venerdì 30 luglio 2010

RIFLESSIONI TRA SCIENZA E SPIRITUALITA' - Intervista di ideeforza.com ad Andrea Boni (Parte Prima).

La fisica moderna dal 900 in poi è giunta alle stesse conclusioni degli antichi Rishi Vedici di circa 5000 anni fa. Cioè che la realtà non è altro che lo spettro di un mosaico vibrante e illusorio, (Maya) appunto. Secondo lei com'è stato possibile giungere ad una realizzazione così profonda della comprensione della realtà ascoltando soltanto la voce dell'interiorità?Andrea Boni: La voce dell'interiorità dice molto di più di quanto può dire la mera conoscenza ottenuta attraverso i sensi. Questo è uno dei primi insegnamenti dei Rishi Vedici, secondo cui la retta conoscenza (pramana) può essere ottenuta in tre modi distinti: attraverso la percezione sensoriale (pratyaksha), attraverso la deduzione (anumana) e attraverso una realizzazione interiore ottenuta sperimentando livelli di consapevolezza che vanno oltre il piano fenomenico (shabda Brahman). Sebbene tutti e tre corretti, solo l'ultimo permette l'ottenimento di una conoscenza vera, priva di errori. Ciò ha naturalmente a che fare con il livello di coscienza di colui che sperimenta. Il Centro Studi Bhaktivedanta (www.c-s-b.org), da anni opera proprio con l'obiettivo di far comprendere al vasto pubblico dell'Occidente questi importantissimi insegnamenti, i cui principi sono quanto mai attuali ed estremamente utili per potersi orientale in questa società.
Ervin Laszlo, un famoso scienziato dell'est europeo (presidente del club di Budapest e più volte candidato al Nobel - tra l'altro residente in toscana -) sostiene che l'universo è collegato e tutto è in relazione continua tra le parti. Riscopre e prende in prestito dalla cosmologia Indù l'Akasha, un campo invisibile che tutto pervade, il luogo di nascita di tutte le cose. Può aiutarci a rendere più chiaro di cosa si tratta?
Andrea Boni: Posso rispondere a questa domanda citando letteralmente una conversazione che ho avuto con Marco Ferrini, Fondatore e Presidente del Centro Studi Bhaktivedanta, con il quale ho avuto modo di confrontarmi proprio su questo tema. Per chi è interessato ad approfondire questo argomento può consultare il testo: Coscienza e Origine dell'Universo di Marco Ferrini, pubblicato dal Centro Studi Bhaktivedanta. Il termine Akasha utilizzato da Ervin Laszlo, Il vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci nella sua teoria delle particelle subatomiche, riteniamo possano, in buona parte, corrispondere alle caratteristiche dell’elemento “etere” postulato anche dal famoso studioso Marco Todeschini e all'elemento akasha introdotto millenni or sono dalla filosofia Samkhya. L’elemento akasha descritto dall’antica filosofia Samkhya, probabilmente la più antica del genere umano, è tradotto variabilmente nelle lingue europee moderne con i termini di ‘spazio’ e di ‘vuoto’. Per le caratteristiche peculiari del vuoto quanto-meccanico potremmo utilizzare questa stessa definizione anche per il termine akasha della filosofia Samkhya, che indica un contenitore (composto di prakriti, materia, seppur sottile, essendo uno dei pancabhuta), per l’appunto “vuoto” avente la potenzialità-disponibilità massima di manifestare tutto ciò che diventa fenomeno (dall'etere infatti, secondo il Samkhya, derivano tutti gli altri bhuta, ovvero l'aria, il fuoco, l'acqua e la terra). L'elemento akasha, insieme a tutti gli altri elementi, sono di fatto energie del parampurusha, l'Essere che si situa ontologicamente al di là di materia, spazio e tempo. Si veda a tal riguardo Bhagavad Gita VII.4:

“Terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente,
intelligenza e falso ego – questi otto elementi distinti da Me,
costituiscono la Mia energia materiale”.


