giovedì 26 marzo 2009

IL DHARMA: UN PRESUPPOSTO IMPRESCINDIBILE.
di Marco Ferrini.

L’uomo moderno è confuso, privo di punti di riferimento stabili e precisi che gli consentano di navigare quietamente fra le onde della vita, colmo di angosce e timori apparentemente insormontabili, fragile ed instabile nella psiche e pietosamente stremato da nevrosi di varia natura ed origine che gli sottraggono, assorbendole occultamente, ingenti energie. Egli si ritrova anche tristemente isolato ed incessantemente sballottato e trascinato verso ignote direzioni da tragici ed incontrollabili eventi e da idee aberranti impostegli da individui più forti e prepotenti che, come una tempesta di venti impetuosi, lo travolgono e lo costringono a naufragare, spingendo alla deriva gli irriconoscibili resti della sua fragile imbarcazione. L’uomo della Tradizione, che basa la propria vita su di un insieme di valori appunto tradizionali, aveva ed ha una visione cosmogonica: vede e comprende l’universo ed è quindi in grado di individuare con precisione e certezza la propria posizione nella vastità della manifestazione cosmica. L’uomo cosiddetto moderno, al contrario, ha perso questi punti di riferimento e, paradossalmente, pur avendo fatto passi da gigante nel campo della tecnologia, in particolare nel settore delle comunicazioni, incontra serie di quasi insormontabili difficoltà nel comunicare con gli altri e con sé stesso. Perduta gradualmente la visione organica della realtà, la coscienza della sua inscindibile interezza, della connessione fra le parti e il tutto, si è immerso nello studio ostinato e reiterato di frammenti, di micro-realtà scisse dall’insieme. Pur essendo diventato capace d’inventare microscopi e altri potentissimi strumenti di indagine(1), deve alla fine riconoscere con stupore, sgomento e persino con una punta di amarezza, che la natura materiale, come prendendosi gioco di lui, sfugge sempre e comunque da questa impari lotta per conoscerla. La Natura è infatti paragonabile ad una scatola cinese: una volta scoperto un aspetto se ne scorge subito un altro, dal primo racchiuso. L’uomo moderno rischia quindi di andare incontro ad uno smarrimento traboccante d’angoscia, un sottile ma diffuso “mal di vivere” che si radica sempre più profondamente ed acremente negli animi (soprattutto dei più giovani) e che si aggrava una volta scoperta la mancanza di risposte appaganti, ad ampio respiro, da parte delle varie religioni, le quali spesso impiegano le proprie enormi energie e risorse più nella ricerca di vasti consensi popolari, che nel dare risposte soddisfacenti ai tormentosi quesiti sul senso dell’intera vicenda cosmica; esse focalizzano infatti gran parte dei loro interessi sulla sola sfera antropologica, cioè sull’uomo e sulle sue problematiche. Con atteggiamento riduttivamente antropocentrico si adoperano quanto più possono nell’elaborare fin nei minimi dettagli una politica per l’uomo, con complicati, e per questo spesso irrealizzabili, piani economici e sociali, trascurando la semplice verità di fondo che l’uomo, se non è in grado di individuare sé stesso nel suo contesto socio-cosmico e se non conosce sé stesso, non essendo in grado di percepirsi nell’essenza, nella realtà trascendente, non potrà nemmeno delineare un progetto serio per il proprio divenire(2). Risulta quindi necessario indicare con la maggior precisione possibile la cosmogonia o disegno universale, e l’escatologia o fine oltremondano dell’esistenza. Del progetto universale i Veda tracciano un disegno dai contorni estremamente ampi. Cominciano col descrivere i quattro obiettivi della vita umana evoluta(3); dharma, artha, kama e moksha, per raggiungere i quali la persona di buona qualità articola i propri sforzi e organizza le proprie risorse al meglio. L’arte della vita consiste nel conseguire questi obiettivi e viverli in maniera equilibrata, facendoli diventare tutti, uno dopo l’altro o contemporaneamente, una realizzazione di successo. Dharma è l’Ordine cosmico, la Legge di Dio, il volere del Signore, l’armonia, la sintonia di e con tutto ciò che vibra, la forza che tutto sostiene, il principio vitale e le leggi che lo mantengono. Senza dharma i pianeti non potrebbero mantenersi nelle loro orbite e noi non riusciremmo neanche a respirare se cessasse il nostro rapporto col dharma. Dharma è anche la religiosità, senza la