martedì 24 agosto 2010

VERSO LE ALTE VETTE DELLA CONSAPEVOLEZZA E DELL'AMORE di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).

L'aspirazione intima di ognuno è verso l'unità, l'integrazione della personalità sulla base di valori autentici, per sentirsi pienamente soddisfatti e realizzare la propria originaria natura, quella spirituale. Affinché ciò sia possibile è indispensabile un profondo lavoro di destrutturazione dei condizionamenti e di armonizzazione interiore. Il Centro Studi Bhaktivedanta ha questo scopo. Scopo che si può realizzare se vengono interiorizzati i valori universali della Sapienza e dell'Amore attraverso lo studio e la pratica di vita. Nella nostra esistenza tante volte ci troviamo di fronte a problemi difficili da risolvere: una parte di noi propone una soluzione e un'altra parte di noi la rifiuta. Poiché il desiderio profondo di ognuno è quello di essere felici realizzando le proprie aspirazioni, interroghiamoci sul perché spesso non riusciamo a fare e ad essere come nel profondo desideriamo. Anche quando proviamo emozioni gioiosamente intense è difficile renderle costanti, anzi spesso si trasformano nel loro esatto contrario: tristezza, smarrimento, confusione. Spesso quel che appariva un traguardo, si rivela essere uno scrigno vuoto: l'ennesimo miraggio di felicità. Tante persone nascono e muoiono senza aver conosciuto quella soddisfazione e gioia duratura che desideravano dalla vita. La tradizione bhakti-vedantica insegna che ciò è la conseguenza di errate cognizioni della realtà: poiché l'essere umano si percepisce in maniera illusoria, non cosciente della propria reale natura, ricerca in modalità erronee l'irrinunciabile felicità. La felicità non è un miraggio: esiste. Il problema sorge quando la cerchiamo dove non è. La nostra reale natura non la si scoprirebbe nemmeno se riuscissimo a conoscere la materia nelle sue parti più micro o macroscopiche, semplicemente perché siamo altro: spirito. Sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, la scienza ha individuato una energia che opera in modo alquanto diverso dalla materia "conosciuta" e che è stata definita “anti-materia”. Ma esiste un'altra energia, che tradizionalmente è definita "spirituale" (brahman, atman), la quale è categoricamente altra rispetto a qualsiasi forma di materia e di anti-materia; essa infonde vita e coscienza sia alla materia che all'antimateria, e si può prenderne consapevolezza non oggettivamente attraverso il cosiddetto "metodo sperimentale", bensì soggettivamente, attraverso l'introspezione. L'energia spirituale può essere infatti esperita attraverso un percorso scientificamente fondato che, a differenza del modello positivistico, si basa su processi introspettivi quali la preghiera, la meditazione e l'agire in spirito d'offerta a Dio. Attraverso il processo yogico (bhakti-yoga) di trasformazione della coscienza possiamo entrare in contatto con la nostra matrice spirituale (atman). Ci sono vari sentieri che conducono ai picchi luminosi della coscienza e alla realizzazione della nostra natura divina, che aspettano solo di essere scoperti e percorsi. Trasformiamoci dunque in esseri alati per raggiungere quelle alte vette - non luoghi ma logos - in cui si possono realizzare tutte le aspirazioni di immortalità, libertà, sapienza e Amore. La ricerca di Dio è il compito primo della vita umana.  Stabilire una relazione d'amore con Lui, con tutte le creature e il creato è lo scopo ultimo: il traguardo evolutivo dell'uomo universale. Possa dunque la nostra vita essere finalizzata a questo scopo.

lunedì 16 agosto 2010

RIFLESSIONI TRA SCIENZA E SPIRITUALITA' - Intervista di ideeforza.com ad Andrea Boni (Parte Seconda).

