari, anni di ricerca Accademica, e studi a carattere indologico svolti sotto la supervisione di Marco Ferrini. I commentari al Vedantasutra presi in considerazione sono quelli di Ramanujacaraya, Nimbarcacarya, Madhavacarya, Shankaracarya e soprattutto il commentario della sampradaya Gaudya-Vaishnava di Baladeva Vidyabushana.

Fin dal primo sutra, il trattato di Badarayana indica l'importanza della forma umana per lo sviluppo della coscienza. Per fare il salto decisivo, occorre infatti interrogarsi sulla natura ultima della Realtà, ciò che viene definito Brahman, la Verità Assoluta, oltre nomi e forme del mondo fenomenico (e illusorio). Tutti gli Acarya ci dicono che la chiave di comprensione del primo sutra è la presenza di una conoscenza di base di ciò che è la coscienza e della sua evoluzione. La Coscienza gioca infatti un ruolo centrale nel Vedanta. La frase di Cartesio “Penso, dunque sono”, costituisce un buon punto di partenza per una discussione lucida e priva di pregiudizi sul fenomeno Coscienza; da una prospettiva vedantica la frase può essere elaborata come: “aham brahmasmi” (Io sono il sé spirituale).

Lo scopo di questo saggio è mettere in evidenza le strette relazioni che sussistono tra il vedanta e la scienza, ed i legami tra Coscienza e materia, al fine di comprendere la verità spirituale che sottende a tutti i fenomeni del mondo in continuo mutamento, ed avere così una prospettiva diversa sul senso della vita.

Introduzione
I Vedanta Sutra di Badarayana sono contenuti in quattro Adhyaya o libri. Tra le sei scuole filosofiche, o Shad Darshan, il Vedanta è sicuramente il più popolare ed il più studiato. I Sutra di Badarayana, circa 560, sono così concisi e sintetici che senza un commentario sono molto difficili da comprendere. E’ difficile trovare una connessione tra Sutra successivi e tra Sutra stessi.

Sutra letteralmente significa ‘filo, corda’. Il termine viene solitamente tradotto con ‘aforisma’, vocabolo che però esprime solo in parte il significato di sutra: un aforisma vive di per sé, con una sua autonomia ed una sua logica complete; un sutra estrapolato dal suo contesto è invece facilmente travisabile in quanto vive collegato a quel che precede e a quel che lo segue. Nell’opera in esame sutra indica un filo che collega tutti gli aforismi, la comprensione profonda di ciascuno dei quali è talvolta impossibile senza lo studio dei precedenti e dei successivi. Sutra indica anche una formula succinta, elaborata tuttavia ad un livello elevato di coscienza; per questo necessita di essere spiegata da Maestro a discepolo attraverso i tradizionali bhashya, o commentari per poter trascendere una comprensione di ordine puramente letterale-intellettuale e cogliere il più ampio significato di questa formula tecnicamente sintetica.

Il sistema Vedanta, che indaga la natura della Verità assoluta (Brahman), è quello che più si avvicina al concetto occidentale di teologia. Le dottrine teologiche di matrice vaishnava espresse dai movimenti della Bhakti, fanno in genere riferimento a quella summa teoretica del massimo prestigio che sono i Vedantasutra, unanimamente considerati la conclusione più elevata della logica speculativa upanishadica e dunque dei Veda.

Nell’interpretazione personalistica i Vedantasutra operano anche una sutura concettuale tra il mondo dello Spirito e quello della Materia, evidenziando la loro identità nella differenza e con ciò superando il monismo assoluto propugnato dalla scuola Mayavada.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica, l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui principale codificatore è Shankara Acarya, famoso asceta e filosofo vissuto nel VII secolo d.C., autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada), e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo differenziato’, e si sviluppano in quattrorami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su di un rigoroso monoteismo e sulla devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio, descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone. Essendo il Vedantasutra un lavoro di esegetica, ci si aspetterebbero dei passaggi che sono spiegati, ma difficilmente è possibile trovare un singolo Sutra che fornisca un riferimento univoco ad un verso delle Upanishad. Il risultato è che vari commentatori hanno provato ad identificare dei passaggi o ad immaginare quali testi costituiscono la materia di discussione principale di ogni singolo Sutra. Il saggio Badarayana ha intenzionalmente costruito i Sutra in modo tale che possano essere di applicazione universale, e in modo che non possano essere confinati ad una particolare religione o testo. Essi contengono principi universali di religione e filosofia, validi in qualsiasi epoca e non confinati alla sola letteratura Sacra Indiana. E’ importante assumere questo punto di vista nella lettura e nell’interpretazione dei Sutra.

Vedanta ha tre significati principali. Il meno pregnante sta ad indicare che è l’opera ultima, quella che porta a conclusione tutte le speculazioni contenute nelle Upanishad, armonizzandole e proponendole al più alto livello. Il primo capitolo dei Vedantasutra esordisce infatti conciliando i risultati della ricerca speculativa upanishadica, ed è il contenuto principale di questo testo. Un significato più rilevante di Vedanta è quello di ‘fine dei Veda’: il contenuto dei Veda viene infatti ripreso nei Vedantasutra e portato ad un livello superiore, del tutto trascendente rispetto ai primi tre scopi umani o Purusha-artha; da qui l’accezione di Vedantasutra come ‘Verità Ultima’. Mentre nei Veda sono riconciliabili tre categorie di interessi, rispettivamente relative agli atti sacrificali, alla sapienza speculativa e al culto delle Divinità, i Vedantasutra trascendono quei piani della realtà prettamente connessi alla prakriti. Ciò non significa che negano la materia, ma che la considerano uno strumento, una particolare modalità prodotta dalla Verità Ultima e ad Essa funzionale.
Per quanto riguarda il terzo significato si conviene che le Upanishad (conosciute anche come Vedanta) costituiscano la parte finale della Rivelazione Vedica.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica, l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui principale codificatore è Shankara Acarya, famoso e grande asceta e filosofo vissuto nel VII secolo d.C., autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada), e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo differenziato’, e si sviluppano in quattro rami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su di un rigoroso monoteismo e sulal devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio, descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone.

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