quale non si potrebbe portare a compimento la benché minima azione; è l’acquisizione di quella pietà minima, di quel minimo di buoni sentimenti che ci permettono di affrontare la vita e che andranno poi espansi fino al massimo; ne occorre comunque un minimo perché l’individuo possa vivere in mezzo alla gente, vivere nel creato e fra le creature tutte. Col termine sanscrito bhuta vogliamo in questo contesto indicare l’essere creato; la radice bhu infatti significa sia ‘essere’ che ‘divenire’, ma se si aggiunge la desinenza ta significa ‘creato’. Dato che l’anima è immortale(4), chi viene creato? I corpi, mentre il principio vitale, l’atman, non viene creato: né nasce né muore. Tutte le creature nascono e muoiono solo apparentemente; in realtà ciò che nasce e che muore sono i corpi, quegli involucri costituiti di materia (prakriti) che l’essere immortale abita e che dall’essere rimangono sempre e comunque distinti. Nella Bhagavadgita Krishna afferma che l’ottuplice materia(5), da noi percepita come forme e nomi, è separata da Lui(6); e anche da noi, possiamo aggiungere: organi, tessuti e cellule sono infatti aggregati di materia separata dal nostro vero essere. Per fare chiarezza in questo ambiente alienato, in cui masse ottenebrate, colte da terribili crisi di identità, credono di essere il corpo, cioè si identificano totalmente con la prakriti, occorre il dharma. Il dharma fornisce alcune direttive fondamentali: yama e niyama(7), per vivere consapevolmente in qualunque luogo ma soprattutto in quelli la cui atmosfera sia stata resa “incandescente” dalla passione (rajo-guna) e tenebrosa dall’ignoranza (tamo-guna)(8). Quando la coscienza del sé si sviluppa nella maniera corretta, cioè nel dharma, l’individuo diventa dharmya, portatore di dharma o sostegno del dharma, ed è anche ‘sostenuto’ dal dharma. In un passo del Mahabharata(9) viene affermato con forza che chi sostiene il dharma è dal dharma sostenuto, mentre chi calpesta il dharma viene dal dharma schiacciato. Col sostegno del dharma si può conseguire il secondo obiettivo: artha, ossia la prosperità economica, che di per sé non ha nessuna connotazione negativa(10), a meno che non comporti un agire volgare, che abbrutisce il suo autore fino a fargli dimenticare i doveri prescritti, quelli che conducono alla realizzazione spirituale. Gli shastra(11) consigliano di conseguire questo scopo perché è indispensabile procurarsi lecitamente i mezzi per potersi incamminare sulla via della perfezione; quando invece il ricongiungimento col Divino sarà diventato stabile e definitivo, e solo allora, non ci sarà più bisogno di sforzi specifici per artha: il Signore provvede direttamente. Tutto dipende quindi dall’aver fondato la propria vita sui principi del dharma, la regola celeste, la legge divina, l’Ordine sovrano che tutto mantiene. Osservando con attenzione i cicli naturali, possiamo rilevare la presenza di quest’Ordine divino: gli alberi tornano a fiorire regolarmente ad ogni primavera; i giorni e le notti si avvicendano da sempre; il sole non abbandona mai la sua orbita perché, se la mutasse allontanandosene seppur di poco, sul nostro pianeta di formerebbero ghiacciai colossali che lo ricoprirebbero interamente; se invece si avvicinasse, modificando la propria orbita anche solo di un impercettibile tratto, manderebbe tutto a fuoco, l’acqua evaporerebbe, facendo scomparire la vegetazione e tutto ciò la cui sopravvivenza deriva dall’acqua, esseri umani compresi. E’ il dharma che mantiene il sole e tutti gli astri nella loro orbita e che rende possibile la vita sui pianeti; e fonte del dharma è l’Essere sovrano che, col dharma, stipula un equo patto con tutte le creature, senza favorirne o penalizzarne qualcuna. E’ solo in base al modo con cui ci rapportiamo al dharma infatti, che dovremo fronteggiare le conseguenze delle azioni da noi compiute, sia in positivo che in negativo. E’ questo il principio fondamentale che regge la legge del karman, la rigorosa legge eterna della remunerazione delle azioni. Perciò l’uomo della Tradizione persegue lo sviluppo concreto e tangibile dei princìpi fondamentali del dharma, sforzandosi costantemente e alacremente di applicarne nella vita quotidiana gli assunti teorici, non riconoscendo nessuna reale importanza al filosofare fine a sé stesso, avulso dalla realtà ed incapace di liberare l’essere dal problema