Qual è il punto d'incontro tra l'intangibile regno del pensiero e della consapevolezza che costituisce la nostra esperienza interna soggettiva e la "zuppa" biochimica dotata di carica elettrica del cervello?
Andrea Boni: Questa è una domanda molto complicata, che la scienza odierna sta cercando di comprendere. Personalmente apprezzo molto il lavoro svolto da Stuart Hameroff. Studiando i lavori di Hameroff, ho trovato in lui una sintesi accettabile dei meccanismi che sottendono al fenomeno della coscienza e della sua manifestazione nel mondo dei nomi e delle forme. In particolare è molto interessante il lavoro che ha svolto insieme al famoso fisico Penrose, sfociato nella teoria “OR” della coscienza di Penrose-Hameroff, che costituisce un buon punto di partenza per spiegare come sia la coscienza a manifestare la realtà del mondo fenomenico in generale, e i nostri pensieri, sentimenti, emozioni, nello specifico. Questi studi sono ancora allo stato embrionale, e sono concentrati sullo studio del neurone e dei microtubuli in particolare, strutture cave simili a cannucce contenute all'interno di ogni cellula nervosa. Questi interessantissimi studi potrebbero essere l'inizio per una sintesi tra Scienza e Spiritualità, per cambiare il paradigma classico-meccanicistico su cui la nostra società ancora si basa, e sviluppare così un nuovo paradigma quantico-spirituale, olistico, in cui ci sia spazio per un'armonizzazione tra fede e scienza, con l'obiettivo di fornire dei presupposti concreti per interpretare il mondo fenomenico come un immenso laboratorio in cui noi ci muoviamo, dove è la nostra coscienza a creare forme, percezioni, emozioni, e tutto ha un significato, nulla accade per caso, bensì qualsiasi esperienza ha un senso se pensata per un fine evolutivo, l'evoluzione della nostra coscienza stessa. Quando ciò avviene, quando la coscienza ritrova la sua condizione di purezza, il mondo non appare più in quella forma, e l'essere può sperimentare la sua propria natura fatta di beatitudine ed eternità:

Janma karma ca me divyam
Evam yo vetti tattvataha
Tyktva deham punar janma
Naiti mam eti so 'rjuna

“Colui che conosce la natura trascendente della Mia apparizione e delle Mie attività [avendo raggiunto la purezza della mente], o Arjuna, non dovrà più nascere in questo mondo materiale quando avrà lasciato il corpo, ma raggiungerà la Mia eterna dimora”.
(Bhagavad Gita IV.9.)

Come si pone l'antica tradizione Indovedica alle attuali problematiche etiche in materia di eutanasia o accanimento terapeutico? Per un soggetto è plausibile poter decidere preventivamente in un testamento biologico le modalità del trattamento del fine vita?
Andrea Boni: Le problematiche legate alla bioetica sono assai numerose e l'opinione pubblica è sempre più coinvolta nella discussione delle tematiche ad essa connesse, anche a causa del bombardamento mediatico cui è sottoposta dai mass-media. Si pensi solo - per fare alcuni esempi - a questi aspetti: clonazione, utilizzo delle cellule staminali, ingegneria genetica, procreazione assistita, sperimentazione clinica dei farmaci, trapianti d'organo nell'uomo, IVG, accanimento terapeutico, eutanasia, problematiche ambientali da compromissione dell'equilibrio biologico, screening generalizzato, etc. I recenti avvenimenti che hanno coinvolto l'opinione pubblica in termini di Bioetica hanno evidenziato la necessità di una profonda riflessione circa la modalità con cui il progresso tecnologico interviene nel modificare il corso naturale degli eventi del vivere umano. Aspetti che sembravano assolutamente naturali non lo sono più a seguito delle innovazioni portate da nuovi ritrovati della tecnica. Si pone quindi il problema di dover affrontare scelte etiche molto delicate che, non potendo essere state codificate in precedenza in termini costituzionali, devono essere rielaborate con sensibilità ed intelligenza. In questo processo la Scienza e la Politica da sole non possono fornire risposte a quesiti di elevato contenuto morale, bensì occorre necessariamente attingere ai principi derivanti da tradizioni in cui lo studio e l'applicazione dei valori etici e morali è stato posto come fondamento del vivere umano. Mentre per l’Occidente la bioetica è una disciplina relativamente recente, nella Tradizione della Cultura antico-indiana da sempre sono state disponibili soluzioni naturali per gestire il rapporto tra creato e creature, per poter affrontare i quesiti posti dai misteri della nascita e della morte, il senso della vita, lo scopo del soffrire e del gioire umano. Tutto questo grazie alla possibilità di attingere ad una scienza completa essenzialmente basata sull’ordine etico universale (dharma), che gestisce sia il micro che il macrocosmo. Nel suo magistero il Divino interviene in tutte le manifestazioni e quindi anche nelle regole degli umani che si attengono ad esso per preservare la loro natura, anch’essa divina. Non è che l’insegnamento dei Veda fornisca risposte puntuali ed esatte a tutte le problematiche che caratterizzano la società moderna circa l’applicazione delle più avanzate scoperte scientifiche e la loro influenza sui trattamenti del corpo umano, sia esso nello stato di embrione o nella manifestazione di un corpo di adulto, anzi, la Cultura Indovedica si rivela pre-veggente, offrendo soprattutto un panorama vasto e completo di insegnamenti e principi che, opportunamente interpretati, consentono di poter affrontare quello che per la società di oggi è un continuo dilemma di opportunità e di problemi. Poiché la bioetica si occupa delle questioni morali che sorgono parallelamente al rapido progredire della ricerca biologica e medica, la sua natura è marcatamente multidisciplinare, potendo annoverare al proprio interno aspetti relativi a varie materie, quali: biologia, medicina, filosofia, diritto, ed altre ancora. Un approccio attento e scrupoloso alla bioetica non può quindi prescindere dal prendere in esame tutte le componenti che provengono da queste aree del sapere umano. La Scienza Vedica è per definizione olistica, ovvero più che multidisciplinare, è quindi esente dalle difficoltà che sorgono nel cercare di armonizzare le tante branche citate, e proprio per questo offre insegnamenti e principi che aiutano nello sviluppo di una coscienza globale del problema, sganciata da identificazioni, condizionamenti o speculazioni che hanno la loro radice nei piani materiali dell'esistenza. L'essere è definito nei suoi tre piani atropologici (bio-psico-spirituali) come una parte del Tutto, e come tale ontologicamente eterno nella parte più profonda della personalità. E' in questo senso una scintilla Divina.