Quando si manifestano i fenomeni secondo il Samkhya? Quando nel vuoto o nello spazio si situa l’osservatore, il purusha. Qui varrebbe la pena di citare la famosa teoria, poi dimostrata ed accettata dalla scienza, del Principio di Indeterminazione di Heisenberg del 1928, secondo il quale un fenomeno non si può precisamente determinare in quanto l’osservatore - osservandolo - lo modifica; da qui appunto l'enunciazione del ‘Principio di Indeterminazione’. Similmente, nella filosofia e psicologia Samkhya si evidenza che quando il purusha - con la sua coscienza e capacità di osservazione - penetra nella prakriti o dimensione empirica, il primo impatto che questi ha è con lo spazio ed è nello spazio - nell'interazione con la coscienza - che si manifesta la materia con la sua specifica forma empirica, definita in termini moderni come massa, proprio come nel concetto del vuoto quanto-meccanico postulato dal dottor Corbucci o dall'”etere” di Todeschini. Il purusha si carica di massa, quindi manifesta il corpo materiale, a seguito dell’impatto con akasha (lo spazio, il vuoto). Che la massa si origini da questo spazio-vuoto nell'interazione con la coscienza dell'osservatore è ciò che postula anche la Fisica moderna; infatti, affinché le onde energetiche si trasformino in particelle subatomiche è necessario l’impatto con l’osservatore. Rimangono onde se non vengono osservate e diventano particelle, dunque si caricano di massa, quando invece sono osservate. Con il linguaggio della Fisica moderna il dottor Corbucci spiega che esse attingono massa dal vuoto quanto-meccanico; nella filosofia Samkhya si afferma che il purusha si riveste di materia (massa) nel suo impatto con la prakriti nella forma di akasha, ed è da questo impatto che si genera il Tempo. Quest'ultimo ha infatti influenza solo sulla massa, ma non sul purusha. Il purusha non è eterno perché dura tanto nel Tempo, bensì perché non ha niente a che fare con esso. Né con lo Spazio: il purusha è definito pura coscienza (cit), a-temporale e a-spaziale. Si veda a tal fine Bhagavad Gita II.12:

“Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo,
Io, tu e tutti questi re, e in futuro mai nessuno di noi cesserà di esistere”.

Secondo la filosofia Samkhya, quando la prakriti è allo stato non manifesto (a-vyakta) i guna, ovvero le sue energie strutturanti, sono come forze contrapposte che si annullano reciprocamente producendo una stasi. Quando invece la coscienza (purusha) osserva la prakriti, queste forze si attivano generando i fenomeni materiali e rimangono in moto fino a che non si produce lo stato di kaivalya, ovvero la liberazione del purusha dalla prakriti così come descritta negli Yoga-sutra di Patanjali. Kaivalya consiste nel processo attraverso il quale il purusha si libera dalla massa che ha sviluppato per tornare ad essere puro purusha, puro brahman o puro atman.

giovedì 22 luglio 2010

'NEWTON SI E' SBAGLIATO, LA GRAVITA' NON ESISTE' di Andrea Boni.

Leggendo sulle versioni on-line dei più importanti quotidiani mi sono imbattuto in questa notizia che ha riacceso in me passati e non terminati studi e ricerche. La notizia riguarda una disputa scientifica circa la validità o meno della Legge di Gravitazione Universale che è stata enunciata da Newton. E' questo un tema davvero interessante già affrontato da eminenti studiosi anche italiani (si consideri ad esempio tutto il lavoro svolto da Todeschini che senza particolari remore esplicitamente affermava che la legge di gravitazione non esiste), e certamente, sebbene non in maniera diretta, anche dagli “scienziati” della coscienza Indovedici.
Letteralmente dall'articolo di Repubblica leggiamo(1):