di fondo dell’esistenza incarnata: la sofferenza. Ricerca quindi un’intima ed autentica interiorizzazione delle leggi del dharma e la loro espressione genuina, sia nel pensare che nel parlare ad altri, sia nel commentare gli eventi e i mutamenti che si susseguono nella società e nella natura che nell’agire. Dopo il conseguimento di artha sulla base del dharma, si passa a kama, termine col quale vogliamo qui indicare la ricerca del piacere, del gioire. Se queste gioie vengono da artha, cioè se non sono state ricercate con i mezzi altrui ma con i propri, e se questi mezzi sono stati procurati sulla base di dharma, di regole morali, etiche e spirituali(12), allora sorge la gioia, il senso di soddisfazione che segue alla realizzazione del piacere. Per essere più precisi va detto in tal caso che la ricerca del piacere cessa di essere ossessiva e non condiziona più la mente dell’individuo al punto da indurlo a fare scelte sbagliate pur di ottenere stimoli meramente sensoriali. Quando conseguiti in armonia con l’Ordine divino i cosiddetti piaceri sono anch’essi potenzialmente in grado di condurre l’uomo alla riflessione e gradualmente al distacco, per poi consentirgli di dedicarsi unicamente, con quiete e lucidità, al perseguimento del quarto degli scopi che, secondo i Veda, caratterizza l’uomo evoluto: moksha, la liberazione definitiva dalle illusioni, dall’identificazione con la materia e dagli attaccamenti mondani, cioè da quelle che sono le sorgenti del dolore(13). Pertanto, dare all’uomo una cornice ampia, universale, informazioni non solo sulla dimensione dello spirito ma anche sulla varietà della manifestazione cosmica e, come abbiamo spiegato poc’anzi, rivelargli il dharma e le sue regole fondamentali, tutto ciò significa fornirgli da subito gli strumenti essenziali per progettare, costruire giorno per giorno e quindi determinare il proprio avvenire. La messa a disposizione di questi strumenti costituisce la più elevata attività umanitaria, che però arreca benefici non solo all’uomo ma anche a tutte le creature e all’ambiente, inteso come micro e macro-sfera. Una visione dell’universo basata su di una concezione spiccatamente e dichiaratamente antropocentrica sarebbe una riduzione a dir poco inquietante, che implicherebbe una drastica riduzione delle capacità e delle potenzialità di realizzazione spirituale. L’uomo non ha una posizione centrale. La concezione vedico-vaishnava dell’universo è teocentrica: è Dio il motore dell’universo. E’ il supremo, dolce desiderio di Dio che provvede a tutto. E se tutte le creature, in particolar modo l’uomo, ponessero il Signore al centro delle proprie attenzioni, della propria cura, dei propri pensieri, delle proprie parole, tutto ciò che vorrebbero ottenere si presenterebbe quasi spontaneamente, con difficoltà ridotte in proporzione a quanto si saranno concentrate nella contemplazione di Dio; e tutte le azioni così compiute andrebbero a beneficio non solo degli uomini ma, come detto, di tutte le creature. Al contrario, se in una sorta di ossessione antropocentrica e quindi in un ennesimo feticismo di specie, l’uomo fosse portato a considerare degna di cure ed attenzioni soltanto la propria specie, non sarebbe neanche in grado di mantenere in salute questo pianeta, divenendo causa di continue e gravi crisi ecologiche, dato che l’equilibrio ecologico si può mantenere solo a patto che ci si adoperi per il benessere di “tutte” le creature, permettendo che ognuna di esse esprima liberamente la propria natura. L’uomo viene abitualmente considerato sovrano delle creature, ma il Sovrano vero in realtà è Dio, sovrano anche dell’uomo. L’uomo ha il dovere di far da guida alle creature meno intelligenti ed evolute, e ciò significa assegnare un ruolo a ciascuna di esse senza abusare di nessuna, altrimenti non più di guida si tratterebbe bensì di sfruttamento. E’ quindi urgente e necessario seriamente rivedere i concetti di progresso e di evoluzione, di sociologia, di benessere e di economia, e persino di storia. Pensare che gli esseri umani siano gli unici cittadini a pieno diritto del pianeta è troppo riduttivo; dovremmo estendere l’habeas corpus anche alle specie animali. Per quale ragione dovremmo limitare l’amore, di cui spesso solamente si parla, all’umanità e basta? Porre l’umanità al centro dell’universo è errore tipico della filosofia moderna.