Mamaivamsho jiva-loke
Jiva-bhutah sanatanah
Manah-shashthanindriyani
Prakriti-sthani karshati

“Gli esseri viventi, in questo mondo materiale, sono miei frammenti eterni, ma essendo condizionati lottano duramente con i sei sensi, tra cui la mente.” (Bhagavad Gita XV.7)

Nascita e morte vengono interpretati come momenti di cambiamento e come motivo di nuove possibilità di crescita in quel cammino affascinante che è la vita nel suo insieme. Non esiste un inizio, non esiste una fine, ma un ciclo (samsara) che si sussegue eternamente finché l'essere ottiene l'emancipazione (moksha) dalla natura materiale, anch'essa di natura Divina, ottenendo la piena consapevolezza della sua relazione con l'Essere Supremo.

Na jayate mriyate va kadacin
Nayam bhutva bhavita va na bhuya
Ajo nityah shashvato 'yam purano
Na hanyate hanyamane sharire

“Per l'anima non vi è nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro. Essa non nata, eterna, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il corpo muore.”
(Bhagavad Gita II.20)

La natura materiale viene allora vista come strumento di liberazione, non demonizzata, ma anzi prezioso aiuto per superare i condizionamenti indotti da una falsa identificazione con corpo e psiche.
Daivi hy esha guna-mayi
Mama maya duratyaya
Mam eva ye prapadyante
Mayam etam taranti te

“Questa mia energia divina [la materia], costituita dalle tre influenze della natura materiale, è difficile da superare, ma coloro che si abbandonano a Me ne superano facilmente i confini”.
(Bhagavad Gita VII.14)

Questi sono i principi base, le premesse, che occorre avere ben chiari quando si affrontano i temi delicati che sorgono nella società di oggi in chiave bioetica. Senza di essi qualsiasi discussione sarà affrontata solo superficialmente, e non si potranno avere contribuiti oggettivi, ma solo vaghe speculazioni che saranno interpretate soggettivamente. Detto questo, personalmente sono favorevole all'istituzione di un documento in cui il singolo definisce la sua volontà circa la modalità con cui desidera che venga trattato il suo corpo qualora venisse meno la sua consapevolezza cosciente. Ciò è senza dubbio indice di civiltà, ma come sopra ribadito, una tale decisione può essere pienamente compresa e contestualizzata solo con le premesse citate.