“La teoria della gravità è forse la più formidabile legge della fisica, il principio più evidente e universale perché corrisponde a un'esperienza empirica irresistibile. Il bambino ancora non sa parlare e uno dei primi giochi in cui si trastulla dal seggiolone, consiste nel far cadere il cucchiaio della pappa. Lo spettacolo è affascinante nella sua ripetitività. Afferra il cucchiaio, lo solleva, lo lascia cadere, e ogni volta il miracolo si ripete: quell'oggetto viene attratto irresistibilmente a terra, costringendo il paziente genitore a raccoglierlo. Ognuno di noi all'età di 18 mesi è stato Newton senza saperlo. Ebbene, ricrediamoci: la forza di gravità è un'illusione, una beffa cosmica, o un "effetto collaterale" di qualcos'altro che avviene a un livello molto più profondo della realtà". Krishna nella Bhagavad Gita ci dice che tutto emana da Lui (aham sarvasya prabhavo …) e che “tutto su di Lui riposa come perle su un filo”. Dal punto di vista della filosofia del Samkhya, il mondo manifesto di cristallizza a partire dall'etere, il vuoto quanto meccanico, sotto la spinta della coscienza creatrice divina, ed è li a quel livello più profondo di realtà che vanno cercate le cause dei moti dei pianeti e di tutti i fenomeni a noi – più o meno – conosciuti. Questa era peraltro la stessa interpretazione di Todeschini. E poi ancora: “L'abbandono di Newton era già stato anticipato dalla relatività di Albert Einstein ma ora avviene una rottura ancora più radicale. Un celebre fisico matematico olandese-americano, il 48enne Erik Verlinde che ha già legato il suo nome alla "teoria delle stringhe" (la supersimmetria negli universi paralleli), sta agitando il mondo accademico degli Stati Uniti con una serie di conferenze in cui fa a pezzi la teoria della gravità. […]. Andrew Strominger, fisico-matematico di Harvard, è uno dei colleghi di Verlinde che non nasconde la sua ammirazione: "Queste idee stanno ispirando discussioni molto interessanti, vanno dritte al cuore di tutto ciò che non comprendiamo del nostro universo". Verlinde è l'ultimo di una serie di scienziati che da trent'anni a questa parte stanno smantellando pezzo dopo pezzo la teoria della gravità. Negli anni Settanta Jacob Bekenstein e Stephen Hawking hanno esplorato i legami tra i buchi neri e la termodinamica. Negli anni Novanta Ted Jacobson ha illustrato i buchi neri come degli ologrammi, le immagini tridimensionali usate per la sicurezza delle nostre carte di credito: tutto ciò che è stato "inghiottito" ed è sparito dentro i buchi neri dell'universo, è presente come un'informazione stampata nell'ologramma, sulla superficie esterna. Juan Maldacena dell'"Institute for Advanced Study" ha costruito un modello matematico dell'universo espresso come un barattolo di minestra in conserva. Tutto ciò che accade dentro il barattolo, inclusa quella che chiamiamo la gravità, è sintetizzato nell'etichetta incollata all'esterno: fuori invece la gravità non esiste. 

 Pensate all'universo come una scatola dello scrabble (lo scarabeo, ndr), il gioco in cui si compongono parole con le lettere dell'alfabeto. Se agitate la scatola e sparpagliate le lettere a caso, c'è una sola possibile combinazione che può darvi una poesia del Leopardi. Una quantità pressoché infinita di combinazioni non hanno alcun significato. Più scuotete la scatola delle lettere più è probabile che il disordine aumenti via via che le lettere si combinano per ordine di probabilità. Questo è il nuovo modo di vedere la forza di gravità, come una forma di entropia. O un "effetto collaterale della propensione naturale verso il disordine". Questa è l'interpretazione degli Scienziati moderni. In realtà, le leggi che governano il nostro Universo sono ben altro che un mero risultato del caso. Anzi, come Dante stesso cita è “l'Amore che move il sole e l'altre stelle”. Certamente se ci concentriamo solo su ciò che i nostri sensi possono percepire e/o misurare i risultati che riusciremo ad ottenere ne saranno una diretta conseguenza che porterà ad inevitabili risultati parziali. Newton aveva avuto sicuramente una grande intuizione, ma ciò che ha delineato altro non è che un modello della realtà che in talune circostanze funziona, in altre no. Così è in generale per tutte le leggi. Noi possiamo solo rappresentare la realtà fenomenica con dei modelli rappresentativi, ma potremo entrare nella sua più profonda essenza e forma (svarupa) solo accedendo a livelli di consapevolezza e coscienza più elevati, come ci spiegano lo Yoga e la Bhagavad Gita:

Aham sarvasya prabhavo
Mattah sarvam pravartate
Iti matva bhajante mam
Budha bhava-samanvitah

“Sono la fonte di tutti i mondi, spirituali e materiali. Tutto emana da Me. I saggi [che accedono a livelli di coscienza elevati] conoscono questa verità, Mi servono con devozione e Mi adorano con tutto il loro cuore.”

(1) LA Repubblica, 15 Luglio 2010.

giovedì 15 luglio 2010

SULLA 'PLASTICITÀ NEURONALE' E LA MEDITAZIONE di Andrea Boni con la collaborazione di Barbara Ferrando.