(1) Ci riferiamo, qui, non solo al riduzionismo, ma anche agli “specialismi” che tanto caratterizzano la vita culturale dell’Occidente moderno.
(2) Con ciò non intendiamo disconoscere l’insieme dei valori etici e spirituali conservati e promossi dalle religioni storiche (il che sarebbe in contraddizione con la necessità di riferirsi a un sapere tradizionale, di cui prima dicevamo), né sminuire l’importanza delle loro azioni sul piano sociale; sentiamo però la necessità di un completamento e rifinimento dei campi d’azione volti ad un’integrazione tra i pensieri religiosi, a partire dalla conoscenza approfondita sulla coscienza fornita dai Veda.
(3) In sanscrito catur-purusartha.
(4) Vedi Bg II.20: Per l’anima non c’è nascita né morte. Esiste e non cessa mai di esistere. Non nasce, non muore, è eterna, primordiale, non ebbe mai inizio e non avrà mai fine. Non muore quando il corpo muore.
(5) Vedi p. 74.
(6) Cfr. Bg VII.4.
(7) Regole che compaiono in tutte le Scuole astika, quelle cioè che accettano i Veda come Scritture rivelate, in particolare nello Yoga-darshana, Scuola la cui fondazione viene tradizionalmente attribuita al saggio Patanjali, autore dei celebri Yoga-sutra, testo capitale della Scuola stessa.
(8) Due dei tre guna; vedi paragrafo ‘Il triguna e il karma’, p. 83.
(9) Adi Parva, capitolo 60.
(10) Tradizionalmente, il denaro e le ricchezze in generale, sono una manifestazione, nel mondo degli elementi, di Shrimati Lakshmidevi, eterna consorte ed energia interna (antaranga-shakti) di Shri Vishnu, Dio-Persona.
(11) Lett. ‘precetto, insegnamento’, in particolare quello contenuto nei testi sacri, sia Shruti (Rivelazione) che Smriti (Tradizione). Lo Shastra sta alla Shruti come l’albero sta al proprio seme. [Le maggiori Scuole di pensiero nell’ambito della Tradizione vedica delineano il metodo per acquisire la conoscenza indicando tre principali strumenti cognitivi (pramana): pratyaksha (percezione sensoriale), anumana (deduzione) e Shabda (testimonianza orale proveniente da una Tradizione o Autorità). Delle tre, la terza è tradizionalmente considerata il mezzo più autorevole, quello che consente anche da solo di conseguire il sapere, sia fisico che metafisico.]
(12) Indicando con ‘morali’ le azioni nel mondo degli elementi; con ‘etico’ il concetto di ciò che è bene e di ciò che è male; e con ‘spirituale’ la volontà determinata ad indirizzare l’azione alla liberazione (moksha).
(13) Secondo la Scuola Gaudiya Vaishnava di Shri Caitanya Mahaprabhu, esiste un’ulteriore tappa, successiva persino alla liberazione ed è prema, l’amore per Dio, definito anche param-purusartha (supremo obiettivo umano).

