lunedì 31 maggio 2010

HIGH TECH, SERVITORE DI DUE PADRONI. 'DALLA SINDROME DA I-PHONE ALLA SUPERFICIALITA' DELLE RELAZIONI VIRTUALI DI MASSA' (PARTE PRIMA) di Caterina Carloni.

Quante volte, passeggiando per strada, ci capita di osservare il comportamento delle persone che ci circondano? La maggior parte dei passanti si muove tra la folla isolandosi mentalmente da tutto e tutti. L’unica cosa che desta la loro attenzione è lo squillo o la vibrazione del proprio amato telefono, che segnala l’arrivo dell’ennesimo messaggino a cui rispondere immediatamente. Un problema concreto, spesso sottovalutato, che colpisce in maniera diversa e forse ancor più inquietante, gli utenti proprietari di un terminale iPhone. Il fenomeno, ribattezzato dagli psicologi come “sindrome da iPhone”, presenta diverse similitudini con la sindrome di Stoccolma. In sintesi, i “sequestrati”, oltre a comportarsi come se fossero inebetiti, manifestano anche sentimenti positivi nei confronti del proprio “rapitore hi-tech”. Per la Strand Consult, che ha analizzato le frequenti quanto irragionevoli risposte dei fan del “melafonino”, i possessori di un iPhone sono quasi sempre ostaggi inconsapevoli del loro oggetto preferito. Si tratterebbe, insomma, di un vero e proprio “rapimento intellettuale di massa”. Niente sembra riuscire a tener lontano gli utenti dal loro oggetto dei desideri, neppure i possibili problemi tecnici. I possessori di questo dispositivo sono pronti infatti a difendere il proprio acquisto ricorrendo ad argomentazioni “fantasiose”. Tutto ciò che normalmente verrebbe visto come un “difetto” o un “limite”, viene considerato un pregio, una qualità che altri dispositivi non hanno e mai potranno avere: se sull’iPhone di Apple non è possibile installare un qualsiasi applicativo, gli utenti non si rattristano e non accusano la casa madre, in quanto tale limite è in realtà un vantaggio poiché i software disponibili sono di certo i migliori sul mercato; se la fotocamera integrata è di bassa qualità, il design viene prima di tutto, ecc. La “sindrome da iPhone”, e di questo gli psicologi sembrano esserne certi, è globale e colpisce allo stesso modo in tutte le parti del mondo. In realtà gli studi sugli effetti nocivi dell’alta tecnologia sulla psiche umana sono ormai numerosi e incontestabili. Due anni fa un saggio di Nicholas Carr, consulente aziendale e direttore della “Harvard Business Review", fu pubblicato dalla rivista «The Atlantic» col provocatorio titolo «Google ci sta rendendo stupidi?». “Le tecnologie digitali” – scriveva Carr – “offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo, perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei “pancake people” - come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella - perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere e contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale. Oltre ai vantaggi che sono sotto gli occhi di tutti, la Rete ci porta anche svantaggi assai meno evidenti e, proprio per questo, più pericolosi, anche perché gli effetti saranno profondi e permanenti; le nuove tecnologie influenzeranno la struttura del nostro cervello perfino a livello cellulare”. Scienziati britannici hanno recentemente riferito che le persone che passano molto tempo su Internet hanno maggiori possibilità di mostrare segni di depressione. Gli psicologi della Leeds University hanno riscontrato delle "impressionanti" evidenze empiriche che mostrano come alcuni habitué del Web sviluppino una tendenza compulsiva, soppiantando l'interazione sociale della vita reale con chat e siti di social network. "Questo studio supporta l'idea comune che un uso smodato della rete a sostituzione di una socialità nella norma possa essere legato a disordini psicologici come depressione e dipendenza" - scrive sulla rivista “Psychopathology” Catriona Morrison, principale autrice della ricerca - aggiungendo che "navigare in questo modo può avere un impatto serio sulla sanità mentale".

mercoledì 5 maggio 2010

LA COSMOGONIA NELLA COMMEDIA E NELLA GITA (PARTE SECONDA) di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).

Questo Amore che tutto move si trova più nei pianeti spirituali, Vaikunta, nei pianeti celesti, come Brahma Loka e Svarga Loka, solo in parte nei pianeti mediani, cui noi apparteniamo e in parte o quasi niente negli inferni, dove c’è l’aere bruno e tutto si vede in penombra. Inoltre, secondo la tradizione della filosofia Vaishnava, Dio appare attraverso manifestazioni quadruple e multiple di se stesso, l’ Uno che diventa molti e crea tutto il mondo dell’esistenza empirica (eko bahunam). Nella parte più alta c’è il fiore di loto ed è notevole la corrispondenza con la candida rosa. Quindi, dall’oceano causale sorgono queste manifestazioni che sono divise in tre sistemi planetari: quello inferiore, quello mediano e i cieli che hanno diversi gradi di realizzazione, di gioia e d’illuminazione. Nella visione di Dante il mondo materiale è costituito da quattro elementi sensibili: acqua, aria, fuoco e terra, poi c’è un quinto elemento, l’etere, che fa da spazio a tutta la creazione cosmica, il niente che contiene il tutto. Secondo la visione dantesca, la terra è composta da un emisfero sommerso dalle acque e da un emisfero solido il cui centro è Gerusalemme, sotto Gerusalemme si apre il baratro dell’inferno. Il mondo va dal Gange a Gibilterra, il resto è ” mondo sanza gente”. Attorno alla terra il cielo atmosferico è sormontato dal cielo teologico e da vari tipi di cieli. Agli antipodi di Gerusalemme e dell’inferno c’è il monte del Purgatorio. C’è una simmetria, la stessa che si ritrova nella storia dell’arte, nei dipinti fondo oro di Cimabue, Giotto, Simone Martini, Duccio da Boninsegna e più tardi nelle opere di Perugino, Piero Della Francesca e altri. Il Purgatorio fu teorizzato teologicamente poco prima del 1300, anno del Giubileo indetto da Bonifacio VIII. In quell’occasione fu un purgatorio contaminato da manovre di frode, ma questo luogo in cui le anime potessero purificarsi, espiare per evolversi, non era nuovo per i padri della Chiesa: gli islamici, i sufi, Averroè, Avicenna e molti altri avevano già concettualizzato un processo di purificazione, un posto, una dimensione, per saldare i debiti e purificarsi per poi salire attraverso i vari cieli del Paradiso, attraversare la candida rosa, oltre l’Empireo, nella residenza di Dio. Il Purgatorio, questa montagna altissima, come dirà Ulisse, compare all’inizio della creazione. Quando Dio manifesta le sue potenze, queste si scindono in luminose e tenebrose: a capo delle schiere degli angeli c’è Michele, a capo delle schiere dei demoni c’è Lucifero, l’angelo più bello, intelligente, acuto, capace, creativo, ma orgoglioso ed egocentrico, infatti, immediatamente tende ad avere per sé la bellezza di quello che si sta per creare e non è ancora stato creato. Quando l’uomo nasce ha già in sé una polarizzazione della mente, una parte divina ed una demoniaca, lui deve fare la scelta col libero arbitrio. Nei Veda il mito è narrato con millenni di anticipo, a capo degli angeli (deva) c’è Indra e a capo dei demoni (asura) Vrittra (Rig Veda). L’uomo quando nasce è oppresso da questa tensione, da questo scontro cosmico la cui arena è la psiche. L’uomo tende al cielo, lacerato dalle forze di terra, le forze demoniache, che sono archetipi divini. Non possiamo eliminare il bene ed il male che c’erano e ci saranno prima e dopo di noi, possiamo scegliere se stare con il bene o con il male.