Recenti studi scientifici hanno ormai ampiamente dimostrato che una delle caratteristiche principali del sistema nervoso è la sua plasticità, ovvero la stupefacente capacità di adattarsi all’ambiente e, come conseguenza, attraverso l’esperienza e la pratica costante, migliorarne le risposte. Sapendo che i cambiamenti che avvengono nella rete neuronale a seguito degli stimoli ambientali possono persistere molto a lungo, in linea di principio anche per tutta la vita dell’individuo, ne consegue che la plasticità neuronale rappresenta la base delle funzioni cerebrali superiori come l’apprendimento e la memoria e, indirettamente, la causa prima della manifestazione delle emozioni e del carattere di una persona in generale, inteso come la sua capacità di reagire agli eventi. L’organizzazione e il raggruppamento delle reti neuronali sono originariamente determinati da fattori genetici, cioè da proteine di “riconoscimento” chemotattiche e da proteine di adesione cellulare i cui geni sono trascritti e tradotti in modo specifico a seconda della popolazione neuronale. Uno dei primi passi nello sviluppo del sistema nervoso centrale è l’inizio della crescita dell’assone nei neuroni neonati: gli assoni nascenti “navigano” verso i loro bersagli specifici creando con essi connessioni sinaptiche le quali vanno a costituire quell’intricata rete che si ritrova nel sistema nervoso centrale maturo. Per fare questo gli assoni che si proiettano verso il bersaglio devono continuamente controllare il loro ambiente spaziale e selezionare accuratamente i percorsi corretti tra tutti quelli possibili (che sono numerosissimi). Ad oggi sono noti diversi “sistemi di navigazione molecolare” che governano e orientano questa funzione di ricerca da parte degli assoni. Comprendere come funzionino questi sistemi di guida molecolare e come concorrano ad avviare e deviare la migrazione degli assoni è uno dei principali obiettivi della neurobiologia. È stato dimostrato che le reti neuronali sono capaci di adattamento e apprendimento, benché uno studio profondo e completo dell’attività dei loro circuiti sia stato finora impedito dalla complessità della loro dinamica. Tuttavia già con millenni di anticipo, la Scienza dello Yoga aveva fornito una conoscenza molto precisa delle dinamiche che contribuiscono alla strutturazione delle reti neuronali, e quindi delle dinamiche mentali automatiche e condizionanti che ne derivano e soprattutto ha fornito i mezzi per la loro destrutturazione. In sostanza, la plasticità delle reti neuronali può essere definita come il continuo modellamento di morfologia e funzione indotta prevalentemente dall’esperienza e quindi dall’ambiente. Tale modellamento può essere rafforzato e “orientato” attraverso la pratica costante (abhyasa) di un determinato esercizio. Ad esempio, per destrutturare schemi mentali automatici, condizionanti e distruttivi, è possibile applicare la tecnica della visualizzazione meditativa giornaliera, da attuarsi prevalentemente nelle ore del mattino (dalle 4 alle 8):

Il Signore Shri Krishna disse:
O Arjuna dalle braccia potenti, è indubbiamente molto difficile dominare la mente irrequieta;
tuttavia, o figlio di Kunti, è possibile con la pratica adatta e col distacco emotivo.

(Bhagavad Gita VI.35)

In quelle ore (quel periodo è anche detto brahmamurta) il cervello è particolarmente predisposto all'apprendimento, e quindi all'addestramento su nuovi schemi di pensiero, che consentano di codificare nuovi circuiti neuronali, sani e non condizionanti. Anche se i “periodi critici” (fasi dello sviluppo in cui la plasticità neurale raggiunge l'apice di potenzialità espressiva) si riscontrano prevalentemente nell'infanzia, ad oggi è scientificamente risaputo che la plasticità neurale è una facoltà primaria che caratterizza l'intera vita cerebrale, anche in una fase avanzata d'invecchiamento. Possediamo tutte le potenzialità per ri-mappare le aree del cervello che ci condizionano e che sono generatrici di sofferenza e dipendenza (anche e soprattutto affettiva). In questo senso la pratica della meditazione appare come una vera e propria tecnica per orientare la plasticità neuronale e quando l'oggetto della meditazione è un mantra composto da nomi Divini, il risultato che ne consegue, qualora la pratica sia adeguata e costante, porta a serenità interiore, appagamento, ispirazione e desiderio di condividere.



Per maggiori approfondimenti sui benefici della meditazione si veda:
http://psicologiaespiritualita.blogspot.com/2009/04/la-scienza-della-meditazione.html