mercoledì 18 marzo 2009

COSCIENZA E ORIGINE DELL'UNIVERSO.
di Marco Ferrini.

Dio è solo un concetto o, come proposto da Hegel, è una Mente? Che cosa sono la vita e la coscienza? Solo una combinazione di atomi e molecole? Le creature viventi hanno un’anima o spirito e, se sì, è presente solo nell’uomo o in tutte le manifestazioni della vita? Queste sono eterne domande sia per la scienza che per la religione. Le menti più elevate della scienza occidentale hanno compreso la natura potente ma anche ineffabile della conoscenza e hanno affermato che il metodo scientificodeduttivo altro non è che la conseguenza di intuizioni che sorgono a livello contemplativo. Albert Einstein, riflettendo sull’intuizione e sulla natura della ipotesi scientifiche, caposaldo fondamentale e nel contempo categoria misteriosa del sistema scientifico-deduttivo, nel 1918 scriveva:

Compito primario è giungere a quelle leggi elementari dell’universo a partire dalle quali il cosmo può essere costruito attraverso il metodo della pura deduzione. Non c’è un sentiero logico che conduca a queste leggi; solo l’intuizione, basata su una comprensione globale dell’esperienza, può rilevarle.

I rishi vedici hanno impostato la loro ricerca partendo dal medesimo meccanismo di comprensione: è l’indagine nel profondo del sé che può condurre ad un livello di coscienza in cui la percezione realizza una visione unificata dei vari livelli di realtà e permette di attingere al piano dell’intuizione. Il racconto cosmogonico delineato nella letteratura Vedica descrive in tre momenti l’esplosione di un seme: la germinazione, l’espansione e infine la disgregazione; come dire: la creazione, il mantenimento e il dissolvimento; dunque un percorso in cui un seme non percepibile4 si espande differenziandosi in spazio cosmico, fino al suo punto di dissolvimento. Come vedremo, questo resoconto è sorprendentemente vicino alle moderne teorie fisiche relative all’origine e all’evoluzione dell’universo, vedi ad esempio quella del Big Bang e dell’espansione del cosmo.

La cosmogonia moderna tenta di incorporare la categoria del trascendente quando postula un dominio al di fuori dell'universo scientificamente conoscibile, e dal quale quest'ultimo ha avuto origine al tempo del Big bang. Questo dominio, che si estende al di là del tempo, dello spazio e della materia, è chiamato vuoto quantistico: campo di pura energia in cui ininterrottamente miriadi di particelle virtuali, che si manifestano dalle fluttuazioni quntistiche del sottofondo spaziotemporale, si formano e si dissolvono; alcune di queste intraprendono un processo di espansione che ne assicura l'esistenza. Secondo numerosi cosmologi, il nostro universo è una di queste particelle.

Come la persona umana è una combinazione di fisico, di psichico e di spirituale così, secondo la filosofia Yoga e Samkhya, tutto il mondo manifestato non è altro che un pensiero cristallizzato in energia e materia, creato allo scopo di consentire all’essere spirituale di realizzarsi. Allo stesso modo, al termine del processo di manifestazione energia e materia si trasformano nuovamente in pensiero. La conversione dell’energia in materia e della materia in energia, secondo le formule rivelate all’Occidente da Einstein più di cent’anni fa, così come le recenti scoperte della fisica quantistica, descrivono con linguaggio scientifico occidentale le medesime grandi realizzazioni dei saggi Vedici. L'universo risulta quindi coscienza in espansione; creato dalla volontà dalla Psiche Suprema; realizzato dal pensiero della Mente Cosmica. A tal proposito è interessante ricordare quel che già Newton diceva: “le leggi che governano l'universo sono pensieri di Dio”.

Tratto dall'introduzione del libro Coscienza e Origine dell'Universo.

lunedì 16 marzo 2009

IL CERVELLO E' UN NEURO
COMPUTER O UN QUANTUM COMPUTER?

di Andrea Boni.

Cosa è la coscienza? E' semplicemente un prodotto di processi elettro-chimici che avvengono a livello cerebrale e che sorge quando un certo numero di neuroni si connette insieme?

Prima di avvicinarmi alla Cultura Vedica ed al suo immenso patrimonio filosofico, psicologico, sociologico e scientifico, ho svolto per diversi anni attività di ricerca in qualità di Ricercatore Universitario, prima presso l'Università di Genova al Dipartimento di Ingegneria Biofisica ed Elettronica e poi presso l'Università di Trento. Il campo di ricerca (oggetto della mia tesi di Laurea prima e di Dottorato poi) è stato lo studio dell'Intelligenza Computazionale. In particolare ho cercato di studiare come simulare il comportamento umano, nella fattispecie le Reti Neurali, per trovare il modo migliore per implementarle su un dispositivo elettronico, e risolvere così tanti problemi di riconoscimento in modo efficiente e automatico. Ho quindi studiato approfonditamente le Reti Neurali Artificiali, approfondendo lo studio del Neurone.Ho visto attraverso innumerevoli esperimenti come funzionano i modelli matematici, le loro relazioni, e soprattutto come simulare il fenomeno fondamentale dell'esperienza umana: l'apprendimento. Durante tutte le mie esperienze ho però intuito un aspetto cruciale: l'impossibilità di simulare la vita e quindi di generare la coscienza. Dove c'è vita c'è coscienza. Se non c'è vita non può esserci coscienza. La coscienza è una componente fondamentale dell'universo, indipendente dal cervello, che può essere sperimentata senza il corpo. Questo è sempre stato per me un pensiero intuitivo, una certezza personale, e al tempo dei miei studi non validata dalla letteratura che studiavo. Quando però ho scoperto i testi sapienziali dello Yoga, della Bhagavad Gita, delle Upanishad, del Vedanta, ho trovato una conferma in ciò che inizialmente era per me un un'intuizione. Ma attraverso quali meccanismi la coscienza pura dell'atman (cit) si manifesta per divenire pensiero, percezione, sentimento e apparire (apparire!) come attività elettrica o chimica del cervello? I testi Vedici non rispondono in modo esplicito a questa domanda, ma le recenti scoperte della fisica moderna forniscono strumenti interessanti per studiare questo fenomeno, in particolare faccio riferimento ai risultati della fisica quantistica. Negli anni '80 e '90 numerosi importanti scienziati hanno pubblicato libri e teorie che sostenevano tanto che il cervello fosse un perfetto neurocomputer, quanto la visione secondo la quale “la coscienza aveva qualcosa a che fare con i misteri della meccanica quantistica”, secondo le parole di Stuart Hameroff, uno degli scienziati che più sostiene questo tipo di visione. Personalmente studiando i lavori di Hameroff, ho trovato in lui una sintesi accettabile dei meccanismi che sottendono al fenomeno della coscienza e della sua manifestazione nel modo dei nomi e delle forme. In particolare è molto interessante il lavoro che ha svolto insieme al famoso fisico Penrose, sfociato nella teoria “OR” della coscienza di Penrose-Hameroff, che costituisce un buon punto di partenza per spiegare come sia la coscienza a manifestare la realtà, in generale, i nostri pensieri, sentimenti, emozioni, nello specifico. Questi studi sono ancora allo stato embrionale, e sono concentrati sullo studio del neurone e dei microtubuli in particolare, strutture cave simili a cannucce contenute all'interno di ogni cellula. Come è spiegato nel libro "What the bleep..." (vedi [2]), essi hanno evidenziato una notevole capacità autorganizzativa e fungono da sistema nervoso e circolatorio della cellula; non solo, ma comunicano e interagiscono con loro vicini per scambiare informazioni. Un aspetto importante che è stato scoperto è che nei neuroni i microtubuli formano e regolano le connessioni sinaptiche e entrano in gioco nella trasmissione dei neurotrasmettitori, sostanze che veicolano le informazioni fra le cellule componenti il sistema nervoso, i neuroni, attraverso la trasmissione sinaptica. Secondo il lavoro di Hameroff sembra che i microtubuli sono influenzati da un fenomeno quantistico: le proteine di cui sono fatti rispondono ai segnali provenienti da un computer quantico interno costituiti di singoli elettroni. Sembra quindi che siano queste forze meccaniche quantistiche a controllare la conformazione della proteina, e quindi come conseguenza l'azione dei neuroni, dei muscoli, in generale del nostro comportamento e delle emozioni (si veda [2] per un approfondimento). Hameroff dice che “le proteine, mutando la propria forma, costituiscono il punto di amplificazione tra il mondo quantico e l'influenza da noi esercitata sul mondo fenomenico in tutto ciò che l'umanità fa, per buono o cattivo che sia”. Questi interessantissimi studi potrebbero essere l'inizio per una sintesi tra Scienza e Spiritualità, per cambiare il paradigma classico-meccanicistico su cui la nostra società ancora si basa, e sviluppare così un nuovo paradigma quantico-spirituale, olistico, in cui ci sia spazio per un'armonizzazione tra fede e scienza, con l'obiettivo di fornire dei presupposti concreti per interpretare il mondo fenomenico come un immenso laboratorio in cui noi ci muoviamo, dove è la nostra coscienza a creare forme, percezioni, emozioni, e tutto ha un significato, nulla accade per caso, bensì qualsiasi esperienza ha un senso se pensata per un fine evolutivo, l'evoluzione della nostra coscienza stessa. Quando ciò avviene, quando la coscienza ritrova la sua condizione di purezza, il mondo non appare più in quella forma, e l'essere può sperimentare la sua propria natura fatta di beatitudine ed eternità:

Janma karma ca me divyam

Evam yo vetti tattvataha
Tyktva deham punar janma
Naiti mam eti so 'rjuna

“Colui che conosce la natura trascendente della Mia apparizione e delle Mie attività [avendo raggiunto la purezza della mente], o Arjuna, non dovrà più nascere in questo mondo materiale quando avrà lasciato il corpo, ma raggiungerà la Mia eterna dimora” Bhagavad Gita IV.9.


Per Saperne di più:

[1] Marco Ferrini, Coscienza e Origine dell'Universo, Edizioni CSB. [2] W. Arntz, B. Chasse, M. Vicente, Ma che ...bip... sappiamo veramente?,Macro Edizioni (libro e DVD). [3] S. Hameroff, Consciousness, neurobiology and Quantum Mechanics: The Case for a Connection. In J. Tuszynski (ed.), The Emerging Physics of Consciousness. Springer-Verlag, 2006.

mercoledì 11 marzo 2009

LO SCIENZIATO E LO SPIRITUALISTA.
di Giovanni Canepa.

Un individuo illuminato non vive scienza e spiritualità come due campi separati del conoscere.Lo scienziato olistico, completo, che ha assaporato l’essenza dei Veda, non si ferma alle conoscenze empiriche dei suoi studi, egli sente che tutto quello che rileva con le sue ricerche fa parte di un contesto più ampio di valenza trascendente e anela a ricongiungere i due aspetti dando un orizzonte di senso alto alla sua attività.Sente che la sua vita per avere un senso, collega tutto: le esperienze del laboratorio e quelle dello spirito. La sua capacità di stupirsi scorre parallela al freddo rilievo delle casistiche dei suoi esperimenti. È l’amore che sottostà alla sua vita, quello che se da un lato l’ha portato a studiare fenomeni del mondo fenomenico, dall’altro lo ha portato verso e poi dentro la devozione (Bhakti). Si sente completo soddisfatto mentre inizia la giornata con la meditazione e poi la svolge con le ricerche e le successive descrizioni in documenti scientifici. Per concluderla con un ringraziamento entusiasta.Per lui la scienza vera è quella che concilia i due aspetti della sua vita: sia l’analisi e la comprensione scientifica del mondo sia lo spirito superiore di comunione con la vita. Accettandoli entrambi la scienza ascolta quella saggezza umana che deriva dai suoi differenti rapporti con lo spirito. Porta le ragioni della vita terrena al mondo della scienza, ispirando gli obiettivi accademici, con amore, compassione e mettendoli in armonia con l’universo. Purtroppo oggi molti scienziati considerano la spiritualità come qualcosa di paradossale e fantasioso. In tutti i campi delle relazione umane che esulano dal contesto di puri devoti le pratiche della contemplazione e della preghiera sono paradossalmente sacrileghe. Perché quel mondo ha un suo “sacro” fatto di beni e di cose e persone da bramare. E non riesce a percepire un vivere fatto di "dare" e di "armonizzare". Tutto questo è molto più vero fra gli scienziati per i quali, nella maggioranza, il trascendente è argomento che va oltre il fine del conoscere, del fatto concreto e delle prove di laboratorio. Ciò che conta sono solo i procedimenti sulle reazioni che avvengono nella materia, e l’universo diventa il risultato di reciproche influenze fra parti atomiche.In quanto non misurabili non contano l’ispirazione e l’anelito che sorge spontaneo nell’uomo, ma contano i risultati dell’esperienza empirica. Questo è puro dualismo di spirito e materia. Il dualismo dell’infelicità umana per il quale lo spirito non esiste. La sfera spirituale, fatta di sentimenti, valori e ideali tutti non quantificabili è considerata come accessoria.Mentre essa è quella capacità straordinaria che consente sia di fare il mestiere di scienziati che di conoscere sé stessi e gli altri. Per lo spiritualista gli oggetti hanno un valore e un significato, sono strumenti per la realizzazione del sé, e non sono dovuti alla sorte. Invece, poiché non si mette in discussione quello che si vede con gli occhi e non si tocca con le mani, lo scienziato è immerso in convinzioni che non lasciano spazio al trascendente. D’altra parte il livello di coscienza degli scienziati rispecchia quello del mondo che li ha educati e quindi non ci si può aspettare altra impostazione da parte loro se non quella materialista. Ma… Ora la scienza stessa “scoppia” nelle mani degli scienziati, per la Teoria della Relatività e per le evidenze della fisica quantistica. La scienza stessa sta dimostrando l’esistenza di aspetti non meramente fisici dell’esperienza.Da qui la necessità di un'integrazione tra Scienza e Spiritualità, senza divisioni a priori, ma anzi dialogo e reciproco e ascolto, in cui il bene comune deve essere solo e soltanto un vivere costruttivo per tutto il creato (non solo l'uomo, ma tutte le creature), volto all'evoluzione dell'individuo visto nell'insieme dei suoi aspetti antropologici.


Riflessioni ispirate da un articolo di Katie Green apparsosu www.resurgence.co.uk.

martedì 3 marzo 2009

LA COSCIENZA.
di Andrea Boni.

Il presente contributo video introduce il fenomeno della coscienza secondo la prospettiva del pensiero classico Indiano.